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Presentazione Università Roma Tre INDAGINE UNISIN su lavoro e parità per un futuro possibile senza discriminazioni uomo-donna

Dalla conferenza: “Il futuro possibile: lavoro, parità, innovazione, sostenibilità. Contro ogni violenza e discriminazione” vengono focalizzate le condizioni di vita e lavoro nel settore bancario che rappresentano uno specchio rispetto ad altre realtà per riflettere in un’ottica non discriminatoria.

Da tempo le organizzazioni sindacali sono impegnate a contrastare il fenomeno sollecitando aziende di credito, università, media e istituzioni per promuovere una società inclusiva e migliorare il benessere e la qualità di vita delle lavoratrici. Di conseguenza il 4 aprile all’Università Roma Tre, sono stati presentati gli esiti dell’indagine campionaria UNISIN (Unità sindacale Falcri Silcea Sinfub). Al convegno hanno partecipato UnIRE (Università in Rete contro la violenza di genere) con il patrocinio di GIO – Gender Interuniversity Observatory, Università di Pisa CISP (Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace) e RUniPace Rete Università per la Pace.

Lavoro e parità. Una sfida collettiva a fianco del sindacato, aziende e accademia

Emilio Contrasto, segretario generale UNISIN, nell’avviare i lavori ha affermato la necessità di una strategia capillare per lottare contro la violenza sulle donne, osservando come la tutela del lavoro legata al sindacato dei bancari rappresenta un faro rispetto altri settori e nel sistema paese. Un recente studio – ha commentato – conferma un gap tra le norme contrattuali e la relativa applicazione nei luoghi di lavoro. Da qui parte un confronto all’interno dell’organizzazione per valutare i processi che generano tali diversità. “La sfida” spiega Contrasto “deve coinvolgere il mondo del lavoro, sindacato, aziende e accademia per studiare le origini del fenomeno e fare in modo che quanto è stato istituito possa trovare applicazione nelle imprese per diventare un modus operandi in ogni luogo”. La parola chiave per superare il gap è formazione e informazione: formazione attraverso la cultura del rispetto e informazione quale fulcro per definire i giusti processi. La maggior parte degli addetti nel settore bancario è donna (oltre il 50%) ma più si sale nella piramide di potere, minore è la percentuale di donne che occupa posizioni apicali, sebbene il settore sia un laboratorio di riferimento per salari e inquadramenti, il gap è ancora forte.

Questionario conciliazione vita-lavoro, discriminazioni e violenza

Un anno fa il sindacato autonomo dei lavoratori bancari ha proposto un questionario tra le impiegate del gruppo curato dal Coordinamento Nazionale Donne & Pari Opportunità di Unisin/Confsal attraverso un sistema di domande chiuse e aperte per rendere le donne consapevoli dei propri diritti e tutele, approfondire il grado di percezione sulle differenze di genere e violenza all’interno dell’azienda. Dallo studio è emerso un sentiment generale: la parità di genere nel mondo del credito è lontana e nel tempo si manifesta con episodi di sessismo, sensi di colpa per la maternità, differenze salariali tra uomini e donne, discriminazione delle donne che non hanno voluto o potuto avere un figlio e quelle prossime alla pensione.

Daniela Foschetti, responsabile Coordinamento Nazionale Donne e Pari Opportunità UNISIN

Risultati indagine Unisin

Il progetto di ricerca “Noi diversi…Donne e uomini insieme contro la violenza alle donne. Uniti in una sfida possibile” ha coinvolto un campione femminile su diversi argomenti: vita-lavoro, discriminazioni, violenza nei luoghi di lavoro, elaborati sulla base di tre indicatori: distribuzione geografica, età e ruolo professionale. Dall’indagine risulta che il 52% del campione femminile non conosce le normative nazionali di settore e aziendali sulle tutele e ha scarsa consapevolezza sul tema. Dalla distribuzione geografica emerge una concentrazione di risposte provenienti dalle regioni più popolose: Lombardia il 46% per la presenza di sportelli bancari, Toscana 21%, Veneto e Lazio 8%. Quanto alla frequenza per età, il 51% delle intervistate aveva fra i 46 e i 55 anni, il 28% tra i 31 e i 45 anni, il 20,4% oltre i 56 anni e l’1,2% fino a 30 anni. Quest’ultimo valore restituisce un basso interesse dei giovani a tutelare il proprio lavoro, delegandolo alle organizzazioni sindacali rispetto all’impegno nel volontariato. Riguardo al ruolo professionale, prevalenti sono le posizioni commerciali (49%) e operative (30%) che fotografano le dipendenti delle filiali molto coinvolte per la pressione nelle attività di lavoro (relazione con la clientela, capi a diversi livelli, obiettivi da raggiungere, etc). Una caratteristica peculiare è fornita dal comparto del credito dove il 77% dei dipendenti è sindacalizzato, il 50% della forza lavoro è donna, ma solo il 18% occupa ruoli direttivi nonostante l’elevata scolarizzazione (49% diplomate, 47% laureate, 2% post laurea). All’item vita privata-lavoro, il 64% del campione sostiene di conciliare entrambe le attività, ma sul versante professionale il 53% sostiene di non sentirsi realizzata, il 9% non risponde ed il 45% dichiara che la maternità ha penalizzato il lavoro in azienda, contro un 39% che sostiene di non aver subito ripercussioni. Interessanti le risposte libere, dove le donne comunicano di essere “scomode” se si concedono la maternità; il 23% sostiene di aver subito discriminazioni mentre il 15% non risponde. Nonostante le elevate competenze, le lavoratrici part-time non hanno prospettive di promozione e vengono messe in secondo piano rispetto ai colleghi uomini. Riguardo alla maternità, il rientro in azienda non è facilitato per i repentini cambiamenti procedurali, esistono scarse opportunità di carriera, blocchi di avanzamento o cambi di funzioni con l’azzeramento delle esperienze lavorative passate, limitate concessioni nel part-time e permessi di lavoro. Si desume che nella struttura di appartenenza la dipendente vive male la maternità, non viene sostituita con il conseguente aggravio di lavoro ad altri colleghi. La discriminazione è quindi nell’essere donna, condizione subita come preclusione nelle opportunità. Il suggerimento delle intervistate è valorizzare le competenze organizzative in ambito aziendale che non appartiene al solo mondo del credito ma fotografa il lavoro in generale. Dalle risposte libere emerge che le donne capo settore hanno percepito lo stipendio di un addetto. Il divario retributivo esiste e a parità di retribuzione iniziale, il gap si concretizza nel tempo perché il mancato riconoscimento dei ruoli è riconducibile al gender pay gap. Le lavoratrici segnalano che ai ruoli di responsabilità non corrispondono riconoscimenti di grado e adeguate remunerazioni per le lavoratrici part-time. Per conciliare vita familiare e lavoro, sono stati individuati alcuni fattori di supporto come lo smart working 37%, flessibilità negli orari 30%, part-time 25% e altri strumenti quali la banca del tempo, accordi sulla mobilità o contributi economici con l’8%. In breve, da un lato vi è la difficoltà di accesso agli strumenti, dall’altra le regole esistono ma è necessario valutare le conseguenze quando è richiesta l’applicazione. La “batteria” di domande chiude con temi sulla percezione dei rischi legati alle violenze di genere e dell’eventuale presenza di vittime di violenza sul posto di lavoro. Le risposte hanno restituito risultati speculari dove il percepito ed il subito coincidono; l’83% delle intervistate percepisce rischi di violenza di genere, il 10% denuncia il rischio o ha subito violenza, mentre il 7% non risponde. Il settore del credito non fornisce dati ufficiali in materia, ma è necessario valutare nel tempo lo scostamento tra dati forniti e realtà riscontrata per analizzare come vengono gestiti questi eventi all’interno del comparto. L’indagine porta alla luce anche violenza fisica e verbale, battute tra colleghi, mobbing e maleducazione ad opera di capi uomini, donne, colleghi o colleghe. La ricerca conferma che la violenza è solo la punta dell’iceberg, e Unisin con altre realtà è occupata a proporre soluzioni per tutelare le dipendenti. Infine, si sottolinea l’importanza di una formazione capillare in grado di coinvolgere uomini e donne per il raggiungimento di un obbiettivo comune. La sfida di Unisin è quindi costruire nuovi paradigmi, proporre modelli per un futuro libero da stereotipi attraverso la consapevolezza, coraggio, cultura e comunicazione.

Strategie di supporto per le donne nel settore del credito

Rispetto alla discriminazione di genere, il sindacato e ABI (associazione bancaria italiana), nel 2019 hanno firmato una dichiarazione congiunta in materia di molestie sottolineando il valore dell’azione non solo nel credito ma anche in altre aziende ed associazioni. Il protocollo d’intesa prevede un congedo di lavoro di tre o quattro mesi qualora le dipendenti abbiano subito violenza. Un altro strumento è bloccare i mutui o il debito perché la violenza finanziaria limiterebbe l’autonomia della donna. Esiste anche un percorso di protezione, sicurezza e rinascita all’interno di case protette, ad esempio continuare a lavorare. E lo smart working può essere un valido aiuto per ritrovare una routine simile a quella perduta nel momento in cui hanno messo loro e i loro figli in condizione di protezione. Aziende e sindacati dispongono di mezzi efficaci anche se i dati non mostrano particolari criticità. Tra i vari programmi, Unicredito ha aperto il canale “Parlami”, un numero protetto dove è possibile chiamare qualora sorgessero rischi da un punto di vista del linguaggio o atteggiamenti riconducibili a violenza psicologica. Altro tema attiene all’inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere. Contesti lavorativi in grado di includere e valorizzare il genere, sesso, cultura, etnia, aging, determina la capacità di essere differenti, ovvero portatori di maggiori istanze. La presenza femminile nel settore del credito è numerosa (40% donne, 60% uomini) ma la quota tende a diminuire nei vari step delle organizzazioni. Per questo ABI ha firmato una carta dove viene sancito l’impegno a creare ambienti di lavoro inclusivi, selezionare le risorse con criteri paritetici tra uomini e donne e promuovere la crescita del personale femminile nell’organizzazione. Un’attenzione particolare è rivolta alle politiche di remunerazione, infatti uno degli obiettivi di UniCredito è azzerare il gender pay gap entro il 2026. In generale il comparto del credito è sensibile allo sviluppo, crescita e corretta remunerazione. Tuttavia, si rileva che tra gli elementi che hanno frenato lo sviluppo del settore c’è il welfare per la mancanza di assistenza e infrastrutture come gli asili nido. Infine, in Italia sarà fondamentale pensare all’aging, alle competenze, alla disabilità che insieme al gender, creano le condizioni per realizzare una vera inclusione in grado di produrre valore alle aziende e al tessuto sociale circostante.

A sinistra, Daniela Belliti, coordinatrice UNIRE

Educazione all’uguaglianza e alle identità di genere

Nonostante gli sforzi normativi e l’attenzione pubblica sul tema della violenza, la realtà mostra che il fenomeno non accenna a diminuire. “Ciò accade” afferma Belliti “perché le attuali norme non hanno piena legittimazione sociale e non svolgono azioni preventive. Occorre quindi una condivisione della matrice culturale che proviene dalle donne e dai movimenti femministi”. La Convenzione di Istanbul ha il pregio di fare proprio questo pensiero; afferma infatti che la violenza si manifesta per diseguali rapporti di forza tra i sessi e alla discriminazione da parte degli uomini. La Convenzione riconosce la natura strutturale della violenza in quanto basata sul genere, per questo invita gli Stati a promuovere cambiamenti socio-culturali per eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra forma basata sull’idea d’inferiorità rispetto agli uomini. L’Italia dispone di linee Guida Nazionali “Educare nel rispetto per la parità fra i sessi”, di fatto attuate in modo sporadico e prive di adeguate risorse finanziarie. Progetti di educazione di genere sono contrastati per le resistenze ideologiche prodotte dal termine genere. Queste resistenze indeboliscono l’impianto della prevenzione e impediscono la costruzione di una cultura della parità. Per ribaltare questo pensiero, l’Università deve svolgere un cambiamento socio-culturale e questa battaglia deve attraversare il mondo del lavoro dove esistono strumenti giuridici ancora poco conosciuti. Nel 2019 l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha adottato la Convenzione 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro che integra il codice internazionale del lavoro. La convenzione definisce le molestie perpetrate sui lavoratori e lavoratrici e invita a adottare un approccio inclusivo incentrato sulla prospettiva di genere, identificando nel genere un fattore di rischio discriminazione. La stessa Convenzione propone programmi di formazione, informazione, codici di condotta, strumenti di valutazione dei rischi e campagne di sensibilizzazione contro la stigmatizzazione delle vittime, dei querelanti e dei testimoni. Nel 2021 l’INAIL (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha pubblicato i dati sulla violenza femminile e risulta che 1milione e 400mila donne tra i 15-65 anni hanno denunciato molestie fisiche o ricatti sessuali da parte di un collega o datore di lavoro. Infine, l’indagine OIL 2021 elaborata su 75mila interviste in 121 paesi, ha rilevato che il 17% dei lavoratori è stato vittima di violenza e molestia di tipo psicologico, l’8% violenza fisica e il 6% ha subito violenze e molestie sessuali.

A sinistra, Francesca Brezzi, già Presidente di Gender Interuniversity Observatory

Il rispetto delle differenze passa per il linguaggio

Francesca Brezzi parla del linguaggio da una prospettiva femminista poiché l’ipotesi è dimostrare che esistono differenze di pensiero per disegnare un’etica della comunicazione. “Il linguaggio” spiega “riflette il modo di pensare e agire; quindi, diventa il mezzo del pregiudizio e della discriminazione”. Riguardo ad esso c’è una crisi del linguaggio codificato e due sono le strade intraprese. Da un lato la costatazione dell’assenza del femminile sotto forma di linguaggio neutro; linguaggio maschile elevatosi a linguaggio universale. Dall’altro si scorge sotto un velo di neutralità, una tessitura linguistica codificata dove il linguaggio sessuato è differente dal linguaggio sessista. Il linguaggio sessista colpisce la donna, conduce agli stereotipi, alla non rappresentazione, è discriminatorio e trasmette informazioni obsolete e offensive. Brezzi sostiene che bisogna adottare il femminismo del sospetto; decostruire i linguaggi per smascherare il vero linguistico che copre la società. Occorre perciò abbracciare un percorso formativo educativo, aspirare ad una etica della comunicazione, una comunicazione libera in grado di confrontarci in quanto soggetti razionali. “Quello di cui abbiamo bisogno” conclude “sta nelle parole incarnate, parole che restituiscono significato agli eventi per aprirsi a nuove forme di convivenza. In tutto questo le donne devono farsi soggette di un linguaggio diverso e non affidarsi ad un linguaggio neutro.

Cristina Montagni

Relatori al convegno:

Alessandra Mancuso, giornalista Rai; Emilio Contrasto, Segretario Generale UNISIN; Prof. Francesca Borruso, Università di Roma Tre; Prof. Massimiliano Fiorucci, Rettore Università Roma Tre; Stefano Corradino, giornalista Rai News; Marina Calloni, Direttrice UNIRE; Daniela Belliti, coordinatrice UNIRE; Francesca Brezzi, già Presidente di GIO (Gender Interuniversity Observatory); Giovanna Vingelli, Direttrice del Centro di Women’s Studies “Milly Villa”; Elettra Stradella, Professoressa associata in Diritto Pubblico Comparato; Costanza Nardocci, ricercatrice in Diritto Costituzionale Università di Milano; Nannarel Fiano, ricercatrice in Diritto Costituzionale Università di Milano; Daniela Foschetti, responsabile Coordinamento Nazionale Donne e Pari Opportunità UNISIN; Angelo Raffaele Margiotta, Segretario Generale Confsal; Rosalba Domenica La Fauci, Vice Segretario Generale Confsal; Marta Schifone, deputato della Repubblica italiana.

Tolleranza zero sulla violenza e molestie nel lavoro. Italia seconda in Europa ratifica la Convenzione OIL N. 190

L’Italia il 29 ottobre 2021 ha ratificato la Convenzione OIL del 2019 N. 190 sulla violenza e le molestie nel mondo del lavoro diventando il nono paese al mondo e secondo in Europa a ratificare il trattato internazionale. Durante la cerimonia, svolta a Roma con la presenza del ministro del lavoro e politiche sociali, Andrea Orlando ha depositato il documento di ratifica al Direttore Generale dell’OIL, Guy Ryder. L’incontro sancisce la completa adesione dell’Italia ai dettami della Convenzione che è successiva all’approvazione della legge n.4 del 15 gennaio 2021.

La Convenzione n.190 rappresenta la prima norma internazionale che previene e contrasta la violenza e le molestie sul lavoro e unitamente alla Raccomandazione n.206 fornisce un quadro di intervento e opportunità per costruire in futuro un lavoro basato sulla dignità e garantire il diritto di tutte e tutti ad avere un lavoro libero da violenza e molestie. Riconosce a livello internazionale la violenza e le molestie legate al lavoro, includendo la violenza e le molestie basate sul genere. Quest’ampia definizione comprende un insieme di pratiche e comportamenti inaccettabili ed individua il danno fisico, psicologico, sessuale o economico con lo scopo di proteggere i lavoratori indipendentemente dal loro status contrattuale. Contempla coloro che stanno vivendo un’esperienza formativa, i tirocinanti, gli apprendisti, i volontari, nonché le persone che sono state licenziate o che sono in cerca di lavoro. Si applica a tutti i settori, privati e pubblici, nell’economia formale e informale, in aree urbane o rurali. Il concetto di “luogo di lavoro” è più ampio e si riferisce a tutti quei luoghi dove il lavoratore è retribuito (anche in pausa o nel momento in cui usa i servizi igienici), oppure i luoghi percorsi durante gli spostamenti, viaggi, eventi e formazione inerenti all’attività lavorativa e il percorso casa-lavoro. Questi comportamenti vengono veicolati anche tramite gli strumenti digitali, così anche le comunicazioni con l’uso della tecnologia sono ricomprese nel concetto di lavoro.

Andrea Orlando, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, e Guy Ryder, Direttore Generale dell’OIL

In sostanza la Convenzione chiede agli Stati membri di adottare, insieme alle organizzazioni imprenditoriali e sindacali, un approccio inclusivo, olistico e sensibile al genere per contrastare la violenza e le molestie, attraverso azioni di prevenzione, protezione e applicazione delle norme, oltre a interventi di assistenza, informazione e formazione. Riconosce il ruolo e le funzioni dei governi, datori di lavoro e lavoratori, le loro organizzazioni di rappresentanza, tenendo in considerazione la diversa natura e entità delle loro responsabilità.

Nel depositare la ratifica, il Ministro Orlando ha detto: “questa Convenzione rappresenta un passo in avanti per un mondo del lavoro sano e sicuro, inclusivo, libero da violenza e molestie per tutti coloro che in qualsiasi modo vi operano ed in particolare dei soggetti più vulnerabili. Ciò anche in una chiave di genere, per consentire a tutti di contribuire allo sviluppo delle nostre società”.

Il Direttore Generale dell’OIL ha poi dichiarato: “la ratifica del Governo italiano rappresenta un passo importante per rafforzare le misure adottate a livello nazionale in materia di prevenzione e contrasto della violenza e le molestie nel mondo del lavoro. La Convenzione OIL n. 190 e la Raccomandazione rappresentano strumenti fondamentali per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, in particolare l’Obiettivo 5 sul raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’Obiettivo 8 per la promozione del lavoro dignitoso e della crescita economica. Questi strumenti rappresentano protezioni per i lavoratori e lavoratrici, soprattutto nel contesto della pandemia di COVID-19 che ha causato episodi di violenza e molestie sul lavoro in quasi tutti i paesi e svolge un ruolo cardine per plasmare una ripresa incentrata sulla persona che contrasti le ingiustizie e dia vita ad una nuova normalità, libera da violenza e molestie”.

Cristina Montagni

Settimana europea dell’uguaglianza di genere

Su iniziativa della commissione per i diritti delle donne, dal 26 al 29 ottobre il Parlamento europeo organizza la sua prima settimana europea sull’uguaglianza di genere.

Il 2020 è un anno speciale che segna il 25° anniversario della Dichiarazione di Pechino e della Piattaforma d’azione. Questo evento di grande rilievo offre l’opportunità di portare alla luce i risultati e le sfide future per il progresso dei diritti delle ragazze e delle donne e dell’uguaglianza di genere. Per dare spessore a questi aspetti, il Parlamento europeo insieme alla commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere, ha deciso di organizzare per la prima volta una settimana europea sull’uguaglianza di genere da lunedì 26 a giovedì 29 ottobre.

Tutte le commissioni del PE per celebrare l’occasione sono state invitate a partecipare a uno scambio di opinioni su argomenti relativi all’uguaglianza di genere e molte di loro hanno risposto favorevolmente. Per citarne alcuni, lunedì sera il Comitato per le libertà civili terrà un’audizione sulla tratta di esseri umani, martedì pomeriggio il Comitato speciale per la lotta contro il cancro terrà un’audizione pubblica su “Combattere il cancro al seno: sfide e opportunità” e mercoledì mattina la sottocommissione per i diritti umani organizzerà uno scambio di opinioni con importanti donne attiviste. Infine giovedì il Comitato per i diritti delle donne terrà un evento durante il quale il direttore dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), Carlien Scheele, presenterà i risultati dell’indice sull’uguaglianza di genere 2020, con particolare attenzione alla digitalizzazione nel mondo del lavoro e alle sue conseguenze per l’uguaglianza di genere.

Per il programma completo degli eventi clicca qui.

Puoi guardare questi eventi tramite webstreaming su EP Multimedia Center

Cristina Montagni

Roadmap e Summit G7 di Taormina. Politiche e strategie sulla Parità di Genere entro 2030

A conclusione del Vertice di Taormina, i leader del G7 firmano la roadmap sulle politiche da intraprendere sulla parità di genere entro il 2030. Il piano punta sul lavoro femminile, sull’imprenditoria, sull’empowerment economico e la piena partecipazione delle donne al mercato del lavoro. 

Vediamo le principali risoluzioni dell’accordo:

firma documneto congiunto G7 Taormina

Impegno del G7 e misure concrete entro il 2022 

Entro il 2022 si dovrà facilitare l’ingresso delle donne imprenditrici nel tessuto sociale, offrire incentivi all’accesso al credito attraverso la garanzia di fondi soprattutto nella fase di start-up. Saranno individuate campagne di sensibilizzazione per informare le donne sulle risorse disponibili per la creazione di reti e la promozione dell’imprenditorialità femminile. L’impegno dell’UE è aumentare la formazione, il mentoring, le opportunità di networking sostenendo politiche di cooperazione allo sviluppo in diversi settori produttivi.

Lavoro dignitoso per le donne

Nei criteri di crescita si auspica l’aumento del 25% della partecipazione femminile al lavoro entro il 2025, oltre al miglioramento della qualità dell’occupazione femminile riconoscendone il ruolo positivo nel mercato occupazionale equiparando reddito e pensioni agli uomini. Il G7 si impegna a promuovere l’impiego delle donne nei management aziendali soprattutto nell’economia informale in cui sono sottorappresentate. Si impegna a riconoscere la cura e il lavoro domestico non retribuito quale contributo all’economia globale che grava sulle donne e sulle ragazze. La delegazione sollecita l’aggiornamento delle banche dati delle statistiche nazionali ISTAT, delle Nazioni Unite, OCSE, FMI, BM, OIL e della Commissione Europea. L’ISTAT sarà l’unico ente preposto per coordinare le statistiche in base alle caratteristiche definite secondo le nuove regole definite dal G7. Per armonizzare le banche dati degli Enti nazionali, si adotterà un metodo condiviso tra i dati degli Enti nazionali e quelli dell’OECD. Le banche dati dovranno stimare le attività delle famiglie tenendo conto degli impieghi non retribuiti a livello nazionale e internazionale con l’ausilio di sportelli per quantificare il lavoro a tempo determinato con indagini ad hoc, già a disposizione dai sistemi confederali CISL. L’ILO dovrà inoltre proseguire il programma di lavoro pilota (LFS) con l’obiettivo di scrivere le linee guida e sostenere il G7 per all’attuazione della risoluzione 19 ICLS sulle statistiche di lavoro entro il 2018. 

Investimenti in infrastrutture sociali

Si riconosce alle infrastrutture sociali – reti, luoghi, progetti e servizi – un ruolo cruciale per aumentare lo standard di vita e di qualità delle comunità. Saranno stimolate le strutture didattiche, le aree ricreative, i programmi culturali per facilitare i contratti di lavoro per le donne impiegate in ambito informale. Il G7 aumenterà le dotazioni finanziarie nelle infrastrutture in servizi sociali con la promozione di partenariati pubblico-privati. I Ministeri del lavoro si impegneranno per l’integrazione tra i sessi nei processi di pianificazione, monitoraggio e budgeting nelle infrastrutture sociali. 

Investimenti in salute, benessere e alimentazione

Salute, benessere e alimentazione sono indicatori necessari per promuovere l’empowerment per le donne considerate come agenti di cambiamento. Per accompagnare questi cambiamenti si dovranno sostenere l’adozione di buone pratiche sanitarie e nutrizionali, migliorare la partecipazione economica delle donne, l’alfabetizzazione dei giovani, promuovere la carta dei diritti degli adolescenti e delle donne in materia di salute, implementare l’accesso ai servizi sull’assistenza sanitaria e politiche mirate alla salute e al benessere.

Analisi di genere e di contrasto alla povertà

L’uguaglianza di genere è il principale strumento anti-povertà che si concretizza attraverso mirate politiche economiche, sociali e ambientali. Tutte le statistiche dei paesi evidenziano strette connessioni tra sesso, povertà, l’empowerment e diseguaglianza. A questo proposito ecco alcune delle riflessioni in grado di contrastare questi fenomeni.

Esclusione sociale

Esperti nazionali, regionali e internazionali ritengono che per contrastare la povertà, occorre disporre di una politica comune e avviare analisi multidimensionali in riferimento al sesso e alla povertà che per effetto della crisi hanno investito l’occupazione femminile in un contesto globale. Si incoraggiano partenariati internazionali per rafforzare le indagini statistiche e disporre di analisi innovative disaggregando le informazioni in base al sesso e età e capire quali sono le barriere che impediscono ai gruppi di accedere ai servizi di base per la salute. 

Gli strumenti di contrasto

  1. Incentivare le strategie anti-povertà con aspetti economici e sociali; 
  2. Sostenere politiche sull’occupazione attraverso sistemi di detassazione alla famiglia, sull’assistenza sanitaria e assistenza agli anziani; 
  3. Sviluppare politiche abitative idonee per uscire dalla povertà e dalla disuguaglianza considerando con attenzione i fenomeni della disabilità, razza, etnia, religione e composizione familiare che influenzano lo status sociale di donne; 
  4. Riconoscere alle donne – impiegate nell’occupazione precaria – politiche sul congedo retribuito, modalità di lavoro flessibili, custodia dei bambini e cura a lungo termine; 
  5. Per combattere l’occupazione precaria, gli stati membri incoraggiano privati, aziende statali e datori di lavoro ad adottare strumenti di conciliazione tra lavoro e cura delle responsabilità per le donne e per gli uomini, riducendo il gap retributivo; 
  6. Incoraggiare le aziende a sostenere accordi di lavoro flessibili per le famiglie; 
  7. Incentivare sul posto di lavoro misure di sostegno al credito;
  8. Disegnare una mappa dei settori in cui il divario tra i sessi è più rilevante; 
  9. Promuovere maggiore partecipazione delle ragazze nella scienza, tecnologia, ingegneria, matematica e medicina (STEMM), riconoscendo che l’area digitale e le competenze tecnologiche sono quelle in cui le donne e le ragazze sono sotto-rappresentate. Queste competenze saranno il requisito fondamentale per accedere a molti posti di lavoro ad alto rendimento economico;
  10. Rafforzare la collaborazione tra università e ricerca, istituti e settore privato. 

Eliminare la violenza contro le donne e le ragazze

I leader G7 si impegnano a promuovere misure per contrastare la violenza contro le donne e le ragazze nel settore pubblico e privato. La violenza contro le donne è una violazione, un abuso dei diritti umani che producono costi diretti e indiretti rilevanti per tutta la società. I governi daranno una risposta forte per contrastare ogni forma di molestia – incluse le pratiche dannose contro i bambini, il matrimonio precoce e forzato, la mutilazione genitale femminile, la violenza domestica, la tratta di esseri umani nello sfruttamento sessuale e lavorativo – contro le donne e le ragazze, compresi i migranti e i rifugiati in una cultura di reciproco rispetto. Per combattere questi atti si adotterà una strategia nazionale attraverso un incremento delle risorse finanziarie promuovendo per gli educatori la formazione alla parità di genere con norme sugli stereotipi contro le ragazze nelle scuole a tutti i livelli di istruzione entro il 2022. Sarà compito degli Stati monitorare l’attuazione di leggi e politiche legate alla violenza contro le donne analizzando dati rilevanti sui tipi di violenza perpetrati nei confronti di donne e ragazze. Saranno raccolti e pubblicati con regolarità i dati disaggregati per sesso e età in modo da monitorare il fenomeno, esplorando le cause e identificando i gruppi vulnerabili e le nuove forme di violenza. Si investirà in campagne d’informazione volte a coinvolgere i ragazzi, come attori di cambiamento, per aumentare la consapevolezza degli effetti negativi mostrando immagini degradanti delle donne e atti violenti perpetrati contro le donne o incitamento alla violenza nei media. Si prevede inoltre un aumento di fondi per lo sviluppo in programmi sulla cooperazione e su tutte le forme di violenza entro il 2022 per la raggiungere la piena attuazione della risoluzione 1325 delle Nazioni Unite.

Cristina Montagni