L’XI Commissione Lavoro della Camera dei deputati il 15 giugno ha esaminato la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per rafforzare il principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi. All’audizione sono intervenuti giuristi ed accademici che hanno commentato alcune criticità da un punto di vista della norma e della sua applicazione.
La Commissione europea – nell’ambito della Strategia per la parità di genere 2020-2025 – ha presentato una proposta volta a garantire la trasparenza salariale e la stessa retribuzione per identici lavori. L’Italia secondo il Global Gender Gap Index 2020 è passata nel ranking mondiale dal 70° al 76° posto rispetto a paesi che attuano la parità salariale. La proposta verrà discussa dal Parlamento Europeo e poi andrà all’esame dei singoli stati membri prima del recepimento.

Proposte per garantire il principio di parità retributiva
Donata Gottardi spiega che la proposta comunitaria era attesa da 15 anni, tuttavia va migliorata poiché bisogna evitare di parlare di una direttiva “trasparenza”. La direttiva – commenta Gottardi – si focalizza sulla trasparenza ma è necessario utilizzare un termine più preciso per non generare equivoci. Nello specifico, per garantire il principio di parità retributiva, occorre rafforzare i meccanismi integrativi presentati nella bozza di regolamentazione. La trasparenza – sostiene l’accademica – è solo una condizione preliminare che non deve essere il solo e unico punto di forza. Sulla questione della verifica e rispetto della parità retributiva, fissata a 250 dipendenti, Gottardi dice che è troppo elevata, e ritiene giusto pensare ad un monitoraggio annuale all’interno del sistema produttivo aziendale. È pure critica sul ruolo delle parti sociali. Da un lato il ruolo delle parti sociali è valorizzato perché si considerano gli accordi interconfederali, dall’altro non è riconosciuta l’attività sindacale; solo genericamente si parla di rappresentanza dei lavoratori, mentre si profila un eccesso di unilateralità da parte del datore di lavoro (oneri riconosciuti ed altri interventi). Questa unilateralità “pesa” da un punto di vista del ricorso giacché vengono vanificate le possibilità di ricorsi collettivi mentre si consolidano quelle delle singole parti che lo richiedono. Altra criticità riguarda il linguaggio. Nel documento comunitario si coglie netta la distinzione tra lavoratori di sesso maschile e femminile ed emergono criteri neutri. Su questo punto emergono perplessità giacché si profila una sorta di discriminazione indiretta. Usare questo aggettivo per la giurista è il peggior modo di utilizzare la direttiva e propone di sostituire il termine “neutri” per evitare di creare confusione perché i criteri di equità vanno applicati a lavoratrici e lavoratori per raggiungere corretti inquadramenti professionali. “Parlare di trasparenza è giusto” ma aggiunge “non può bastare perché la parità retributiva è più articolata e dalla direttiva non si colgono gli aspetti”. Per quanto attiene all’informazione sulla retribuzione, la docente sostiene che nella proposta comunitaria emerge un dato retributivo aggregato dove non verrebbero alla luce singole situazioni. Questa, secondo la giurista, sarebbe la parte più debole per la difficoltà di verificare il rapporto di lavoro del personale impiegato.
Buona informazione e cambiamento culturale per cogliere i segnali dati dal nostro tempo

La direttiva comunitaria per Alberto Guariso nasce in un clima di consapevolezza in relazione al periodo pandemico che stiamo vivendo. Questa situazione può portare buoni risultati se viene accompagnata da un’adeguata informazione sulla dimensione collettiva degli interessi di cui si parla. Dalla direttiva emerge un ostacolo, quello della disuguaglianza che frena il potenziale produttivo. “Fare buona informazione” spiega Guariso “significa passare attraverso un cambiamento culturale ed una sensibilizzazione in grado di cogliere nuovi aspetti dati dal nostro tempo. L’Istat, commenta Guariso, ha evidenziato che il 30% del divario retributivo dipende dalla sovra-rappresentazione delle donne in settori a basso salario. In una realtà dove vi è ridotta mobilità tra i settori nel mercato del lavoro, scarsa formazione etc, la direttiva può incidere sul 30% di cui parla il documento. Quanto alle discriminazioni, la proposta mostra elementi utili come il capitolo sulla prescrizione e sull’onere della prova. La proposta prende atto che l’inserimento delle donne nei settori deboli del mercato occupazionale dipendono dalla collocazione delle donne straniere. Per esse il fattore nazionalità si cumula con il differenziale salariale di genere. Infatti, sempre secondo i dati Istat, il differenziale salariale italiani/stranieri è pari al 25% che se cumulato ai valori riferiti a donne e uomini, emergono percentuali preoccupanti. Per quanto riguarda la trasparenza non è chiaro come si vuole procedere, ma un punto nodale dove occorre impegnarsi riguarda l’avanzamento di carriera che nella direttiva scompare totalmente. Ultimo elemento interessa la legittimazione attiva dei lavoratori che costituisce uno strumento a tutela del lavoro e deve valere sia per uno che per l’intera collettività dei lavoratori.
Responsabilità delle imprese e trasparenza nell’informazione

Per Francesca Guarnieri l’intervento del legislatore è importante perché introduce modifiche al codice delle pari opportunità e della parità retributiva. Nonostante il quadro delle disposizioni sembra completo ed efficace, l’attuazione del principio in Italia continua ad incontrare ostacoli che crea un divario salariale di genere accentuato dalla pandemia e non può essere accettato. La direttiva ha il merito di portare alla luce un’antica questione; da un lato si rifà alle responsabilità dirette delle imprese nella trasparenza e informazione, dall’altra intensifica gli strumenti processuali per incentivare la rivendicazione del diritto alla pari retribuzione. Nel sistema italiano la discriminazione retributiva non è definita nei CCNL e soprattutto la differenza riguarda quasi sempre bonus ed indennità difficili da percepire come violazione del diritto alla parità salariale. Quanto alla trasparenza retributiva, la proposta europea è puntuale perché dispone che le informazioni debbano essere fornite direttamente alle lavoratrici e non trasmesse a figure istituzionali che non vengono condivise con le lavoratrici, con le organizzazioni sindacali e con i difensori. Queste informazioni sono riportate in un report annuale, disaggregate per genere ed altre statistiche sono fornite dalle aziende con più di 250 dipendenti con la possibilità di procedere alla verifica qualora risulti che il gender pay gap è superiore al 5%. In sintesi, i dati consentono di percepire la discriminazione e forniscono la prova o gli indizi che determinano l’inversione dell’onere. Quanto agli strumenti processuali – prescrizione dell’onere della prova – la relatrice segnala l’importanza dell’art 19 che esclude la possibilità per il giudice di condannare alle spese di lite la lavoratrice ricorrente. In conclusione – dice Guarnieri – questi strumenti sono opportuni perché da un lato si interviene sull’onere della prova, con obbligo d’informazione ai lavoratori, dall’altra si introducono elementi correttivi nell’ipotesi discriminatoria.

Arturo Maresca concorda che la direttiva europea si focalizza sulla trasparenza, mezzo per raggiungere la parità di trattamento. Quello che appare poco produttivo riguarda l’apparato delle previsioni attese che sono al di sotto di quelle previste dall’ordinamento italiano. La differenza retributiva che penalizza le donne non riguarda le retribuzioni contrattuali ma le retribuzioni di fatto che sussistono all’interno delle aziende.
L’informazione strumento per facilitare i tentativi di mediazione e conciliazione

Per quanto riguarda gli aspetti del processo civile e la tutela dei diritti, Luca Passanante rileva che nella proposta europea manca l’indicazione dei criteri per individuare le disparità retributive tra lavoratori e lavoratrici. Sarebbe opportuno fissare tali criteri e disporre di consulenti tecnici con adeguata formazione in questo settore. Altro aspetto concerne la tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori che coinvolge sia l’azione di classe che quella collettiva. Nella direttiva comunitaria si prevede che associazioni, organismi della parità e rappresentanti dei lavoratori, possano agire a sostegno di uno o una pluralità di lavoratori. Il giurista sottolinea che occorre distinguere l’azione collettiva da quella di classe. Altra criticità riguarda l’accesso alle informazioni in relazione alla tutela dei diritti soggettivi delle lavoratrici e lavoratori. Le informazioni – dice Passanante – non possono essere sostituite dall’inversione degli oneri della prova poiché rappresentano il presupposto affinché la decisione finale sia giusta, frutto dell’applicazione della norma di legge in base a fatti certi. Le informazioni, spiega l’accademico, sono importanti per attivare tentativi di mediazione e conciliazione e devono essere considerate come condizione di procedibilità. Ultimo elemento riguarda lo standard minimo della prova che nella direttiva appare impreciso e dovrebbe essere rivisto analizzando studi più recenti in materia.

Le Consigliere di parità per conoscere i percorsi femminili e maschili all’interno dell’azienda
Il fatto che l’Europa scenda in campo per raggiungere la parità di salario è importante, afferma Francesca Bagni Cipriani. Tutta la direttiva si focalizza sulla verifica e sull’individuazione dei fenomeni discriminatori sul lavoro e come correggerli. Nel nostro paese esistono fattori culturali che creano disparità salariali tra lavoratrici e lavoratori ma esistono strumenti di controllo e le consigliere di parità possono intervenire in base ad alcuni adempimenti sia nel pubblico che nel privato. Dalle relazioni della rete delle consigliere possono emergere i percorsi femminili e maschili all’interno dell’azienda, capire i piani di azioni positive, verificare le assunzioni e come intervenire su queste condizioni. Bagni Cipriani spiega che le relazioni biennali sono sempre esistite nella nostra legislazione, successivamente è nata la piattaforma informatica che dà la possibilità di fornire dati sulle condizioni di lavoro all’interno delle aziende private. Bagni Cipriani segnala che nella direttiva europea si fa riferimento ai dati per aziende con 250 dipendenti, mentre in Italia il tetto era a 50 dipendenti; da qui potrebbero sorgere problemi di natura tecnica. La seconda criticità – segnala la Consigliera – è che le liste aziendali “censite” al di sopra dei 100 dipendenti sono gestite dall’Inps e l’istituto non ritiene utile comunicare queste informazioni e la direttiva non specifica come risolvere la questione. In sintesi, la proposta comunitaria è utile perché tende a rafforzare anche la normativa italiana.
Federdistribuzione applaude al certificato premiale per le aziende virtuose

Per quanto riguarda l’occupazione femminile sulla parità retributiva, l’Italia ha un forte deficit strutturale commenta Elisa Medagliani. Durante il periodo pandemico la perdita di posti di lavoro delle lavoratrici è stato doppio in termini percentuali rispetto a quelli della media europea. Difficoltà fra conciliazione vita-lavoro, livelli bassi d’istruzione e statistiche sul gender pay gap rilevano una percentuale del 17% nel settore privato rispetto al 15% della media UE. Più confortante è il quadro femminile in riferimento alla parità retributiva nel settore Federdistribuzione. Il comparto per quanto riguarda l’occupazione femminile ha una presenza pari al 60% con un trend costante negli ultimi 10 anni e l’azienda guarda con interesse alla proposta europea. Quanto allo strumento della trasparenza retributiva, Medagliani cita l’art 5 che dispone che i datori di lavoro in fase pre-assuntiva hanno l’obbligo di indicare ai futuri candidati i livelli e la fascia retributiva da corrispondere. Altro elemento dell’art 5 è che il datore di lavoro ha il divieto di chiedere ai potenziali lavoratori informazioni sul livello retributivo relativo al pregresso rapporto di lavoro. Federdistribuzione chiede di eliminare questo divieto che sarebbe controproducente. L’art 8 prevede l’obbligo da parte dei datori di lavoro, per una azienda con 250 dipendenti, di fornire informazioni sulle retribuzioni tra uomini e donne. Medagliani rileva che esiste già una norma simile nell’ordinamento italiano valida per i datori di lavoro con più di 100 dipendenti e che il rapporto sullo stato di occupazione maschile e femminile viene trasmesso ogni due anni. Questo report secondo Medagliani rappresenta un adempimento oneroso per le aziende, poiché esse già lo trasmettono all’Inps attraverso il sistema informatico. Federdistribuzione commenta positivamente l’art 8 della direttiva affinché venga stabilito che gli stati membri possano inserire le informazioni retributive sulla base dei dati dei datori di lavoro alle autorità fiscali o di sicurezza sociale. Infine, l’art 9 della proposta comunitaria dispone che qualora emerga una disparità retributiva del 5%, i datori di lavoro sono tenuti alla valutazione in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori. Mentre una procedura simile è già prevista nel codice per le pari opportunità, Federdistribuzione chiede in fase di recepimento della direttiva, l’obbligo di premiare le aziende più virtuose e rispettose della percentuale retributiva. Già nel codice di pari opportunità è inserita questa premialità che avvantaggia l’azienda di uno sgravio contributivo dell’1% per tutto il periodo di validità della certificazione. Questa misura premiale dovrebbe essere incardinata all’interno del nostro ordinamento per garantire il rispetto della normativa, conclude la responsabile del lavoro Elisa Medagliani.
Ai lavori hanno preso parte Donata Gottardi, professoressa di Diritto del lavoro dell’università di Verona, Alberto Guariso, avvocato, Francesca Guarnieri, avvocata, Arturo Maresca, professore di Diritto del lavoro all’università degli studi di Roma “La Sapienza” e Luca Passanante, professore di Diritto processuale civile dell’università degli studi di Brescia. Erano presenti Francesca Bagni Cipriani, consigliera nazionale di parità, Elisa Medagliani, responsabile del lavoro e sulle politiche attive di Federdistribuzione e Filippo Pignatti Morano della direzione del lavoro e delle relazioni sindacali.
Cristina Montagni