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Giustizia Internazionale per donne vittime di stupri in Ucraina

7 minuti

“L’Italia” ha detto il Ministro degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale Antonio Tajani “promuove iniziative internazionali per valorizzare il ruolo delle donne nella prevenzione dei conflitti, nel mantenimento della pace e ricostruzione dei post-conflitti in linea con l’Agenda “Donne, Pace e Sicurezza” delle Nazioni Unite”. Il titolare del dicastero di recente ha espresso vicinanza alle donne e ragazze ucraine che vivono il dramma della guerra per le sofferenze e abusi, alle ragazze afghane affinché i progressi ottenuti negli ultimi venti anni sull’istruzione, libertà di movimento, partecipazione politica, economica, sociale e culturale del loro Paese non vadano persi, alle ragazze iraniane che chiedono rispetto dei diritti affrontando una brutale repressione condannata dal nostro Governo.

Maria Tripodi, sottosegretario Affari Esteri e Cooperazione internazionale – Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e Pari Opportunità

Assicurare alla giustizia internazionale le violenze di guerra in Ucraina

In merito alla violenza sulle donne, a gennaio si è costituito a Roma un tavolo tecnico coordinato dal Ministero degli Esteri e Ministero delle Pari Opportunità per riflettere sulla protezione delle donne vittime di stupri di guerra in Ucraina e come assicurare alla giustizia internazionale i colpevoli dei crimini compiuti dall’inizio del conflitto. Lo scopo era individuare risorse per migliorare la risposta della comunità e degli organismi internazionali e analizzare i fattori che generano paura di denunciare da parte delle sopravvissute che permettono agli esecutori di restare impuniti. Le vittime di guerra – hanno sostenuto le esperte – non solo non hanno garanzie sul soddisfacimento delle richieste di giustizia e di risarcimento morale, ma vengono spesso incolpate ed espulse dalle comunità di appartenenza. Con il conflitto Russo-Ucraino l’antica questione dell’impunità rischia di ripetersi; occorre perciò tracciare un percorso che fornisca loro protezione con il supporto delle organizzazioni della società civile ucraina.

Protezione alle sopravvissute vittime di violenza

Diverse le attività che può intraprendere il governo italiano. Dare voce alle donne vittime di violenza e agli operatori che possono intercettare i bisogni delle donne, uomini e bambini per uscire dal trauma e avviare un processo di emancipazione che non deve essere solo nazionale ma coinvolgere l’intera comunità internazionale per costruire una cultura contro lo stigma ed il silenzio. La seconda riguarda l’adeguamento della legislazione nazionale portando il tema nelle sedi opportune insieme al coordinamento del ministero degli esteri e delle pari opportunità. Il terzo canale è l’accoglienza che attiene alla formazione dei soggetti: dai magistrati, alle forze di polizia fino agli operatori sanitari. L’Italia sin dall’inizio del conflitto ha destinato risorse per 500mila euro alle vittime di violenza, e con la crisi umanitaria ha assegnato oltre 10milioni di euro all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per fornire aiuto ai rifugiati ucraini e alle sopravvissute per una futura crescita personale. Il nostro Paese – secondo contributore delle Nazioni Unite per vittime di abusi e sfruttamento sessuale – ha rifinanziato questo fondo presso la Corte Penale Internazionale ed è attiva affinchè sia ripristinato il tessuto sociale del paese colpito.

Pulizia etnica una strategia politica

I crimini contro le donne non interessano un singolo paese. L’Italia ha avviato un percorso antiviolenza implementando il fondo antitratta per le rifugiate, le case rifugio e centri antiviolenza. Va ricordato che i crimini contro le donne spesso vengono ignorati o sottovalutati; hanno profonde radici culturali, sono utilizzati come arma di guerra e dovrebbero essere giudicati fuori legge. Da quando l’esercito di Kiev ha liberato parte dei territori occupati da Mosca, sono emerse violenze condotte dai militari russi: donne violentate davanti ai propri figli, donne costrette a barattare il corpo per avere salva la vita, ragazze chiuse in seminterrati e sottoposte a sevizie e stupri di gruppo, senza risparmiare gli stupri a bambini e bambine di appena un anno. Questa condotta si configura come una strategia politica per umiliare non solo la donna ma un intero popolo, un tentativo di pulizia etnica e desertificazione vitale di un territorio. Per dare significato alle violenze è necessario quindi definire un quadro giuridico nazionale ed internazionale con strumenti di accoglienza per assistere le donne ad affrontare la vita.

Sottostima delle denunce per abusi sessuali

Le Nazioni Unite hanno registrato più di 124 denunce di violenza sessuale ma è probabile che i numeri siano più alti perché se per una donna è difficile manifestarsi, per un uomo lo è ancora di più. E’ utile riflettere che lo Statuto della Corte Internazionale include un’ampia lista di crimini a sfondo sessuale mai pensata e scritta dal secondo dopo guerra. Le categorie della violenza che i giuristi hanno immaginato, oggi sono inclusi nello STATUTO DI ROMA ma per dare ampiezza dei crimini commessi è necessario citare lo stupro, la violenza forzata, la sterilizzazione forzata, l’aborto forzato, lo sfruttamento sessuale, la tratta, la castrazione ed altre forme di brutalità che è difficile codificare per definire la violenza di genere nella sua interezza. La seconda riflessione riguarda la Corte Penale Internazionale che interviene laddove gli stati nazionali non possono o non vogliono intervenire. Tuttavia, il ruolo della giustizia nazionale è rilevante perché la vittima vede aperta una procedura penale nel proprio Stato dove viene riconosciuta l’azione criminosa, quindi immorale. Un’altra osservazione riguarda la criminalizzazione degli atti che potrebbero essere assimilati alla persecuzione di genere, quest’ultima più facile da provare, dove le conseguenze sono devastanti a livello fisico e psicologico sia nel breve che nel lungo periodo. Nel breve periodo può insorgere paura, mancanza di aiuto e disperazione mentre nel lungo periodo può manifestarsi depressione, disordini d’ansia, sintomi somatici multipli, difficoltà di ridefinire relazioni intime, vergogna e stigmatizzazione. Un fattore poco analizzato riguarda l’impatto transgenerazionale degli eventi che coinvolgono soprattutto le future generazioni.

Istituire processi difronte la Corte Penale Internazionale

Le donne sono ancora considerate bottino di guerra. È solo nel 1993 che la Convenzione di Vienna afferma che i diritti delle donne sono parte inalienabile ed indivisibile dei diritti umani universali. Da qui una particolare attenzione all’attuale conflitto per il vaglio e reperimento dei documenti, una sfida che dovrà affrontare la Corte Penale Internazionale. L’Ucraina, nel frattempo, ha predisposto programmi di reinserimento nel tessuto sociale per evitare il problema della doppia vittimizzazione. Da un lato si presenta la vittimizzazione in ambito processuale, dall’altro esiste la difficoltà della risocializzazione. In merito a ciò a maggio dello scorso anno è stato siglato un accordo tra le Nazioni Unite ed il governo ucraino per sostenere le vittime sulla base della risoluzione del Consiglio di Sicurezza per Donne, Pace e Sicurezza, in cui si afferma che le donne non sono solo vittime, ma agenti di cambiamento. Le relatrici ragionano anche sulla difficoltà di istituire processi difronte la Corte Penale Internazionale anche per l’uscita della Russia – dopo il 15 marzo – dal Consiglio d’Europa e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Esiste però una responsabilità che è in capo alle giurisdizioni nazionali dove c’è la possibilità che gli Stati possano giudicare i reati, secondo lo Statuto di Roma, indipendentemente dal luogo in cui sono stati commessi i fatti. Infine, è utile ricordare che esistono altri strumenti; ad esempio, all’interno delle Nazioni Unite vivono diversi comitati che hanno competenze in merito ai diritti umani e all’accertamento dei crimini.

Cristina Montagni

  • Al tavolo tecnico hanno collaborato: Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Maria Tripodi, sottosegretario agli Affari Esteri e alla Cooperazione internazionale, Paolo Lazzara, vice presidente Inail, Kateryna Levchenko, commissaria del governo ucraino per le politiche di parità di genere. Matilda Bogner, presidente della Missione ONU di monitoraggio dei diritti umani in Ucraina, Paolina Massidda, Principal Counsel presso l’Ufficio indipendente del Public Counsel per le vittime, Corte penale internazionale, Ghita El Khyari, Capo del Segretariato del Fondo per la pace e l’aiuto umanitario delle donne, Laura Guercio, sociologa dei diritti umani presso l’Università di Perugia ed esperta italiana del Meccanismo di Mosca dell’OSCE, Irene Fellin, rappresentante speciale del Segretario generale per le donne la pace e la sicurezza della NATO, Valeria Emmi, senior specialist per advocacy e networking del CESVI – Cooperazione, emergenza e sviluppo.

La donna nelle organizzazioni mafiose: tra solitudine e speranza

L’evoluzione del ruolo della donna nelle organizzazioni mafiose”, questo il titolo del convegno svolto a fine novembre presso l’aula magna della Suprema Corte di Cassazione e promosso dall’Associazione 7colonne, al quale hanno partecipato accademici e relatori per approfondire le trasformazioni delle donne nella criminalità organizzata. L’incontro segna come la forza, il coraggio e la fiducia nelle istituzioni possono avere un peso decisivo nel contrastare l’ideologia mafiosa.

Significativi gli interventi del primo presidente aggiunto della Corte di Cassazione, dott.ssa Margherita Cassano, il presidente della Pontificia Accademia Mariana Internationalis (Santa Sede), prof. Fr. Stefano Cecchin, il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, Cons. Elisabetta Ceniccola, il sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Cons. Diana De Martino, il vice direttore generale della pubblica sicurezza S.E. Vittorio Rizzi, l’accademico pontificio presso la Pontificia Accademia Mariana Internationalis (Santa Sede), prof. P. Gian Matteo Roggio, l’accademico pontificio presso la Pontificia Accademia Mariana Internationalis (Santa Sede), dott. Fabio Iadeluca.

Potere e ricchezza oltre il valore della persona

Le attuali conoscenze non consentono una visione organica della condizione femminile all’interno delle strutture mafiose. C’è un dualismo nell’essere donna all’interno di queste realtà che da un lato le porta alla premiership, dall’altro una ribellione alla sovrastruttura mafiosa. Certo è che nelle organizzazioni la donna riveste un ruolo cardine perché garante dell’educazione dei figli secondo “modelli e valori” improntati alla sopraffazione insieme al controllo del territorio. Gestisce gli affari in situazioni di difficoltà; perciò, la sua centralità diventa complessa quando si tratta di scegliere forme di imparentamento tra famiglie. “L’adesione a legami parentali” ha sottolineato Margherita Cassano “è orientata alla ricerca del potere e ricchezza che va oltre il valore della persona”. Un’altra spiegazione è che le donne dei clan mafiosi non si sono mai dissociate dalla famiglia, è il caso di Giuseppina Pesce – collaboratrice di giustizia – che disconoscendo la nipote ha affermato il tradimento della stessa. Un fenomeno oscuro è la scelta di alcune donne – estranee all’ideologia mafiosa – di entrare nel sistema per ottenere il riconoscimento del potere sul territorio. Infine, c’è il tema delle varie modalità di comunicazione che raccontano prospettive nuove per raggiungere particolari forme di dissociazione.

Famiglia e ambiente falsa prospettiva del tessuto sociale

Le mafie sono organizzazioni poliedriche con stili e codici d’onore diversi. Esistono mafie autoctone presenti nei territori e relazionarsi con queste realtà sociali significa comprendere la natura del fenomeno e com’è organizzato. La famiglia e la società civile sono elementi da non trascurare; infatti, le organizzazioni sfruttano i rapporti socio-familiari per plasmare un’istituzione parallela creando una sovrapposizione dei piani. La società mafiosa è molto devota, ma ha una falsa prospettiva del tessuto sociale, della religione e dell’essere umano; una visione distorta per conquistare potere e controllo all’interno e all’esterno della famiglia. In tale condizione la donna diventa il motore del nucleo familiare come è il caso di Serafina Battaglia che negli anni ’60 – prima collaboratrice di giustizia – ha mostrato quale fosse la sua caratura. A seguito dell’uccisione del figlio Salvatore Lupo Leale, nel ‘62 decise di collaborare, diventando testimone implacabile in molti processi. In conclusione, il filo rosso che lega le storie di mafia è fornito da due elementi: da un lato il senso di solitudine delle donne che hanno scelto una vita diversa, dall’altro un sentimento di speranza dettato dalla capacità di ascolto delle forze dell’ordine. Complessivamente queste narrazioni richiamano al senso di responsabilità, al rispetto e all’ascolto per accompagnare queste vite e ristabilire la giusta armonia.

Percorso virtuoso alla ricerca di nuova armonia nelle relazioni umane

Le donne di mafia hanno seguito il percorso di emancipazione delle donne nella società ma in senso negativo, questa condizione si può leggere come un elemento di liberazione. All’interno della società criminale, piramidale e strutturata, l’emancipazione femminile ha mostrato la capacità di assumere ruoli maschili, manageriali e decisionali. Nella “scalata” al potere, le donne hanno beneficiato – rompendo il tetto di cristallo – di una maggiore scolarizzazione e ciò ha generato un salto di qualità perché oltre ad assumere i ruoli tradizionali dell’uomo, ha valorizzato il know-how acquisito per impiegarlo nell’organizzazione. Nel tempo le associazioni criminali hanno maturato destrezza ed intelligenza strategica: è negli anni ‘90 che si diffonde un ruolo inedito delle donne, da una parte l’uso disinvolto dei mezzi di comunicazione, dall’altra saper tessere rapporti con i “colletti bianchi” per godere di una qualche forma di impunità. Esistono elementi di rottura positivi e negativi nella tradizione mafiosa. Positivi perché in diversi casi si è verificata una lacerazione dei codici tradizionali all’organizzazione, è il caso di testimoni e collaboratrici di giustizia, mentre tra i fattori negativi c’è un uso crescente dei mezzi di comunicazione verso l’esterno. Ci sono donne che per “rompere” con i clan di appartenenza, hanno sentito il bisogno di avvicinarsi allo Stato per salvare i figli in un contesto in cui avrebbero percorso le orme del padre, del nonno e del fratello. Oggi alcune di loro hanno compreso che esiste una speranza e un esempio proviene dal programma dell’Associazione Libera con il progetto “Liberi di scegliere”. Il protocollo firmato a luglio del 2020 e guidato dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, Tribunale per i Minorenni, Procura per i Minorenni, Procura di Reggio Calabria e Procura Nazionale Antimafia e sostenuto dalla CEI, propone di accogliere donne e minori che vogliono uscire dal circuito mafioso e indica una rete di protezione per assicurare un’alternativa di vita ai minori e alle loro madri provenienti da famiglie mafiose.

Percezione quantitativa del fenomeno secondo il sesso

Vice direttore generale pubblica sicurezza e direttore centrale della polizia criminale, S.E. Vittorio Rizzi

L’evoluzione della donna nelle organizzazioni mafiose è multiforme perché richiama il suo ruolo nel crimine. Indagini quantitative provenienti dalla sociologia criminale hanno mostrato che rispetto alla popolazione maschile, l’incidenza femminile si attesta tra il 10 e 20%; range confermato da elaborazioni compiute negli ultimi tre anni. Le statistiche evidenziano che su 904 soggetti ammessi al programma di protezione, solo il 5% della popolazione maschile ha beneficiato del sistema di protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia. Un dato che fa riflettere riguarda una platea ristretta di testimoni di giustizia che su un campione di 57 individui, il 32% è costituito da donne appartenenti alla Ndrangheta, di cui 11 ritenute ad alto rischio. La presenza femminile è attiva anche nella criminalità informatica, dove le competenze in questo settore giocano un ruolo rilevante. Per concludere, uno studio sulle neuroscienze condotto dall’università di Harvard, ha restituito un’immagine di speranza di una società sempre meno violenta. Le ragioni del declino della violenza risiedono nelle istanze civilizzatrici della società (empatia, cultura, conoscenza, femminizzazione) che superano i demoni della coscienza umana: predazione, violenza e istinto di sopraffazione.

La Chiesa contrasta la criminalità e restituisce alla donna un’immagine nuova

A destra l’accademico pontificio alla Pontificia Accademia Mariana Internationalis, prof. P. Gian Matteo Roggio

È un fatto che alcune esperienze religiose – come quelle musulmane – lasciano la donna in condizione di inferiorità e alla mercè dell’uomo. Per molto tempo questa è stata la condizione femminile all’interno delle organizzazioni criminali. Il loro futuro era stabilito, un futuro che non guardava agli interessi della persona, ma agli interessi dell’organizzazione rispetto alla quale si trovava in uno status di minorità. Da questo punto di vista le religioni in parte hanno concorso a creare quell’humus culturale che ha permesso alle associazioni di disporre delle donne a loro piacimento. “Questa visione” ha chiarito Gian Matteo Roggio “sta cambiando e le religioni oggi sono sensibili alla materia; infatti, a settembre durante il VII Congresso dei leader delle religioni mondiali in Kazakhistan “è stato ribadito che il compito della Chiesa è contrastare i fenomeni criminali, mafiosi e terroristici”. La consapevolezza di combattere queste realtà con le armi “deboli” della cultura passa attraverso un’immagine nuova della donna: non più in condizione di minorità ma una persona che vive la vita in perfetta uguaglianza tra i sessi; questa è la “carta” che le religioni possono offrire per combattere le organizzazioni criminali, un servizio rivolto all’intera comunità cercando un comune luogo di collaborazione.

Cristina Montagni

Presentazione Primo Osservatorio Digitale Europeo contro le molestie e violenze sul lavoro

La violenza di genere regolata da convenzioni ONU e UE, con l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile ratificata da 193 Stati delle Nazioni Unite, ribadisce l’impegno sul lavoro dignitoso, riduzione delle disuguaglianze, promozione della salute, benessere, eliminazione della violenza di genere e ogni forma di discriminazione. Per una sua piena applicazione è necessario accelerare su leggi, politiche, bilanci e istituzioni, per le quali si chiede un maggiore investimento sulle statistiche di genere poiché è disponibile meno della metà dei dati per monitorare il Goal 5.

Il 23 novembre presso la Camera dei deputati a Roma, l’associazione 6Libera.6come6 ha presentato il Osservatorio Digitale Europeo contro le molestie e violenze sul lavoro. Ad aprire il convegno l’onorevole Carolina Varchi, capo gruppo della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, la presidente dell’associazione 6Libera.6come6, avv. Dhebora Mirabelli e la criminologa Maria Pia Giulia Turiello, direttore del dipartimento Ricerca Business School Bocconi. Una giornata ricca di spunti accompagnata da magistrati e avvocati esperti che si sono confrontati con il mondo delle imprese per garantire alle vittime tutele, protezione ed affermare una cultura aziendale libera da discriminazioni, abusi, molestie e violenze.

Osservatorio Digitale Europeo contro le molestie e violenze sul lavoro

Un focus specifico nella giornata di studio per presentare il Osservatorio Digitale Europeo contro le molestie e violenze sul lavoro che avrà il compito di tracciare un percorso nazionale osservando il sistema normativo insieme a iniziative di prevenzione e contrasto. L’indagine predisposta per il contesto italiano indicherà strategie e politiche rispetto al fenomeno, segnalando necessità, best practice e proporre potenziamenti sulla materia. L’approccio metodologico si avvale di ricerche sul campo e studi provenienti dalla letteratura esistente. Un corpus di documenti costituito da trattati, convenzioni, dichiarazioni internazionali ed europee che delineano il fenomeno e indicano quali sono le tutele per lavoratrici e lavoratori. Esperti in materia analizzeranno rapporti e dati provenienti da organismi internazionali, sindacati, istituzioni e società civile, unitamente ai contratti nazionali di lavoro, accordi fra le parti sociali e datoriali e codici etici adottati dal settore privato. Un lavoro complesso in cui verrà esaminata l’impostazione penale ed amministrativa che regola il fenomeno italiano. Lo studio prevede iniziative di prevenzione definite dalle parti sociali, istituzioni e società civile, insieme a protocolli di intesa, documenti delle reti territoriali e regionali nelle aree metropolitane. Durante l’indagine saranno disposti gruppi di discussione con aziende e interviste ad hoc a figure del sistema sindacale, datoriale, istituzionale e della società civile. Le inchieste – di tipo qualitativo – avranno un approccio ricognitivo rispetto alle iniziative prese dagli organismi consultati per trarre raccomandazioni su aspetti normativi sociali e culturali.

Impatto economico causato dalla violenza di genere

Violenze sessuali e molestie incidono sulle vittime in termini di benessere, salute psico-fisica, dignità, autostima e lavoro. La regolarità degli atti persecutori impatta a livello fisico e psicologico attraverso sentimenti di paura, vergogna, rabbia, disperazione, ansia, depressione, sonno, etc. Questi avvenimenti provocano nella vittima stress post-traumatici, che sarebbe più esposta a comportamenti suicidari. Ci sono anche azioni che si manifestano con sistematicità; molestie sul lavoro all’interno del contesto aziendale o soggetti esterni all’impresa che incidono sulla salute e benessere di altri individui; testimoni, colleghi, pazienti e clienti, familiari e amici delle vittime. In generale questi indicatori provocano elevati costi sociali che pesano sulla collettività, sui bilanci delle aziende per potenziali assenze dei lavoratori, aumento del turnover del personale, incremento dei costi di reclutamento, formazione, reputation aziendale, crescita dei premi assicurativi e costi in consulenze mediche, spese per assistenza e prestazioni sociali dovute al pre-pensionamento.

Uniformità negli strumenti di prevenzione

Lacunoso sotto il profilo legale è il fenomeno della violenza di genere nel mondo del lavoro. La difficoltà risiede nell’assenza di una definizione universale che contempli aspetti e declinazioni. La legislazione internazionale (OIL Convenzione n. 190 e raccomandazione n. 206) stabilisce forme di protezione rispetto alle tipologie di molestie e violenze sul lavoro. Tuttavia, la mancanza di una visione comune suggerisce scarsa chiarezza rispetto all’identificazione del fenomeno e predisposizione di strumenti per la prevenzione e contrasto dello stesso. Poco studiati sono anche i comportamenti violenti che si manifestano sul lavoro come il bossing, bullismo e mobbing. La normativa contempla alcune tipologie di lavoratori; migranti, lavoratrici domestiche o stagionali, ma ignora una quota di lavori cosiddetti emergenti nati con la Gig economy (sistema basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo) che non solo produce lavoro povero ma concepisce forme di occupazione on demand dove i lavoratori sono senza garanzie e tutele sociali. Questo tipo di occupazione – precario, non controllato e mal retribuito – espone gli occupati ad elevati rischi di abuso e molestia.

Prevenzione, formazione e sensibilizzazione le parole chiave contro la violenza

Statistiche europee affermano che l’Italia è al decimo posto per denunce sulla violenza; solo una denuncia su dieci viene dichiarata, mentre i paesi del nord europa si attestano in cima alla classifica. La violenza, subita nei luoghi di lavoro, è dovuta a squilibri interni all’impresa – posizione dominante di un soggetto – dove la gerarchia nei rapporti di potere produce discriminazioni nei ruoli pubblici e privati. Studi epidemiologici indicano che oltre 200mila persone ogni anno si tolgono la vita per cause di lavoro e 1 persona su 5 compie questo gesto per la mancanza di occupazione. La probabilità di togliersi la vita è 3,5 volte più alta nelle donne e riconducibile a una rottura dell’equilibrio psicofisico della persona che nel tempo sviluppa risposte sul piano somatico e psicologico. La parola chiave per contrastare la violenza è prevenzione. Ma è necessario anche affiancare la denuncia in forma anonima e indicare la presenza di un responsabile in grado di fornire report aggiornati per monitorare comportamenti scorretti in azienda. In generale piccole e medie imprese pensano sia efficace definire linee guida, investire in formazione per prevenire azioni discriminatorie all’interno degli spazi di lavoro.

Indeterminatezza della norma

Un inasprimento della pena non conduce ad una riduzione del fenomeno criminale; è provato che nell’ipotesi in cui il legislatore sia intervenuto nell’acuire il regime sanzionatorio, i risultati non hanno prodotto le risposte sperate. Questa indeterminatezza pone questioni di carattere costituzionale; quindi, se l’obiettivo del legislatore era migliorarla, in realtà interventi successivi l’hanno depauperata. Con la legge 69 del 2019 (Codice Rosso) vi è stato il tentativo di codificare nuove fattispecie aumentando le pene, ma fenomeni come vittimizzazione secondaria, violenza assistita e atti persecutori in famiglia rappresentano un vero allarme sociale. In sintesi, tutti gli operatori del settore sono chiamati ad intervenire con investimenti in formazione per mitigare gli elevati costi sociali.

Educare alla non violenza è un esercizio che si impara in famiglia

Il codice rosso è “macchiato di sangue” perché le violenze sono perpetrate in vari contesti sociali. Il nostro paese è culturalmente impreparato nonostante la normativa sulle tutele e diritti soggettivi è definita da associazioni europee all’avanguardia, di fatto però mal applicata. La donna che denuncia va protetta in strutture adeguate e la Convenzione di Istanbul – ratificata dall’Italia nel 2013 – spiega che in assenza di una denuncia, la donna deve essere tutelata. In conclusione, la parola d’ordine è sensibilizzare per una rinascita culturale partendo dalla famiglia, luogo deputato alla crescita nel rispetto dei valori e della libertà.

Composizione Osservatorio Digitale Europeo

Comitato scientifico di coordinamento della ricerca: giuristi, imprenditori, esperti di relazioni sindacali, medici del lavoro e dirigenti ONU: giudice Valerio de Gioia; avv. Massimo Rossi, avv. Francesco Mazza, criminologa Antonella Formicola, avv. Massimo Oreste Finotto, On. Carolina Varchi, Prof. Sandro Calvani, presidente Società Italiana Medicina del Lavoro Giovanna Spatari, imprenditore Pierantonio Invernizzi, imprenditrice Giulia Giuffré, esperta relazioni sindacali Elisabetta Fugazza.

Esperti alla promozione per la diffusione della ricerca presso aziende italiane: dott. Carmelo Aristia, d.ssa Anna Sciortino, d.ssa Laura Piccolo, dott. Jonathan Morello Ritter, on. Giuseppe Catania, d.ssa Rosellina Amoroso.

Autorità e protagonismo femminile: un percorso da reinterpretare. Conferenza a Roma su Donne di Governo – La novità storica

Se l’attuale legislatura ha riconosciuto una donna capo del Governo in Italia, occorre chiedersi se tale risultato produrrà un avanzamento dell’autorità delle donne. Questo il focus del convegno Donne di Governo – La novità storica. “L’avanzata dell’autorità delle donne” organizzato il 28 ottobre a Roma presso Palazzo Valentini insieme alla Scuola di Alta Formazione Donne di Governo con il patrocinio della Consigliera di Parità della Città metropolitana di Roma Capitale, Gianna Baldoni. Giunto alla quarta tappa di un ampio percorso nazionale, hanno partecipato all’evento, donne elette, donne a servizio della comunità che condividono responsabilità politiche e amministrative.

Conferenza Donne di Governo – La novità storica

Il convegno oltre a suggerire visioni concrete, ha raccolto i frutti espressi in Lombardia, Marche ed Emilia-Romagna cui hanno aderito oltre 190 donne impegnate in politica e nelle istituzioni per riaccendere un dialogo sul significato di come governare in libertà e in fedeltà al proprio sentire. Le riflessioni sono state affidate ad Annarosa Buttarelli e Luana Zanella, direttrice scientifica e alla presidente della Fondazione Scuola di Alta Formazione Donne di Governo che hanno dialogato con le partecipanti alla loro prima esperienza da elette.

Dalle donne una politica relazionale. Analizzare e saper leggere la realtà

La tappa romana non si è limitata a narrare il valore della presenza femminile ma rinnova il concetto di autorità radicato nella differenza delle donne. Il percorso – secondo le relatrici – deve essere intercettato in un momento storico dove occorre mantenere alta la rete delle relazioni che sostengono l’agire politico femminile nella convivenza. È determinante promuovere ciò che è stato seminato nel corso della storia per concretizzarsi nella capacità politica di pensare. L’Italia non può dimenticare che la carta delle donne è stata una tappa riconoscibile – distante dal significato di parità e quote – ma espressione di un sentimento di trasformazione; facoltà di analizzare e leggere la realtà. Questi passaggi genealogici sono inevitabili per recuperare e cogliere il protagonismo femminile, renderlo di qualità e far sì che diventi patrimonio comune con la prospettiva “di strappare il popolo dal populismo”. Per avviare la transizione serve una politica relazionale in grado di riconciliare il sentire popolare, dare voce a chi non ha voce, tenere uniti corpo e mente, sentimenti e vita quotidiana. Le donne nel loro DNA hanno la forza di creare nuove chance; riordinare le relazioni sociali, portare ad un altro livello il conflitto tra donne e uomini che non sia solo quello della gestione del potere.

Gianna Baldoni, Consigliera di parità Città metropolitana di Roma Capitale

Più impegno per i lavoratori della Città metropolitana di Roma Capitale

Un’attenzione particolare va restituita alle lavoratrici e ai lavoratori impegnati nella Città Metropolitana poiché nel tempo l’interesse per questi lavoratori è diminuito dal lato amministrativo e personale. Secondo analisi condotte su scala nazionale dalla Fondazione, le sindache rappresentano il 33.2% sul totale di 2.659 persone e nella città metropolitana su 121 Comuni, solo 13 sono amministrate da donne. I dati mostrano che è necessario agire all’interno dei Comuni e per quanto attiene Roma occorrono interventi mirati alla formazione affinché le donne siano più presenti nel governo delle città. L’importanza delle funzioni che le donne rivestono nelle aree dell’amministrazione o ruoli politici è stato oggetto di studio dell’università di Boston dal quale si evince che le donne risultano meno corruttibili, più ponderate e perseveranti nel valutare i processi che sottostanno agli atti che riguardano i lavori pubblici. La ricerca ha indicato che il 22% delle donne con ruoli di rilievo, ha minore probabilità di essere indagata, abbassando il coefficiente di corruzione. Ciò mostra che le donne sanno gestire meglio le situazioni delicate oltre ad essere portatrici di valori quali la famiglia e cura dei figli.

Livia Turco, politica italiana

Decalogo del buon Governo

Le donne che ricoprono ruoli di potere devono rispondere a determinate regole per realizzare un buon governo. Livia Turco indica un decalogo, una “cassetta degli attrezzi” fatta di conoscenza del territorio in cui si vive, consapevolezza della carta delle donne, capacità di ascolto nella gestione dei tavoli di lavoro, autorevolezza, responsabilità nella scelta e rispetto dei tempi delle decisioni politiche in relazione alla vita delle persone. Essenziale è non delegare i procedimenti amministrativi agli uffici competenti, poiché ogni provvedimento deve essere accompagnato da valutazione e monitoraggio. Questa funzione spetta anche ai cittadini giacché essi non si limitano a conquistare le leggi ma hanno l’onere di verificare quanto viene applicato per restituire il risultato delle attività compiute. 

Un errore della politica non aver intercettato il bisogno delle donne

Dalle recenti elezioni è emersa una totale assenza sul tema di genere; infatti, una percentuale significativa di donne non è andata a votare, e nello spostamento dei flussi da sinistra a destra, sono emersi segmenti di società riconducibili anche al mondo della rappresentanza sindacale. Dei 18 milioni di persone che non hanno votato, c’erano precari, giovani, operai e fasce fragili della popolazione non intercettate dalla politica. Tra le cause della migrazione dei voti, sicuramente una comunicazione identitaria che ha riconosciuto nell’attuale premier una coerenza nelle azioni su più livelli. Un messaggio frutto di una decisione ponderata; segmentare la popolazione e incapacità di cavalcare il bisogno delle donne. Quest’ultima scelta si può cogliere negli investimenti dedicati alle infrastrutture all’interno del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che per le donne significa mancanza di servizi come asili nido, reti sociali, etc. In sintesi, è necessario adottare un meccanismo complesso partendo dalle esperienze personali per guardare al collettivo nella sua totalità. Politica, istituzioni, scuola e rappresentanza sindacale devono trovare lo slancio per stare insieme, fare rete attraverso la capacità di ascolto partendo dalle donne.

Elena Bonetti, deputata Camera dei deputati

Re-interpretare le regole come fu per le madri costituenti

Per Elena Bonetti bisogna riconoscere l’esistenza di regole obsolete nella gestione del potere e re-interpretare gli spazi per rendere competitivo l’esercizio dello stesso. Un altro modo è esercitare un ruolo che modifichi le regole del gioco – come fu per le madri costituenti – stabilendo un cambio di paradigma, trasformare il concetto di potere in concetto di potenza. Le funzioni delle donne devono essere riconosciute in tutte le specificità; capacità di attivare un’energia che altrimenti viene inespressa in una società dove esiste un elevato potenziale economico per competenza e talenti. Per una giusta rappresentanza è necessario attivare processi selettivi per uomini e donne, in grado di incidere in ambito pubblico, nelle aree regionali, nelle autorità di vigilanza per arrivare ai membri del parlamento. È inoltre indispensabile definire processi di partecipazione paritari in tutti i contesti democratici, al contrario si ripeterà un’inerzia storica in cui prevale il maschile sul femminile. Il precedente governo aveva introdotto la certificazione per la parità di genere, strumento volontario per le aziende in grado di promuovere la leadership femminile con il quale si offriva alle imprese vantaggi secondo un principio di premialità. L’impegno delle donne oltre ad essere a livello parlamentare, nella società civile e nell’amministrazione, deve orientarsi verso l’attivazione di processi di investimento per l’empowerment femminile che oltre ad essere un segno di giustizia è un atto di convenienza per l’intero Paese.

Cristina Montagni

Relatori alla conferenza Donne di Governo. La novità storica

Gianna Baldoni, Consigliera di parità della Città metropolitana di Roma Capitale, Tiziana Biolghini, Consigliera delegata alle pari opportunità di Città Metropolitana Roma Capitale, Svetlana Celli, Presidente Assemblea Capitolina, Lorenza Bonaccorsi, presidente primo municipio, referente Pari Opportunità di ALI, Tina Balì, Segretaria Nazionale FLAI CGIL, Elena Bonetti, deputata alla Camera dei deputati, Livia Turco, politica italiana. Per il gruppo di coordinamento della rete La novità storica, Donatella Albini, Alessia Cappello, Andrea Catizone, Maria Rosa Conti, Giovanna Piaia e Francesca Zajczyk.

Prevenzione e lotta alle molestie sessuali nel gioco online. “ENHAGA” l’innovativo progetto italiano finanziato dalla COMM UE. Intervista a Gabriella Fabrizi responsabile del programma per la San Saturnino Onlus di Roma

Solitudine, disagio psicologico e abbandono scolastico, la vita degli adolescenti peggiorata con la pandemia, ha prodotto angoscia e crescita incontrollata nell’attività virtuale. Un mix di sentimenti che hanno portato alla luce forme di violenza sessuale visibili all’interno del contenitore virtuale. Il progetto europeo “ENHAGA – End Sexual Harassment in Gaming” – realizzato con indagini statistiche, focus group e interviste online fra gli adolescenti – ha presentato tecniche innovative per sconfiggere le molestie sessuali nel gioco online.

La Testata Women For Women Italy – a margine della Conferenza finale Transnazionale – ha intervistato Gabriella Fabrizi, responsabile della Cooperativa San Saturnino ONLUS di Roma, per conoscere gli obiettivi dello studio finanziato dalla Commissione Europea, inserito nel programma “Rights, Equality and Citizenship” insieme a 7 partner europei (Cipro, Grecia, Italia, Regno Unito), che rende unico questo modello ai fini della prevenzione delle molestie informatiche nei confronti delle giocatrici e giocatori.

Ho chiesto alla titolare del progetto se nel corso dell’indagine sono emerse correlazioni tra molestie sessuali e gioco online e se il fenomeno riguarda solo il nostro Paese o ne coinvolge altri in Europa.

Dottoressa come nasce il progetto, a chi si rivolge e quali finalità si propone di raggiungere?

L’idea del progetto è nata dalla consapevolezza che l’industria del gioco è enormemente cresciuta negli ultimi decenni. Si rivolge soprattutto ai giovani che trascorrono un buon numero di ore a giocare. Diversi studi hanno mostrato che esiste un divario di genere nell’atteggiamento verso il gioco che si manifesta in una varietà di aspetti ed espressioni. Il tempo che le ragazze dedicano ai giochi elettronici è limitato e man mano che maturano il livello di coinvolgimento tende a diminuire a causa di pregiudizi di genere e molestie aggressive nei confronti delle giocatrici. Il gioco femminile è un aspetto ancora poco studiato e le giocatrici riferiscono di aver subito molestie mentre giocavano online. L’obiettivo dello studio era sviluppare e implementare pratiche innovative per eliminare le molestie informatiche nei confronti delle giocatrici attraverso lo sviluppo di un gioco online con strumenti associati per educare le giovani su come reagire alle molestie sessuali informatiche, denunciare gli incidenti e silenziare coloro che vengono spesso denunciati dalle chat online. Il progetto era anche finalizzato a promuovere attività di sensibilizzazione in contesti specifici con la creazione di un manuale di comportamento online per attivare ambienti di gioco privi di molestie per tutti.

Gli obiettivi erano:

a) Prevenire e combattere le molestie psicologiche online soprattutto per le ragazze e le giovani giocatrici

b) Promuovere lo sviluppo di capacità per i professionisti nel settore dei videogiochi

c) Far sì che i giocatori provenienti da contesti diversi, contribuissero a diffondere la conoscenza della necessità di combattere la violenza basata sul genere.

d) Fornire agli stakeholder consapevolezza, strumenti e competenze per denunciare le molestie informatiche e costruire ecosistemi di tolleranza e rispetto tra i generi.

Durante il ciclo di vita del progetto – 30 mesi – i partner hanno elaborato:

  • L’e-Book “Ending Sexual Harassment in Gaming: A review from the UK, Greece, Italy and Cyprus”, che dimostra come l’ambiente dei giochi online possa essere sia uno spazio sicuro per le giocatrici, sia un’arena in cui si perpetuano comportamenti illegali e abusivi come le molestie sessuali, insulti e minacce.
  • Il gioco ENHAGA destinato ad un solo giocatore che include attività coinvolgenti che incoraggiano i giocatori a identificare le molestie sessuali informatiche e reagire ad esse. I giocatori possono imparare cosa sono le molestie sessuali informatiche, come i giochi e le piattaforme adottano azioni contro di esse e come gli utenti possono utilizzare queste funzioni per proteggersi.
  • Kit di strumenti per la formazione ENHAGA; una guida al comportamento online, per favorire la trasferibilità e l’adattamento dei risultati di ENHAGA in diversi contesti formativi.
  • 4 serie di attività formative pilota per l’implementazione e la sperimentazione del gioco con almeno 400 giovani giocatori, in particolare giovani donne.
  • 4 serie di workshop pilota per 200 professionisti del settore, educatori, insegnanti, genitori.

Quali sono stati gli elementi che hanno contribuito fra i giovani a modificare il proprio modo di relazionarsi?

Gabriella Fabrizi responsabile progetto ENHAGA

Abbiamo riscontrato che l’uso di internet e social media ha molti effetti positivi ma allo stesso modo può averne di negativi. Se da un lato facilita la socializzazione, diminuendo l’ansia sociale che molti adolescenti provano, dall’altro può diventare un boomerang. L’uso eccessivo dei social media, il bisogno di rendere pubblica la propria vita per sentirsi accettati può indurre ad una sorta di dipendenza che spesso contribuisce ad aumentare il senso di inadeguatezza personale e favorire ansia, scarsa autostima e tristezza. L’ansia di ricevere “mi piace”, condivisioni, avere molti follower in una competizione con gli altri (amici veri e amici soltanto virtuali), rischia di allontanarli dalle vere relazioni personali. Durante la pandemia, l’uso dei social e delle piattaforme di gioco è aumentato in modo rilevante ed hanno contribuito a sostituire le relazioni personali che a causa delle restrizioni interrotte per Covid 19.

Durante la raccolta delle informazioni avete riscontrato criticità? Se sì, quali i più evidenti?

Abbiamo verificato che il problema delle molestie e della violenza in genere (insulti, ricatti, minacce) colpisce i giovanissimi e persone più adulte. Molte giocatrici, ad esempio, pur di non rinunciare a giocare “accettano” determinati episodi, come se questo fosse lo scotto da pagare per continuare a svolgere un’attività che a loro piace. Altre camuffano la propria identità.

Quali sono le modalità più frequenti per adescare i giovani online?

In genere i molestatori si presentano all’inizio come amici: rivolgono alla vittima complimenti e offrono supporto. Non appena la vittima ha acquisito fiducia, cominciano a fare richieste di dati personali; informazioni e foto, in una escalation che arriva alle minacce. Il nostro gioco ENHAGA mostra esattamente questi aspetti.

Fra gli adolescenti ha verificato reticenze nel rispondere alle domande?

Molte. Questa è stata una delle sfide che abbiamo affrontato nel corso del progetto: rassicurare giocatrici e giocatori affinché superassero il senso di vergogna. Ciascun partner ha coinvolto giocatrici e giocatori sia nella fase iniziale di ricerca, attraverso focus group e interviste individuali di approfondimento, sia nella fase sperimentale (attività formative). Come spesso accade, chi subisce molestie prova vergogna e si attribuisce colpe che non ha, per questo le denunce sono poco numerose. D’altro lato, c’è la sfiducia: la maggior parte non crede che la denuncia porti alla soluzione del problema.

Quali strumenti suggerisce per una maggiore prevenzione e responsabilizzazione dei giovani?

È importante tornare ad agire sul piano della prevenzione e il luogo privilegiato deve essere la scuola, a partire dalle elementari e medie. Noi riteniamo sia necessaria una educazione emotiva e relazionale, occorre riflettere con bambini e ragazzi su concetti quali rispetto reciproco, empatia, amicizia, solidarietà e protezione. Va approfondito anche il concetto di libertà, che in molti social viene presentato come “io faccio quello che voglio”: non solo va “liberato” dagli atteggiamenti egoistici e misurato attraverso alcune regole di civiltà, ma va soprattutto riportato ad un senso di comunità sociale.

Il progetto ha elaborato un gioco per educare sulle molestie sessuali informatiche? Come vengono coinvolti i giocatori nelle varie attività?

Il gioco ENHAGA è un gioco individuale: ciascuna giocatrice – giocatore può seguire una storia che si dipana in un crescendo di situazioni di rischio ma anche di opzioni da scegliere per attivare comportamenti di protezione. A seguito della sperimentazione, abbiamo capito che potrebbe essere utilizzato anche in contesti di gruppo, ad esempio nell’ambito di progetti da svolgere in collaborazione con le scuole.

I video giochi in ambito sociale spesso non vengono presi in considerazione. Esiste una chiave vincente per porre fine alle molestie sessuali del gioco online?

Un fattore importante è costituito da meccanismi di sanzionamento (segnalare, silenziare/oscurare, espellere) che gli sviluppatori delle piattaforme di gioco potrebbero inserire o aumentare. Non tutte le piattaforme li adottano. I molestatori accedono con false identità e una volta espulsi ne costruiscono un’altra. Occorre poi prendere atto che i videogiochi e le attività online sono una realtà e devono essere utilizzati positivamente anche dagli educatori. Durante l’attività formativa-informativa del progetto condotta con operatori, insegnanti, genitori e professionisti del settore dei videogiochi, abbiamo riscontrato che in generale vi è una mancanza di consapevolezza. Esiste una generica preoccupazione (per il tempo che i ragazzi dedicano al gioco e non allo studio, per il rischio di isolamento) ma la maggior parte non sa quali rischi si corrono oppure ritiene che si tratti di rischi evitabili (basta non rispondere, basta non accettare). Con questo progetto non abbiamo voluto demonizzare i videogiochi: al contrario siamo partiti dall’idea che possono anche essere utili non solo in senso ludico ma anche sul piano preventivo ed educativo.

Cristina Montagni

Diritti delle ragazze dalla Piattaforma di Pechino alla parità. Dialogo con la Women Federation for World Peace e Ufficio del Parlamento Europeo in Italia

“Essere ragazze oggi: difficoltà ed opportunità”. E’ il tema della conferenza organizzata dalla Women Federation for World Peace insieme all’Ufficio del Parlamento Europeo in Italia per il 30esimo anniversario della federazione al fine di promuovere la cultura della pace valorizzando le peculiarità femminili e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Nella Giornata Internazionale delle bambine e delle ragazze, l’evento del 13 ottobre a Roma ha sottolineato le difficoltà che le donne affrontano nel mondo nonostante le sfide e la confusione dei valori.

All’incontro hanno partecipato, Carlo Corazza, capo ufficio del Parlamento Europeo in Italia, Silvia Sticca, avvocata esperta in criminalità organizzata e vicepresidente Ass. 7Colonne, Virginia Vandini, presidente Ass. Il valore del femminile, Elena Centemero, Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, Barbara Schiavulli, direttrice di Radio Bullets, Maria Gabriella Mieli, vicepresidente WFWP Italia, Souad Sbai, presidente Acmid-Donna Onlus Ass. Donne marocchine, Maria Pia Turiello, criminologa forense ed Elisabetta Nistri, presidente WFWP Italia.

Giustizia, uguaglianza e libertà. Diritti ancora negati

Carlo Corazza, capo ufficio Parlamento Europeo in Italia

La dichiarazione di Pechino del 1995 fissa le regole in tema di diritti delle ragazze, successivamente il 19 dicembre 2011 l’Assemblea delle Nazioni Unite adotta la risoluzione 66/170 che stabilisce l’11 ottobre la Giornata Internazionale delle Bambine con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione ad una maggiore consapevolezza sulle sfide che affrontano nel riconoscere i propri diritti. Molte ragazze nel mondo sono vittime di stereotipi ed esclusione, alcune vivono in condizioni di disabilità ed emarginazione nonostante l’impegno ad abbattere le barriere per raggiungere la parità di genere ed un futuro migliore. La conquista dell’uguaglianza, libertà ed emancipazione rientra nei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile; solo garantendo tali diritti le ragazze potranno acquisire giustizia ed inclusione, un’economia equa e un futuro condiviso.

Sfruttamento e abusi sulle donne. Quali strategie contro le discriminazioni

La vita delle donne in alcune aree della terra è critica perché legata a fenomeni di sfruttamento e abusi. Il richiamo alla giornata internazionale nasce dalla consapevolezza che occorre proteggerle sin dall’infanzia per tutelarle da ogni forma di discriminazione. Questo assioma – recepito dalle Nazioni Unite – viene ricordato ogni anno dagli Stati perché portatore di un forte messaggio di sensibilizzazione. All’interno della Convenzione di Pechino è presente un capitolo che riguarda le bambine considerandole un valore strategico ai fini dell’integrazione, emancipazione, sviluppo economico-sociale, istruzione e salute delle donne. Inoltre, è attivo un comitato Onu che esamina i progressi compiuti dagli Stati sull’attuazione dei diritti dei minori, l’Italia produce report che vanno nella stessa direzione e l’Europa si impegna ad indicare direttive strategiche per rafforzare l’attuazione degli stessi.

Dipendenza dai social. Adolescenti privi di interessi fuori dalla realtà virtuale

Nel 2021 è stato osservato il tema delle fake news intervistando 26mila adolescenti provenienti da vari paesi dove è emersa la difficoltà di distinguere informazioni vere da quelle false provenienti dalla rete. La complessità del tema ha portato alla luce problemi di salute mentale, sconforto e bassa autostima. La materia relativa ai social interessa soprattutto giovani; infatti, nel 2022 sono emerse situazioni allarmanti dove in futuro sarà necessario intervenire con strumenti legislativi dedicati prendendo come esempio le linee adottate dalla Norvegia e Inghilterra. L’indagine ha mostrato che l’85% delle ragazze tra i 12 e 16 anni utilizza filtri o schermi per modificare i tratti del viso, cambiare identità e pubblicizzare un’immagine distorta che provoca azioni perverse intorno alle quali è difficile sottrarsi a meccanismi distruttivi. Questi fenomeni provocano una forte de-realizzazione e de-socializzazione che tende a separare il proprio io dalla realtà, compromettendo le relazioni personali come l’incapacità di coltivare i propri interessi al di fuori della realtà virtuale.

Bassi livelli di scolarizzazione danneggiano salute e autoimprenditorialità    

Secondo stime Unicef, l’analfabetismo nel mondo si attesta a 132milioni di ragazzi; 35milioni non frequentano le scuole elementari e 97milioni le medie. Questi dati raccontano che i giovani costretti a vivere situazioni di conflitto, spesso sono esclusi dal sistema educativo. L’Unicef ricorda che dei 781milioni di analfabeti nel mondo, 2/3 sono donne che vivono in regioni rurali dove le famiglie tradizionali isolano le figlie per destinarle ad un matrimonio precoce, contribuendo a mantenere basso il livello d’istruzione, peggiorando le condizioni di salute e quella dei figli che nasceranno malnutriti. L’istruzione incide inoltre sulla capacità delle donne di intraprendere una propria attività; la scuola, quindi, oltre ad essere un luogo sicuro, protegge dalla violenza e dalle mutilazioni genitali femminili.

L’Italia cresce con patti educativi di comunità

In Italia secondo rapporti Istat, Eurostat ed OCSE, emerge che il 49% delle donne possiede il diploma e il 29% consegue un titolo accademico. Quest’ultimo dato però non produce effetti positivi sull’occupazione perché le ragazze non sono indirizzate alle materie STEM (settori ad alto valore professionale) in grado di generare nel tempo maggior reddito. Le ragazze che frequentano facoltà non scientifiche avranno un futuro più incerto, lavori intermittenti, part-time, basse retribuzioni che andranno ad incidere sulle pensioni future. Il ministero dell’istruzione italiano deve quindi adottare una visione sistemica; mettere in atto patti educativi di comunità, co-progettazione tra scuole, enti locali, associazioni del terzo settore al fine di coinvolgere studenti e docenti per una buona pratica educativa.

I social non vanno demonizzati

Attualmente possiamo acquisire informazioni da diverse parti nel mondo grazie alla rete. Si pensi ad esempio alla situazione delle iraniane che convintamente stanno protestando per raggiungere una libertà oramai compressa da anni. La rete è un “veicolo” potente che offre la possibilità di interfacciarsi con il mondo, inviare richieste di aiuto, documentare con immagini e video una realtà spesso distorta o mistificata dalla propaganda. Questo è il lato positivo dell’informazione che denuncia fatti in violazione dei diritti umani. La giornalista Barbara Schiavulli di Radio Bullet – esperta di conflitti di guerra, esteri e diritti umani – ha raccontato attraverso esperienze sul campo, storie di donne e ragazze private dei diritti più elementari, storie dove l’apartheid di genere è diffuso, dove la soglia di povertà raggiunge il 98% e ogni diritto è calpestato: divieto di cantare, indossare un profumo, scegliere il marito, lavorare, etc. Queste donne, afferma Schiavulli, costrette a vendere i propri figli per pagare l’affitto di casa, mangiare e sopravvivere, meritano giustizia e dignità.

Violenza assistita subita dai minori

Maria Pia Turiello, criminologa forense

Esistono diverse tipologie di violenza che si manifestano all’interno della famiglia, una riguarda il maltrattamento dei minori che può essere fisico, psicologico e sessuale. C’è anche la violenza assistita che obbliga i bambini ad assistere ai maltrattamenti; atti di violenza fisica, verbale e psicologica che subisce la donna all’interno delle mura domestiche. Questo fenomeno – spesso sommerso – riguarda il 19% dei minori maltrattati che vengono successivamente presi in carico dai servizi sociali. Nel 2011 la Convenzione di Istanbul definiva a livello internazionale un ampio quadro giuridico al fine di proteggere le donne da ogni forma di maltrattamento, dove veniva riconosciuto che anche i bambini sono vittime di violenza domestica perché testimoni all’interno della famiglia. Nonostante ciò, queste leggi non vengono mai prese in considerazione. È vero che i figli non sono direttamente interessati, ma assistere ad atti violenti nei confronti di un genitore produce gravi conseguenze psicologiche, compromette lo sviluppo del minore, conduce a disturbi alimentari e talvolta il suicidio. I ragazzi crescendo diventeranno violenti e avranno relazioni malate dove l’unico sentimento che riconoscono è la forza che diventerà normalità.

Mission della WFWP Italia

Elisabetta Nistri, presidente WFWP Italia

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres durante la Giornata Internazionale delle bambine e delle ragazze ha dichiarato: “Ora più che mai dobbiamo rinnovare il nostro impegno a lavorare affinché le ragazze esercitino i loro diritti e possano svolgere un ruolo pieno ed eguale nelle loro comunità e società. Investire nelle ragazze significa investire nel nostro futuro comune”. Gli investimenti nei diritti delle ragazze sono ancora limitati ed esse continuano ad affrontare sfide per realizzare il loro potenziale aggravato dai cambiamenti climatici, pandemie, conflitti per una migliore istruzione, benessere fisico-mentale e una vita senza violenza. La federazione WFWP Italia ha come obiettivo principale restituire centralità agli individui, lavorare sulle relazioni, dare potere alle donne attraverso l’istruzione, creare un ambiente di pace e benessere per le persone di tutte le razze, culture e credi religiosi. Numerosi sono i progetti realizzati negli anni grazie ai gemellaggi con scuole straniere ed ambasciate insieme al sostegno di esperti ed ambasciatori di pace per coordinare programmi educativi in Italia e all’estero centrati sull’adolescenza. Infine, oggi è più che mai necessario stringere rapporti e legami duraturi con i governi affinché ciò che è stato siglato venga approvato ed ovunque applicato.

Cristina Montagni

Donne nella diplomazia internazionale per sostenere percorsi di Pace. Intervista a Elisabetta Nistri Presidente di WFWP International Italia

Cercare la Pace è responsabilità di tutti, ma senza l’impegno diplomatico delle donne, ogni tentativo di mediazione vanifica gli obiettivi primari nel rispetto dei Diritti Umani per tutti, incluso donne e ragazze. Women For Women Italy ha intervistato in esclusiva la Presidente della Federazione WFWP International Italia Elisabetta Nistri per analizzare il contributo delle donne ai processi di pace, prevenzione e conflitti negli scenari internazionali.

Il valore femminile è determinante per raggiungere la Pace e la Sicurezza nel mondo. La Presidente Elisabetta Nistri racconta alcune esperienze di donne che sono riuscite a portare il loro sostegno nei consessi nazionali ed internazionali con una ricaduta positiva su altre popolazioni femminili inserite in contesti disagiati del mondo.

Elisabetta Nistri, Presidente WFWP International Italia

Presidente Nistri quando è nata la Federazione e qual è il suo impegno all’interno della Women’s Federation For World Peace International?

Sono presidente della Federazione delle Donne per la Pace nel Mondo in Italia dal 2012 che fa parte della WFWP International, Organizzazione non Governativa presso la Commissione Economica e Sociale delle Nazioni Unite oltre ad essere affiliata al Dipartimento di Informazione Pubblica. Dal 1997 l’Organizzazione ha ottenuto questo status e in seguito le è sempre stato confermato grazie ad una rete di attività locali e internazionali che interessa oltre 130 nazioni. La WFWP sostiene con determinazione gli obiettivi dell’Agenda 2030 dello Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.

Chi sono i fondatori e qual è il sentimento della WFWP nel rivolgersi al mondo?

L’Organizzazione nasce in Corea nel 1992 per volere dei coniugi Moon, successivamente la WFWP ha sensibilizzato le donne di tutto il mondo perseguendo la pace e facendo appello alle particolari doti femminili; perdono, resilienza, empatia, riconciliazione e attenzione ai bisogni di ognuno. La Pace – secondo i Moon – non deve intendersi come assenza di guerra ma capace di influenzare lo stato d’animo delle persone attraverso la costruzione della famiglia, allargando la visione alle relazioni sociali per aprirsi all’intera struttura sociale. Questi valori sono importanti, solo così i cittadini vedono rispettati i propri diritti e si impegnano ad adempiere ai propri doveri.

Durante il suo lavoro ha incontrato donne impegnate nel promuovere la Pace?

Durante la mia attività ho incontrato donne che hanno fatto la differenza, ma lungo il percorso mi sono resa conto dei numerosi ostacoli; dalla partecipazione alla vita pubblica, all’ottenimento del rispetto degli stessi diritti umani che conosciamo come Diritti dell’Uomo. 

Quanto il lavoro delle donne contribuisce alla risoluzione dei conflitti?

È statisticamente dimostrato che la partecipazione delle donne ai tavoli di pace aumenta del 25% la probabilità di una soluzione diplomatica e pacifica del conflitto tra le parti. Purtroppo non è facile, anzi proprio dove ci sarebbe più bisogno della presenza femminile questa viene ostacolata, basta pensare alla Birmania e a quello che sta accadendo in quel paese. In genere, per loro natura – uomini e donne – ragionano in modo diverso: per l’uomo la soluzione di un conflitto si ottiene quando una parte vince sull’altra ed il nemico viene annientato. Mentre la donna per arrivare alla risoluzione del problema cerca il dialogo su un terreno comune, un accordo che porti beneficio ad entrambi le parti in causa. Su questa base c’è interesse a mantenere l’accordo di pace e con il tempo è possibile sciogliere il risentimento e il dolore che la guerra o il conflitto ha arrecato a tutti i popoli coinvolti, sia esso oppresso che oppressore.

Quali sono i problemi urgenti che affliggono le donne e ragazze che vivono in Paesi nei quali vengono violati i diritti fondamentali?

Accennerò ad uno dei tanti problemi, cioè la possibilità di accesso all’educazione per bambini e bambine, ma sappiamo che le bambine sono più penalizzate. Le faccio un esempio e riguarda l’educazione delle donne in Afganistan. Per diverso tempo la WFWP International ha lavorato nel paese finché è stato possibile per contribuire all’educazione, attualmente sosteniamo una scuola in India che accoglie le ragazze profughe offrendo loro istruzione. Attualmente grazie ad una rete di contatti in Afghanistan sappiamo cosa sta succedendo infatti molte donne non lottano più per avere la parità dei diritti dell’uomo, ma scendono in piazza solo per rivendicare un lavoro e portare a casa qualcosa per sfamare i propri figli. Abbiamo poi sostenuto con una donazione la giornalista Barbara Schiavulli di Radio Bullet che si è recata sul posto per una missione umanitaria. Poi anche la storia di Aziz lasciata dal marito con 3 figli di cui la più grande era stata rapita dai Talebani e mai più tornata a casa. Il cognato le chiedeva la figlia di 3 anni per saldare il debito dell’affitto della casa ma grazie al nostro intervento abbiamo evitato che ciò accadesse, ora è entrata in un percorso di protezione. Altra emergenza riguarda la condizione sanitaria – precaria per tutti – ma insostenibile per le donne che possono essere visitate solo da medici donna che non hanno accesso agli studi e possono ricevere lezioni solo da una donna. Le donne rischiano costantemente la vita per partorire o per una banale influenza. C’è però un esempio positivo che desidero raccontare e riguarda la storia di SAKENA IACOOBY che dopo essersi laureata in America è tornata in Afghanistan nel 1995 per aprire scuole che accogliessero bambini e bambine. Quando è stato vietato alle bambine di andare a scuola, lei si recava nelle case delle famiglie per insegnare alle bambine, più tardi ha fondato the AFGHAN Institute of learning, che comprende scuole, ospedali e centri di rifugio per ragazzi e ragazze soli. Per il suo impegno ha ricevuto numerosi premi a livello internazionale, tra cui il SUN HAK PEACE PRIZE, premio concesso dalla Dott.ssa Moon alle persone che si sono distinte per il loro impegno per la pace, scelte da una selezionata giuria.  “Sono convinta che l’istruzione è la chiave per sbloccare il potenziale umano, ma può funzionare solo se le persone sono sane, l’economia è stabile e il paese è sicuro”.

Quali sono le attività future della WFWP per garantire protezione, educazione a bambini e bambine afgane?

La nostra preoccupazione riguarda la condizione delle donne e dei bambini, per questo insieme all’ufficio WFWP a Vienna e il supporto del team YOUTH WFWP è stata definita una dichiarazione scritta, presentata e accolta ad agosto 2021 dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e dalla sezione speciale sull’Afghanistan. I principali contenuti della dichiarazione sono i seguenti:

Esortiamo tutti gli stati membri a insistere costantemente sul diritto fondamentale ad avere una istruzione di qualità per tutti (bambini e bambine) ed inoltre si chiede che venga garantita la protezione degli educatori e degli istituti educativi (è un fatto che le bandiere e le regole talebane vengono imposte alle istituzioni educative, creando un’atmosfera di paura, trauma e sfiducia che può portare alla radicalizzazione di giovani e bambini).

Cosa sono i bridge of peace?

La WFWP è animata dal desiderio di abbattere le barriere, per questo realizza Cerimonie di Gemellaggio, come “Ponti di pace e riconciliazione” tra donne appartenenti a paesi nemici o comunità etniche e religiose che magari vivono fianco a fianco all’interno di una nazione spesso in conflitto tra loro! A Padova 2018 per il centenario fine Prima guerra mondiale, tra donne italiane, slovene e austriache e in Medio Oriente tra donne ebree, musulmane.

Lo spirito è creare una rete tra leadership femminili improntata alla pace e, l’ufficio della WFWP Int. alle ONU a Ginevra, ha promosso attività con l’Associazione First Ladies for Peace, che coinvolge past, present first ladies e donne leader tra cui l’On. Emanuela Del Re, rappresentante dell’Unione europea per il SAHEL che ha partecipato lo scorso anno al convegno “il ruolo delle donne nella diplomazia internazionale” e parteciperà il prossimo 15 settembre al convegno Europeo “il contributo che le donne stanno portando ai processi di pace, prevenzione dei conflitti e sicurezza”. Infine, la dott.ssa Moon in collaborazione con altre organizzazioni per la pace, sta lavorando per promuovere la riunificazione della Corea, attraverso la creazione di un THINK THANK di esperti e leader politici mondiali, e altre iniziative, tra cui la Peace Road, evento svolto a Berlino a fine luglio, per ribadire il NO ALLA GUERRA e scongiurare che NUOVI MURI vengano costruiti in Europa. Io stessa ho portato il messaggio della WFWP davanti alla porta di Brandeburgo e nella manifestazione davanti al Parlamento tedesco.

Cristina Montagni

A Roma la Corte Suprema di Cassazione apre alla I° Conferenza Nazionale su “L’Eccellenza è Donna”

Storie di donne eccellenti, esperienze uniche, insieme per arrivare all’equilibrio di genere che non è la quota, né la parità salariale ma interessa temi più ampi che investono l’intera società. Così l’Alta Corte di Cassazione di Roma, il 30 giugno per la prima volta ha aperto le porte alla I° Conferenza Nazionale sul tema “L’Eccellenza è donna”.

Corte Suprema di Cassazione – I° Conferenza Nazionale su “L’ECCELLENZA E’ DONNA”

Il talk diviso in tre panel, organizzato dall’Associazione 7 Colonne e Tutti Europa 2030, grazie all’intuito delle organizzatrici, Silvia Sticca e Francesca Romana D’Antuono, hanno indicato le strategie per realizzare l’equilibrio di genere e il valore della lobby per tradurre le istanze femminili in linguaggio politico con azioni di pressione sulle istituzioni. Dal focus “Esperienze” sono emerse le qualità femminili per raggiungere traguardi spesso privilegio degli uomini. Nel panel “Donne, Pace e sicurezza” le oratrici hanno conversato sul ruolo di leader nelle comunità e in “Associazione ed attivismo” è emersa la spinta dal basso delle associazioni per ottenere la parità di genere. Il fil rouge di rappresentanti del mondo accademico, giurisprudenza, pubblica amministrazione ed economia è stato il target 5 dell’Agenda ONU e la Risoluzione n. 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su “Donne, Pace e sicurezza”, che ha sottolineato la capacità di essere “agenti di cambiamento” nei processi di pace nelle aree di conflitto (missioni internazionali, mediazione, negoziazione, costruttrici di pace) e leader indiscusse nella scena pubblica.

Il faticoso cammino delle donne divise fra stereotipi e carriere eccellenti

Essere donna e giudice fa la differenza in senso positivo, ma in passato i traguardi professionali erano subordinati agli impegni familiari soprattutto in tempi dove esistevano marcate asimmetrie di trattamento, senza dimenticare che nel diritto di famiglia vi erano disparità tra moglie e marito, figli illegittimi e naturali, coniugi e conviventi. L’emancipazione passa per la capacità di mediare situazioni ostili e consente ai giudici di assolvere al ruolo fisiologico di mediatori, tra astrattezza, semplificazione e complessità per raggiungere un risultato favorevole. Gli ostacoli nella carriera nascono dalla mancanza di servizi a supporto della famiglia, occorre uscire dagli schemi, fare squadra per conquistare il giusto posto nella società. Attualmente stereotipi nei settori della scienza e ricerca sono evidenti, ma le donne che ce l’hanno fatta possono dedicarsi al mentoring, affiancare le giovani studiose nel trasferire consigli, informazioni ed esperienze. Un rapporto che non termina con l’apprendimento ma dura nel tempo soprattutto per chi è orientato alla ricerca. In questo contesto pregiudizi e stereotipi vanno superati soprattutto se si guarda alla carriera forense il cui gap uomo-donna tocca il 50%. Per agevolare le pari opportunità bisogna sostenere la maternità in un’ottica sistemica, incidere sulle competenze ed occupare spazi a lungo negati.

A sinistra Drssa Maria Pia Turiello, al centro Drssa Elisabetta Nistri, a destra Drssa Asmae Dacian

Diplomatiche e costruttrici di pace e stabilità

Nell’attuale contesto storico è necessario far fronte alle crisi internazionali e riflettere sul peso delle donne nei processi di pace. Tema nodale cui è impegnata la comunità internazionale; dalle Nazioni Unite alle organizzazioni regionali, dai singoli Stati alla società civile. Davanti al cambiamento le donne mostrano sensibilità nell’affrontare situazioni avverse, una naturale capacità di resilienza rispetto agli eventi traumatici; la forza di ricostruire sé stesse, la propria famiglia, la comunità di appartenenza partendo dalle radici per crescere e generare vitalità. Nel mondo le donne sono protagoniste nei processi di ricostruzione per evitare i conflitti, risorsa determinante per garantire pace e sicurezza nelle fasi di prevenzione e ricostruzione negli eventi post bellici. La presenza femminile nei processi decisionali è risolutiva nell’attuare soluzioni diplomatiche di lungo periodo soprattutto nelle aree di maggiore instabilità; perciò, stimolare la loro leadership significa andare oltre la parità di genere. Più donne vengono coinvolte in Parlamento e nella società civile, minori sono i livelli di violenza e rischi di guerre con la conseguenza di un calo nelle violazioni dei diritti umani in Paesi in cui la legge non è uguale per tutti.

Donne offese e depredate dei diritti fondamentali

Per comprendere la genesi dei conflitti occorre analizzare le radici del fenomeno e cosa ne ha impedito il naturale processo di dialogo. Nel mondo le ostilità sono quasi sempre asimmetriche; si consumano a scapito delle popolazioni deboli e in aree dove esiste già una violazione dei diritti umani. Le donne private dei principali diritti, istruzione, salute fisica e psichica, lavoro, casa etc pagano un alto prezzo in termini di abusi, matrimoni precoci, privazioni e vessazioni anche dalla famiglia di origine. Sostenere la pace è uno status in cui ogni cittadino si impegna a rispondere ai propri doveri e vedere riconosciuti i propri diritti iniziando dalle relazioni sociali, famiglia e accesso all’educazione. Quest’ultima condizione consente a bambini e bambine di comprendere i valori umani quali rispetto e dignità degli individui. Si pensi alle violenze subite da migliaia di donne e ragazze afgane cui viene negato l’accesso all’educazione, al lavoro, alle cure sanitarie condizionando la loro intera esistenza.

Avv. Silvia Sticca, Vice Presidente Associazione 7 colonne

La doppia faccia del diritto negli scenari di guerra

Spesso si afferma che nei Paesi in via di sviluppo le guerre sono combattute con le armi mentre in quelli sviluppati sono accompagnate da leggi ingiuste, sistemi sociali iniqui che terminano in una marcata violazione dei diritti fondamentali. Durante i conflitti i diritti sono apertamente violati, ed è proprio in Europa che il diritto ha subito nella collettività mutamenti socio-economici attraversati dalle globalizzazioni. All’interno di questi scenari si insinua la guerra normativa, una guerra che impiega la legge come arma per raggiungere scopi illegittimi, sfocia in mutamenti psicologici ed un uso arbitrario del diritto che illegalmente si sostituisce ai giudici e ai tribunali. Sebbene in questi ultimi trent’anni si è discusso di una guerra economica, poco si è parlato di quella normativa che ha prodotto un corredo legale impiegato da Stati, privati e settori pubblici per realizzare protocolli di intesa, accordi e regolamenti e consolidare posizioni strategiche sul mercato globale. Queste analisi derivanti dalla guerra normativa, non possono non affiancarsi a quelle giuridiche. Alcuni Paesi, infatti, per contrastare l’abuso del diritto hanno adottato norme ad hoc per tutelare importanti comparti strategici sviluppando una propria politica estera, mentre quelli che hanno abbattuto le barriere legali – per poi accorgersi dell’inefficacia delle leggi nazionali – hanno compromesso la propria autonomia, l’industria strategica, la stabilità interna e l’intero sistema democratico.

Cristina Montagni

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE  DI ROMA - I° CONFERENZA NAZIONALE “L’ECCELLENZA E' DONNA”

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE DI ROMA – I° CONFERENZA NAZIONALE “L’ECCELLENZA E’ DONNA”

Alla conferenza sono intervenute: Avv. Silvia Sticca; Dott.ssa Maria Pia Turiello; Drssa Francesca Romana D’Antuono; Drssa Adelaide Amendola; Prof. Paola Balducci; Drssa Marica Caldarulo; Drssa Ivana Vaccari; Drssa Sveva Avveduto; Avv. Irma Conti; Drssa Cristina Di Silvio; Drssa Margherita Romanelli; Drssa Elisa Ercoli; Drssa Maria Ludovica Bottarelli; Drssa Gaia Van Der Esch; Drssa Annamaria Nassisi; Drssa Sabrina Zuccalà; Drssa Maria Pia Turiello; Drssa Asmae Dacian; Drssa Elisabetta Nistri; Generale A.M. Michele Scillia; Drssa Solange Manfredi; Drssa Dafne Carletti. Tra i partner alla conferenza, con le relative rappresentanti, hanno aderito la Bocconi Business School, Differenza Donna, Women20 (official G20 engagement group focused on gender equity), G20 Empower, Donne in Vaticano, la Federazione italiana donne arti professioni e affari, l’European women’s lobby, Women in International Security, Tra le Donne, MovimentoBlu, Istituto Italiano per lo studio delle politiche ambientali e lo United States Foreign Trade Institute.