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Presentazione Università Roma Tre INDAGINE UNISIN su lavoro e parità per un futuro possibile senza discriminazioni uomo-donna
Dalla conferenza: “Il futuro possibile: lavoro, parità, innovazione, sostenibilità. Contro ogni violenza e discriminazione” vengono focalizzate le condizioni di vita e lavoro nel settore bancario che rappresentano uno specchio rispetto ad altre realtà per riflettere in un’ottica non discriminatoria.

Da tempo le organizzazioni sindacali sono impegnate a contrastare il fenomeno sollecitando aziende di credito, università, media e istituzioni per promuovere una società inclusiva e migliorare il benessere e la qualità di vita delle lavoratrici. Di conseguenza il 4 aprile all’Università Roma Tre, sono stati presentati gli esiti dell’indagine campionaria UNISIN (Unità sindacale Falcri Silcea Sinfub). Al convegno hanno partecipato UnIRE (Università in Rete contro la violenza di genere) con il patrocinio di GIO – Gender Interuniversity Observatory, Università di Pisa CISP (Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace) e RUniPace Rete Università per la Pace.
Lavoro e parità. Una sfida collettiva a fianco del sindacato, aziende e accademia
Emilio Contrasto, segretario generale UNISIN, nell’avviare i lavori ha affermato la necessità di una strategia capillare per lottare contro la violenza sulle donne, osservando come la tutela del lavoro legata al sindacato dei bancari rappresenta un faro rispetto altri settori e nel sistema paese. Un recente studio – ha commentato – conferma un gap tra le norme contrattuali e la relativa applicazione nei luoghi di lavoro. Da qui parte un confronto all’interno dell’organizzazione per valutare i processi che generano tali diversità. “La sfida” spiega Contrasto “deve coinvolgere il mondo del lavoro, sindacato, aziende e accademia per studiare le origini del fenomeno e fare in modo che quanto è stato istituito possa trovare applicazione nelle imprese per diventare un modus operandi in ogni luogo”. La parola chiave per superare il gap è formazione e informazione: formazione attraverso la cultura del rispetto e informazione quale fulcro per definire i giusti processi. La maggior parte degli addetti nel settore bancario è donna (oltre il 50%) ma più si sale nella piramide di potere, minore è la percentuale di donne che occupa posizioni apicali, sebbene il settore sia un laboratorio di riferimento per salari e inquadramenti, il gap è ancora forte.
Questionario conciliazione vita-lavoro, discriminazioni e violenza
Un anno fa il sindacato autonomo dei lavoratori bancari ha proposto un questionario tra le impiegate del gruppo curato dal Coordinamento Nazionale Donne & Pari Opportunità di Unisin/Confsal attraverso un sistema di domande chiuse e aperte per rendere le donne consapevoli dei propri diritti e tutele, approfondire il grado di percezione sulle differenze di genere e violenza all’interno dell’azienda. Dallo studio è emerso un sentiment generale: la parità di genere nel mondo del credito è lontana e nel tempo si manifesta con episodi di sessismo, sensi di colpa per la maternità, differenze salariali tra uomini e donne, discriminazione delle donne che non hanno voluto o potuto avere un figlio e quelle prossime alla pensione.

Risultati indagine Unisin
Il progetto di ricerca “Noi diversi…Donne e uomini insieme contro la violenza alle donne. Uniti in una sfida possibile” ha coinvolto un campione femminile su diversi argomenti: vita-lavoro, discriminazioni, violenza nei luoghi di lavoro, elaborati sulla base di tre indicatori: distribuzione geografica, età e ruolo professionale. Dall’indagine risulta che il 52% del campione femminile non conosce le normative nazionali di settore e aziendali sulle tutele e ha scarsa consapevolezza sul tema. Dalla distribuzione geografica emerge una concentrazione di risposte provenienti dalle regioni più popolose: Lombardia il 46% per la presenza di sportelli bancari, Toscana 21%, Veneto e Lazio 8%. Quanto alla frequenza per età, il 51% delle intervistate aveva fra i 46 e i 55 anni, il 28% tra i 31 e i 45 anni, il 20,4% oltre i 56 anni e l’1,2% fino a 30 anni. Quest’ultimo valore restituisce un basso interesse dei giovani a tutelare il proprio lavoro, delegandolo alle organizzazioni sindacali rispetto all’impegno nel volontariato. Riguardo al ruolo professionale, prevalenti sono le posizioni commerciali (49%) e operative (30%) che fotografano le dipendenti delle filiali molto coinvolte per la pressione nelle attività di lavoro (relazione con la clientela, capi a diversi livelli, obiettivi da raggiungere, etc). Una caratteristica peculiare è fornita dal comparto del credito dove il 77% dei dipendenti è sindacalizzato, il 50% della forza lavoro è donna, ma solo il 18% occupa ruoli direttivi nonostante l’elevata scolarizzazione (49% diplomate, 47% laureate, 2% post laurea). All’item vita privata-lavoro, il 64% del campione sostiene di conciliare entrambe le attività, ma sul versante professionale il 53% sostiene di non sentirsi realizzata, il 9% non risponde ed il 45% dichiara che la maternità ha penalizzato il lavoro in azienda, contro un 39% che sostiene di non aver subito ripercussioni. Interessanti le risposte libere, dove le donne comunicano di essere “scomode” se si concedono la maternità; il 23% sostiene di aver subito discriminazioni mentre il 15% non risponde. Nonostante le elevate competenze, le lavoratrici part-time non hanno prospettive di promozione e vengono messe in secondo piano rispetto ai colleghi uomini. Riguardo alla maternità, il rientro in azienda non è facilitato per i repentini cambiamenti procedurali, esistono scarse opportunità di carriera, blocchi di avanzamento o cambi di funzioni con l’azzeramento delle esperienze lavorative passate, limitate concessioni nel part-time e permessi di lavoro. Si desume che nella struttura di appartenenza la dipendente vive male la maternità, non viene sostituita con il conseguente aggravio di lavoro ad altri colleghi. La discriminazione è quindi nell’essere donna, condizione subita come preclusione nelle opportunità. Il suggerimento delle intervistate è valorizzare le competenze organizzative in ambito aziendale che non appartiene al solo mondo del credito ma fotografa il lavoro in generale. Dalle risposte libere emerge che le donne capo settore hanno percepito lo stipendio di un addetto. Il divario retributivo esiste e a parità di retribuzione iniziale, il gap si concretizza nel tempo perché il mancato riconoscimento dei ruoli è riconducibile al gender pay gap. Le lavoratrici segnalano che ai ruoli di responsabilità non corrispondono riconoscimenti di grado e adeguate remunerazioni per le lavoratrici part-time. Per conciliare vita familiare e lavoro, sono stati individuati alcuni fattori di supporto come lo smart working 37%, flessibilità negli orari 30%, part-time 25% e altri strumenti quali la banca del tempo, accordi sulla mobilità o contributi economici con l’8%. In breve, da un lato vi è la difficoltà di accesso agli strumenti, dall’altra le regole esistono ma è necessario valutare le conseguenze quando è richiesta l’applicazione. La “batteria” di domande chiude con temi sulla percezione dei rischi legati alle violenze di genere e dell’eventuale presenza di vittime di violenza sul posto di lavoro. Le risposte hanno restituito risultati speculari dove il percepito ed il subito coincidono; l’83% delle intervistate percepisce rischi di violenza di genere, il 10% denuncia il rischio o ha subito violenza, mentre il 7% non risponde. Il settore del credito non fornisce dati ufficiali in materia, ma è necessario valutare nel tempo lo scostamento tra dati forniti e realtà riscontrata per analizzare come vengono gestiti questi eventi all’interno del comparto. L’indagine porta alla luce anche violenza fisica e verbale, battute tra colleghi, mobbing e maleducazione ad opera di capi uomini, donne, colleghi o colleghe. La ricerca conferma che la violenza è solo la punta dell’iceberg, e Unisin con altre realtà è occupata a proporre soluzioni per tutelare le dipendenti. Infine, si sottolinea l’importanza di una formazione capillare in grado di coinvolgere uomini e donne per il raggiungimento di un obbiettivo comune. La sfida di Unisin è quindi costruire nuovi paradigmi, proporre modelli per un futuro libero da stereotipi attraverso la consapevolezza, coraggio, cultura e comunicazione.
Strategie di supporto per le donne nel settore del credito
Rispetto alla discriminazione di genere, il sindacato e ABI (associazione bancaria italiana), nel 2019 hanno firmato una dichiarazione congiunta in materia di molestie sottolineando il valore dell’azione non solo nel credito ma anche in altre aziende ed associazioni. Il protocollo d’intesa prevede un congedo di lavoro di tre o quattro mesi qualora le dipendenti abbiano subito violenza. Un altro strumento è bloccare i mutui o il debito perché la violenza finanziaria limiterebbe l’autonomia della donna. Esiste anche un percorso di protezione, sicurezza e rinascita all’interno di case protette, ad esempio continuare a lavorare. E lo smart working può essere un valido aiuto per ritrovare una routine simile a quella perduta nel momento in cui hanno messo loro e i loro figli in condizione di protezione. Aziende e sindacati dispongono di mezzi efficaci anche se i dati non mostrano particolari criticità. Tra i vari programmi, Unicredito ha aperto il canale “Parlami”, un numero protetto dove è possibile chiamare qualora sorgessero rischi da un punto di vista del linguaggio o atteggiamenti riconducibili a violenza psicologica. Altro tema attiene all’inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere. Contesti lavorativi in grado di includere e valorizzare il genere, sesso, cultura, etnia, aging, determina la capacità di essere differenti, ovvero portatori di maggiori istanze. La presenza femminile nel settore del credito è numerosa (40% donne, 60% uomini) ma la quota tende a diminuire nei vari step delle organizzazioni. Per questo ABI ha firmato una carta dove viene sancito l’impegno a creare ambienti di lavoro inclusivi, selezionare le risorse con criteri paritetici tra uomini e donne e promuovere la crescita del personale femminile nell’organizzazione. Un’attenzione particolare è rivolta alle politiche di remunerazione, infatti uno degli obiettivi di UniCredito è azzerare il gender pay gap entro il 2026. In generale il comparto del credito è sensibile allo sviluppo, crescita e corretta remunerazione. Tuttavia, si rileva che tra gli elementi che hanno frenato lo sviluppo del settore c’è il welfare per la mancanza di assistenza e infrastrutture come gli asili nido. Infine, in Italia sarà fondamentale pensare all’aging, alle competenze, alla disabilità che insieme al gender, creano le condizioni per realizzare una vera inclusione in grado di produrre valore alle aziende e al tessuto sociale circostante.

Educazione all’uguaglianza e alle identità di genere
Nonostante gli sforzi normativi e l’attenzione pubblica sul tema della violenza, la realtà mostra che il fenomeno non accenna a diminuire. “Ciò accade” afferma Belliti “perché le attuali norme non hanno piena legittimazione sociale e non svolgono azioni preventive. Occorre quindi una condivisione della matrice culturale che proviene dalle donne e dai movimenti femministi”. La Convenzione di Istanbul ha il pregio di fare proprio questo pensiero; afferma infatti che la violenza si manifesta per diseguali rapporti di forza tra i sessi e alla discriminazione da parte degli uomini. La Convenzione riconosce la natura strutturale della violenza in quanto basata sul genere, per questo invita gli Stati a promuovere cambiamenti socio-culturali per eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra forma basata sull’idea d’inferiorità rispetto agli uomini. L’Italia dispone di linee Guida Nazionali “Educare nel rispetto per la parità fra i sessi”, di fatto attuate in modo sporadico e prive di adeguate risorse finanziarie. Progetti di educazione di genere sono contrastati per le resistenze ideologiche prodotte dal termine genere. Queste resistenze indeboliscono l’impianto della prevenzione e impediscono la costruzione di una cultura della parità. Per ribaltare questo pensiero, l’Università deve svolgere un cambiamento socio-culturale e questa battaglia deve attraversare il mondo del lavoro dove esistono strumenti giuridici ancora poco conosciuti. Nel 2019 l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha adottato la Convenzione 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro che integra il codice internazionale del lavoro. La convenzione definisce le molestie perpetrate sui lavoratori e lavoratrici e invita a adottare un approccio inclusivo incentrato sulla prospettiva di genere, identificando nel genere un fattore di rischio discriminazione. La stessa Convenzione propone programmi di formazione, informazione, codici di condotta, strumenti di valutazione dei rischi e campagne di sensibilizzazione contro la stigmatizzazione delle vittime, dei querelanti e dei testimoni. Nel 2021 l’INAIL (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha pubblicato i dati sulla violenza femminile e risulta che 1milione e 400mila donne tra i 15-65 anni hanno denunciato molestie fisiche o ricatti sessuali da parte di un collega o datore di lavoro. Infine, l’indagine OIL 2021 elaborata su 75mila interviste in 121 paesi, ha rilevato che il 17% dei lavoratori è stato vittima di violenza e molestia di tipo psicologico, l’8% violenza fisica e il 6% ha subito violenze e molestie sessuali.

Il rispetto delle differenze passa per il linguaggio
Francesca Brezzi parla del linguaggio da una prospettiva femminista poiché l’ipotesi è dimostrare che esistono differenze di pensiero per disegnare un’etica della comunicazione. “Il linguaggio” spiega “riflette il modo di pensare e agire; quindi, diventa il mezzo del pregiudizio e della discriminazione”. Riguardo ad esso c’è una crisi del linguaggio codificato e due sono le strade intraprese. Da un lato la costatazione dell’assenza del femminile sotto forma di linguaggio neutro; linguaggio maschile elevatosi a linguaggio universale. Dall’altro si scorge sotto un velo di neutralità, una tessitura linguistica codificata dove il linguaggio sessuato è differente dal linguaggio sessista. Il linguaggio sessista colpisce la donna, conduce agli stereotipi, alla non rappresentazione, è discriminatorio e trasmette informazioni obsolete e offensive. Brezzi sostiene che bisogna adottare il femminismo del sospetto; decostruire i linguaggi per smascherare il vero linguistico che copre la società. Occorre perciò abbracciare un percorso formativo educativo, aspirare ad una etica della comunicazione, una comunicazione libera in grado di confrontarci in quanto soggetti razionali. “Quello di cui abbiamo bisogno” conclude “sta nelle parole incarnate, parole che restituiscono significato agli eventi per aprirsi a nuove forme di convivenza. In tutto questo le donne devono farsi soggette di un linguaggio diverso e non affidarsi ad un linguaggio neutro.
Cristina Montagni
Relatori al convegno:
Alessandra Mancuso, giornalista Rai; Emilio Contrasto, Segretario Generale UNISIN; Prof. Francesca Borruso, Università di Roma Tre; Prof. Massimiliano Fiorucci, Rettore Università Roma Tre; Stefano Corradino, giornalista Rai News; Marina Calloni, Direttrice UNIRE; Daniela Belliti, coordinatrice UNIRE; Francesca Brezzi, già Presidente di GIO (Gender Interuniversity Observatory); Giovanna Vingelli, Direttrice del Centro di Women’s Studies “Milly Villa”; Elettra Stradella, Professoressa associata in Diritto Pubblico Comparato; Costanza Nardocci, ricercatrice in Diritto Costituzionale Università di Milano; Nannarel Fiano, ricercatrice in Diritto Costituzionale Università di Milano; Daniela Foschetti, responsabile Coordinamento Nazionale Donne e Pari Opportunità UNISIN; Angelo Raffaele Margiotta, Segretario Generale Confsal; Rosalba Domenica La Fauci, Vice Segretario Generale Confsal; Marta Schifone, deputato della Repubblica italiana.

Tolleranza zero sulla violenza e molestie nel lavoro. Italia seconda in Europa ratifica la Convenzione OIL N. 190
L’Italia il 29 ottobre 2021 ha ratificato la Convenzione OIL del 2019 N. 190 sulla violenza e le molestie nel mondo del lavoro diventando il nono paese al mondo e secondo in Europa a ratificare il trattato internazionale. Durante la cerimonia, svolta a Roma con la presenza del ministro del lavoro e politiche sociali, Andrea Orlando ha depositato il documento di ratifica al Direttore Generale dell’OIL, Guy Ryder. L’incontro sancisce la completa adesione dell’Italia ai dettami della Convenzione che è successiva all’approvazione della legge n.4 del 15 gennaio 2021.

La Convenzione n.190 rappresenta la prima norma internazionale che previene e contrasta la violenza e le molestie sul lavoro e unitamente alla Raccomandazione n.206 fornisce un quadro di intervento e opportunità per costruire in futuro un lavoro basato sulla dignità e garantire il diritto di tutte e tutti ad avere un lavoro libero da violenza e molestie. Riconosce a livello internazionale la violenza e le molestie legate al lavoro, includendo la violenza e le molestie basate sul genere. Quest’ampia definizione comprende un insieme di pratiche e comportamenti inaccettabili ed individua il danno fisico, psicologico, sessuale o economico con lo scopo di proteggere i lavoratori indipendentemente dal loro status contrattuale. Contempla coloro che stanno vivendo un’esperienza formativa, i tirocinanti, gli apprendisti, i volontari, nonché le persone che sono state licenziate o che sono in cerca di lavoro. Si applica a tutti i settori, privati e pubblici, nell’economia formale e informale, in aree urbane o rurali. Il concetto di “luogo di lavoro” è più ampio e si riferisce a tutti quei luoghi dove il lavoratore è retribuito (anche in pausa o nel momento in cui usa i servizi igienici), oppure i luoghi percorsi durante gli spostamenti, viaggi, eventi e formazione inerenti all’attività lavorativa e il percorso casa-lavoro. Questi comportamenti vengono veicolati anche tramite gli strumenti digitali, così anche le comunicazioni con l’uso della tecnologia sono ricomprese nel concetto di lavoro.

In sostanza la Convenzione chiede agli Stati membri di adottare, insieme alle organizzazioni imprenditoriali e sindacali, un approccio inclusivo, olistico e sensibile al genere per contrastare la violenza e le molestie, attraverso azioni di prevenzione, protezione e applicazione delle norme, oltre a interventi di assistenza, informazione e formazione. Riconosce il ruolo e le funzioni dei governi, datori di lavoro e lavoratori, le loro organizzazioni di rappresentanza, tenendo in considerazione la diversa natura e entità delle loro responsabilità.
Nel depositare la ratifica, il Ministro Orlando ha detto: “questa Convenzione rappresenta un passo in avanti per un mondo del lavoro sano e sicuro, inclusivo, libero da violenza e molestie per tutti coloro che in qualsiasi modo vi operano ed in particolare dei soggetti più vulnerabili. Ciò anche in una chiave di genere, per consentire a tutti di contribuire allo sviluppo delle nostre società”.
Il Direttore Generale dell’OIL ha poi dichiarato: “la ratifica del Governo italiano rappresenta un passo importante per rafforzare le misure adottate a livello nazionale in materia di prevenzione e contrasto della violenza e le molestie nel mondo del lavoro. La Convenzione OIL n. 190 e la Raccomandazione rappresentano strumenti fondamentali per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, in particolare l’Obiettivo 5 sul raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’Obiettivo 8 per la promozione del lavoro dignitoso e della crescita economica. Questi strumenti rappresentano protezioni per i lavoratori e lavoratrici, soprattutto nel contesto della pandemia di COVID-19 che ha causato episodi di violenza e molestie sul lavoro in quasi tutti i paesi e svolge un ruolo cardine per plasmare una ripresa incentrata sulla persona che contrasti le ingiustizie e dia vita ad una nuova normalità, libera da violenza e molestie”.
Cristina Montagni
Settimana europea dell’uguaglianza di genere
Su iniziativa della commissione per i diritti delle donne, dal 26 al 29 ottobre il Parlamento europeo organizza la sua prima settimana europea sull’uguaglianza di genere.
Il 2020 è un anno speciale che segna il 25° anniversario della Dichiarazione di Pechino e della Piattaforma d’azione. Questo evento di grande rilievo offre l’opportunità di portare alla luce i risultati e le sfide future per il progresso dei diritti delle ragazze e delle donne e dell’uguaglianza di genere. Per dare spessore a questi aspetti, il Parlamento europeo insieme alla commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere, ha deciso di organizzare per la prima volta una settimana europea sull’uguaglianza di genere da lunedì 26 a giovedì 29 ottobre.
Tutte le commissioni del PE per celebrare l’occasione sono state invitate a partecipare a uno scambio di opinioni su argomenti relativi all’uguaglianza di genere e molte di loro hanno risposto favorevolmente. Per citarne alcuni, lunedì sera il Comitato per le libertà civili terrà un’audizione sulla tratta di esseri umani, martedì pomeriggio il Comitato speciale per la lotta contro il cancro terrà un’audizione pubblica su “Combattere il cancro al seno: sfide e opportunità” e mercoledì mattina la sottocommissione per i diritti umani organizzerà uno scambio di opinioni con importanti donne attiviste. Infine giovedì il Comitato per i diritti delle donne terrà un evento durante il quale il direttore dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), Carlien Scheele, presenterà i risultati dell’indice sull’uguaglianza di genere 2020, con particolare attenzione alla digitalizzazione nel mondo del lavoro e alle sue conseguenze per l’uguaglianza di genere.
Per il programma completo degli eventi clicca qui.
Puoi guardare questi eventi tramite webstreaming su EP Multimedia Center
Cristina Montagni
IMMIGRAZIONE E DIALOGO: LA SFIDA DELLE DONNE
Si è tenuta a Roma il 26 gennaio a Palazzo Valentini, la tavola rotonda “Immigrazione e dialogo: la sfida delle donne”. La Fidapa BPW Italy, in partnership al Coordinamento Italiano LEF (Lobby Europea delle Donne), Giuseppina Bombaci, coordinatrice BPW Europe, l’ufficio della consigliera di parità nazionale della città metropolitana di Roma Capitale, Franca Cipriani, hanno promosso l’iniziativa per valorizzare l’apporto delle donne migranti nell’economia nazionale. A introdurre i lavori, Caterina Mazzella, presidente nazionale Fidapa BPW Italy e la rappresentante nazionale della Fidapa BPW Italy presso LEF Italia, Rossella Poce.
Ancora una volta la Fidapa si conferma promotrice di confronti e incontri, informando e denunciando, come in questo caso, il tema dell’immigrazione presso le istituzioni politiche nazionali ed europee. Un impegno costante, dichiara Caterina Mazzella, che la Federazione BPW international persegue per la conoscenza dei 17 goal dell’agenda 2030, e in particolare al punto 5 si propone di garantire l’uguaglianza di genere alle donne di tutto il mondo. Questa azione di prevenzione conferma il costante lavoro di 11.000 socie che, con 300 sezioni territoriali, hanno l’obiettivo di fare squadra per difendere i diritti delle donne in ogni campo della vita sociale e civile.
Le massicce ondate migratorie negli ultimi anni hanno posto il mondo occidentale di fronte a nuove sfide economiche sulle politiche sociali. Sfide da affrontare perché non ci sono alternative possibili, e nei processi di cambiamento, le donne sono protagoniste. Le prime a migrare per la necessità di accudire i figli, e per la facilità nel trovare un’occupazione come badanti, baby sitter, o colf. “Sono proprio loro a trovare nuovi modelli di convivenza per garantire un futuro dignitoso ai figli, le uniche a farsi promotrici dei cambiamenti nella vita quotidiana”, conclude la Poce.
Maria Ludovica Bottarelli, presidente del Coordinamento italiano LEF, spiega che il tema delle donne migranti è una questione complessa per le motivazioni e le cause che le inducono ad abbandonare i paesi di origine.
La presidente del distretto centro Fidapa BWP Italy, Patrizia Bonciani, precisa che l’argomento è sentito dall’associazione dove si assiste impotenti a ondate di immigrazione femminile che fuggono dai paesi di origine con la speranza di un futuro migliore in Europa. Il viaggio della speranza – per la Bonciani – si riduce però ad una vita di sfruttamento e disperazione. In questo processo, le donne sono in prima linea, scelgono di emigrare per garantire la crescita dei figli e per la maggiore facilità di un impiego nel paese ospitante. Sono le donne a trovare modelli di convivenza e pace, necessari per il futuro della prole. Comprendere e conoscere queste realtà, è la missione della federazione che punta a smuovere le coscienze di chi ancora non comprende la gravità della situazione in cui versano le donne migranti.
Giuseppina Bombaci, coordinatrice della BPW Europe, suggerisce di parlare di pace al prossimo congresso europeo 2019. La pace – per la Bombaci – va conquistata nelle scuole, nelle università, negli ambienti di lavoro con l’insegnamento dei valori. “Spesso si pensa che un buon lavoro si ottiene solo quando si ottengono buoni profitti. Ma il focus principale è la persona, il lavoratore e la sua dignità”, commenta la Bombaci.
Non c’è convivenza senza l’unione di tutte le donne italiane, per questo è necessario porre al centro dell’attenzione nuovi sistemi di convivenza attraverso la cultura dell’educazione, sostiene la consigliera di parità, Flavia Ginevri. Recenti dati statistici, dimostrano una crescita dei flussi migratori femminili, non solo in Italia, per ragioni economiche e per i ricongiungimenti familiari. Le donne rappresentano una risorsa preziosa, infatti ognuna di loro porta con sé storie intense di coraggio e determinazione, oltre che di supporto alle famiglie per conciliare la vita lavorativa con la cura dei figli in molte famiglie italiane, conclude la Ginevri.
Jean-Léonard Touadi, advisor FAO, politico e accademico, scrittore e giornalista, esperto di movimenti migratori, spiega che il tema dibattuto è cruciale in tempi di globalizzazione. Secondo l’accademico, costituisce il presente e il futuro, e l’Italia è paese di approdo per molti flussi migratori dagli anni ’80 dopo essere stato paese di emigrazione. Il fenomeno oramai strutturale, merita di essere affrontato a partire dai fattori che lo generano, fattori economici, mancanza di rispetto dei diritti umani, studiando sistemi di integrazione tra i popoli.
Tatiana Esposito, direttrice dell’ufficio migrazioni del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ha delineato una mappa per indicare il modo per correggere le percezioni distorte della realtà dell’immigrazione. Il fenomeno migratorio è spesso in cima ai temi di attualità, ed è importante affrontarli con la giusta sensibilità, solo così si può contribuire a smorzare gli eccessi di una narrazione falsata. Si compie l’errore, per la Esposito, di affrontare il tema dell’integrazione solo dal lato dei migranti, ma i processi di integrazione sono variabili bidirezionali che mettono in gioco il migrante e la comunità che la ospita. Il Ministero delle Politiche sociali, commenta la Esposito, attiva vari processi di integrazione, contribuisce a diffondere reportistiche e dati aggiornati sui delicati rapporti che reggono le singole comunità per costruire mappe dettagliate sulla presenza femminile, la condizione familiare, occupazionale e la collocazione geografica. Sommando questi indicatori, si comprende che la nostra immigrazione è costituita da tante comunità diverse, alcune di origine antica, altre più recenti e tra di loro diversificate. Nello specifico, conclude la direttrice dell’ufficio migrazioni, il tasso di occupazione femminile è elevato, in prevalenza inserite nel settore dell’agricoltura. Le donne straniere spesso trovano enormi barriere al mercato del lavoro, una serie di criticità come la difficoltà di accesso al credito e una segregazione settoriale concentrata in molti settori professionali.
Monica Attias, volontaria della Comunità di Sant’Egidio, si occupa da anni del contrasto al traffico degli esseri umani, e interviene sulla parola dialogo per riflettere su ciò che sta accadendo nella nostra società. Dalla tragedia del mediterraneo del 2013, commenta la volontaria, è nato il progetto dei corridoi umanitari. Migliaia di profughi, secondo quanto riportato da Monica Attias, raggiungono l’aeroporto di Fiumicino grazie ai corridoi umanitari promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e dalla Tavola Valdese. Questi gruppi di persone, costituiti da famiglie con minori, arrivano in sicurezza e legalmente in Italia, in accordo con i ministeri degli Esteri e dell’Interno. Mentre l’Europa fatica ancora a trovare un’unità di vedute di fronte al grande tema dell’immigrazione, un’alleanza tra diversi soggetti della società civile riesce ad autofinanziare un’alternativa concreta ai viaggi della disperazione nel Mediterraneo e ai trafficanti di esseri umani.
La Comunità di Sant’Egidio, sostiene la volontaria, dopo intense trattative con il Ministero degli Interni e degli Esteri e con le Chiese Evangeliche, ha siglato tre protocolli d’intesa per salvare le popolazioni provenienti dal Libano e dall’Iraq, dal Corno d’Africa e Sudan, dall’Eritrea e dalla Somalia. Questo visto umanitario, consente ai profughi di abbandonare legalmente i paesi di origine. La Francia e il Belgio hanno aderito alla proposta di Sant’Egidio, a breve si prevede un incontro con il Ministero degli Interni di Londra per capire se questa è la via percorribile anche per il Regno Unito, spiega la Attias. La comunità di Sant’Egidio, operando in accordo con le ambasciate italiane, ha colto un aspetto interessante dell’accoglienza. I corridoi umanitari prevedono che l’accoglienza sia a carico di sponsor privati – famiglie e comunità religiose – che impattano positivamente sulla vita delle popolazioni ospitanti. Ancora una volta le donne sono attive nel partecipare a questo dialogo di convivenza, ricostituendo le comunità frammentate, conclude la Attias.
L’enorme flusso migratorio intensificatosi dal 2014, commenta Luciana Capretti, giornalista e scrittrice, è costituito da donne musulmane siriane, dirette verso l’Europa. Queste donne, per la scrittrice, compiono grandi sforzi attraverso la rilettura del Corano, affermando che è un testo egalitario. Il Corano, sostiene l’uguaglianza di genere e lo fa dai versetti che guardano alla creazione, in cui le donne e gli uomini sono stati creati insieme, spiega la Capretti. La lettura del Corano, compiuta dalle donne islamiche, è interessante perché compie una rivoluzione all’interno del sistema sociale, dal momento che sino ad ora l’interpretazione del sacro testo è stata demandata agli uomini. Queste donne stanno divulgando da diversi anni un credo liberista non solo in America ma anche in Europa. Oggi, molte di loro sono Imame e conducono la preghiera in Europa. Movimenti come Muslims for Progressive Values, si stanno diffondendo nei piccoli villaggi dove c’è una presenza maggiore di ragazze con lo scopo di fornire strumenti necessari per difendersi da ogni attacco di violenza.
I flussi migratori sono in crescita in tutte le regioni del mondo, e le donne migranti approdano nel nostro paese attraverso modelli migratori differenti, a dirlo è Linda Laura Sabbadini, esperta di dati Istat che spiega il ruolo delle donne e il cambiamento storico nella società. Un fenomeno che risale dagli anni ’70 e secondo l’ONU – Organizzazione delle Nazioni Unite – il numero di persone che vive in luoghi diversi da quelli in cui sono nate, sono circa 250milioni, di cui il 48% è costituito da donne. Nel processo di mobilità, le donne sono in prima linea e l’Italia ha superato i 5milioni di residenti, di cui il 52% è costituito da donne. Questi dati indicano che il processo di radicamento è un buon indicatore di integrazione nel nostro paese. La maggior parte delle donne sono sole, non accompagnate, in cerca di occupazione per ricongiungersi successivamente con la famiglia di origine. Donne che creano delle famiglie transnazionali alla ricerca di una occupazione e richiamare successivamente i loro cari nel paese ospitante. Questo processo di trasformazione e integrazione, da anni è vissuto dalle donne filippine, ucraine e latino-americane, sostiene la Sabbadini. Ci sono poi le donne richiedenti asilo politico che arrivano con i figli e rischiano più delle altre atti di violenza per cadere nel circuito dello sfruttamento come vittime di tratta. Le cinesi invece, emigrano con i mariti non per necessità, ma per investire nel nostro paese. Indipendentemente da come avviene il processo migratorio, le donne migrando, ridefiniscono il loro ruolo nella società, dalla partenza a quella di accoglienza. Va sottolineato, aggiunge l’esperta di analisi statistiche, che siamo in presenza di circa 1milione di donne che lavorano in Italia, di cui 226mila disoccupate o in cerca di lavoro. La maggior parte delle lavoratrici possiede un titolo di studio elevato, mentre quelle che rischiano di più sono quelle con bassi livelli di istruzione, diventando vittime di isolamento all’interno di famiglie con un numero maggiore di figli rispetto alle altre istruite. L’interazione con la scuola è, per l’analista, un fattore cruciale per abbattere forme di isolamento e disgregazione sociale. Le migranti, in generale, hanno risentito meno della crisi economica, mentre gli uomini, occupati nell’industria e nel settore delle costruzioni, hanno subito a caro prezzo, il trauma economico degli ultimi anni. Le donne hanno “retto meglio” perché inserite nel settore dei servizi alle famiglie, che ha registrato nel tempo, una crescita della domanda nei bisogni di assistenza agli anziani non autosufficienti. Le immigrate, considerate fulcro nell’integrazione sociale, tengono uniti mondi diversi e rappresentano un ponte tra diverse culture. È necessario lavorare su queste dinamiche per garantire loro, sviluppo, autonomia e libertà oltre che abbattere gli stereotipi che le vedono fragili e poco istruite, mentre cercano di costruire spazi di libertà e autonomia economica, conclude la Sabbadini.
Daniela Colombo, economista, esperta di genere, da anni lavora nei paesi in via di sviluppo, presenta la condizione femminile nei luoghi di provenienza delle immigrate rispetto alle ultime ondate migratorie. Le donne provenienti dall’Est Europa e dall’America Latina, sono in prevalenza occupate nelle famiglie italiane nella cura degli anziani, possiedono un buon livello d’istruzione, una solida rete di riferimento e sono protette da associazioni cattoliche cui fanno riferimento. Le migranti, residenti in Italia, mantengono uno stretto legame con la comunità di origine che le aggiorna su quanto avviene nel loro paese, diventando protagoniste di una doppia vita, in una società dove valori e modelli sono spesso inconciliabili.
Per la psicologa, Liuva Capezzani, le donne possono biologicamente imprimere cambiamenti nella società, trovando soluzioni diverse ai problemi e ai conflitti sociali. La migrazione, per la Capezzani, è una risorsa per la sopravvivenza di ciascuno di noi. Lo scambio culturale, secondo la psicologa, è un’occasione per costruire un modello d’integrazione duraturo, al di là della professione esercitata, costituito da donne che vivono la realtà del quotidiano, hanno rapporti “puri” con l’ambiente circostante, e si riconoscono in una dimensione umana adatta alle proprie necessità.
Cristina Montagni
Roadmap e Summit G7 di Taormina. Politiche e strategie sulla Parità di Genere entro 2030
A conclusione del Vertice di Taormina, i leader del G7 firmano la roadmap sulle politiche da intraprendere sulla parità di genere entro il 2030. Il piano punta sul lavoro femminile, sull’imprenditoria, sull’empowerment economico e la piena partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Vediamo le principali risoluzioni dell’accordo:
Impegno del G7 e misure concrete entro il 2022
Entro il 2022 si dovrà facilitare l’ingresso delle donne imprenditrici nel tessuto sociale, offrire incentivi all’accesso al credito attraverso la garanzia di fondi soprattutto nella fase di start-up. Saranno individuate campagne di sensibilizzazione per informare le donne sulle risorse disponibili per la creazione di reti e la promozione dell’imprenditorialità femminile. L’impegno dell’UE è aumentare la formazione, il mentoring, le opportunità di networking sostenendo politiche di cooperazione allo sviluppo in diversi settori produttivi.
Lavoro dignitoso per le donne
Nei criteri di crescita si auspica l’aumento del 25% della partecipazione femminile al lavoro entro il 2025, oltre al miglioramento della qualità dell’occupazione femminile riconoscendone il ruolo positivo nel mercato occupazionale equiparando reddito e pensioni agli uomini. Il G7 si impegna a promuovere l’impiego delle donne nei management aziendali soprattutto nell’economia informale in cui sono sottorappresentate. Si impegna a riconoscere la cura e il lavoro domestico non retribuito quale contributo all’economia globale che grava sulle donne e sulle ragazze. La delegazione sollecita l’aggiornamento delle banche dati delle statistiche nazionali ISTAT, delle Nazioni Unite, OCSE, FMI, BM, OIL e della Commissione Europea. L’ISTAT sarà l’unico ente preposto per coordinare le statistiche in base alle caratteristiche definite secondo le nuove regole definite dal G7. Per armonizzare le banche dati degli Enti nazionali, si adotterà un metodo condiviso tra i dati degli Enti nazionali e quelli dell’OECD. Le banche dati dovranno stimare le attività delle famiglie tenendo conto degli impieghi non retribuiti a livello nazionale e internazionale con l’ausilio di sportelli per quantificare il lavoro a tempo determinato con indagini ad hoc, già a disposizione dai sistemi confederali CISL. L’ILO dovrà inoltre proseguire il programma di lavoro pilota (LFS) con l’obiettivo di scrivere le linee guida e sostenere il G7 per all’attuazione della risoluzione 19 ICLS sulle statistiche di lavoro entro il 2018.
Investimenti in infrastrutture sociali
Si riconosce alle infrastrutture sociali – reti, luoghi, progetti e servizi – un ruolo cruciale per aumentare lo standard di vita e di qualità delle comunità. Saranno stimolate le strutture didattiche, le aree ricreative, i programmi culturali per facilitare i contratti di lavoro per le donne impiegate in ambito informale. Il G7 aumenterà le dotazioni finanziarie nelle infrastrutture in servizi sociali con la promozione di partenariati pubblico-privati. I Ministeri del lavoro si impegneranno per l’integrazione tra i sessi nei processi di pianificazione, monitoraggio e budgeting nelle infrastrutture sociali.
Investimenti in salute, benessere e alimentazione
Salute, benessere e alimentazione sono indicatori necessari per promuovere l’empowerment per le donne considerate come agenti di cambiamento. Per accompagnare questi cambiamenti si dovranno sostenere l’adozione di buone pratiche sanitarie e nutrizionali, migliorare la partecipazione economica delle donne, l’alfabetizzazione dei giovani, promuovere la carta dei diritti degli adolescenti e delle donne in materia di salute, implementare l’accesso ai servizi sull’assistenza sanitaria e politiche mirate alla salute e al benessere.
Analisi di genere e di contrasto alla povertà
L’uguaglianza di genere è il principale strumento anti-povertà che si concretizza attraverso mirate politiche economiche, sociali e ambientali. Tutte le statistiche dei paesi evidenziano strette connessioni tra sesso, povertà, l’empowerment e diseguaglianza. A questo proposito ecco alcune delle riflessioni in grado di contrastare questi fenomeni.
Esclusione sociale
Esperti nazionali, regionali e internazionali ritengono che per contrastare la povertà, occorre disporre di una politica comune e avviare analisi multidimensionali in riferimento al sesso e alla povertà che per effetto della crisi hanno investito l’occupazione femminile in un contesto globale. Si incoraggiano partenariati internazionali per rafforzare le indagini statistiche e disporre di analisi innovative disaggregando le informazioni in base al sesso e età e capire quali sono le barriere che impediscono ai gruppi di accedere ai servizi di base per la salute.
Gli strumenti di contrasto
- Incentivare le strategie anti-povertà con aspetti economici e sociali;
- Sostenere politiche sull’occupazione attraverso sistemi di detassazione alla famiglia, sull’assistenza sanitaria e assistenza agli anziani;
- Sviluppare politiche abitative idonee per uscire dalla povertà e dalla disuguaglianza considerando con attenzione i fenomeni della disabilità, razza, etnia, religione e composizione familiare che influenzano lo status sociale di donne;
- Riconoscere alle donne – impiegate nell’occupazione precaria – politiche sul congedo retribuito, modalità di lavoro flessibili, custodia dei bambini e cura a lungo termine;
- Per combattere l’occupazione precaria, gli stati membri incoraggiano privati, aziende statali e datori di lavoro ad adottare strumenti di conciliazione tra lavoro e cura delle responsabilità per le donne e per gli uomini, riducendo il gap retributivo;
- Incoraggiare le aziende a sostenere accordi di lavoro flessibili per le famiglie;
- Incentivare sul posto di lavoro misure di sostegno al credito;
- Disegnare una mappa dei settori in cui il divario tra i sessi è più rilevante;
- Promuovere maggiore partecipazione delle ragazze nella scienza, tecnologia, ingegneria, matematica e medicina (STEMM), riconoscendo che l’area digitale e le competenze tecnologiche sono quelle in cui le donne e le ragazze sono sotto-rappresentate. Queste competenze saranno il requisito fondamentale per accedere a molti posti di lavoro ad alto rendimento economico;
- Rafforzare la collaborazione tra università e ricerca, istituti e settore privato.
Eliminare la violenza contro le donne e le ragazze
I leader G7 si impegnano a promuovere misure per contrastare la violenza contro le donne e le ragazze nel settore pubblico e privato. La violenza contro le donne è una violazione, un abuso dei diritti umani che producono costi diretti e indiretti rilevanti per tutta la società. I governi daranno una risposta forte per contrastare ogni forma di molestia – incluse le pratiche dannose contro i bambini, il matrimonio precoce e forzato, la mutilazione genitale femminile, la violenza domestica, la tratta di esseri umani nello sfruttamento sessuale e lavorativo – contro le donne e le ragazze, compresi i migranti e i rifugiati in una cultura di reciproco rispetto. Per combattere questi atti si adotterà una strategia nazionale attraverso un incremento delle risorse finanziarie promuovendo per gli educatori la formazione alla parità di genere con norme sugli stereotipi contro le ragazze nelle scuole a tutti i livelli di istruzione entro il 2022. Sarà compito degli Stati monitorare l’attuazione di leggi e politiche legate alla violenza contro le donne analizzando dati rilevanti sui tipi di violenza perpetrati nei confronti di donne e ragazze. Saranno raccolti e pubblicati con regolarità i dati disaggregati per sesso e età in modo da monitorare il fenomeno, esplorando le cause e identificando i gruppi vulnerabili e le nuove forme di violenza. Si investirà in campagne d’informazione volte a coinvolgere i ragazzi, come attori di cambiamento, per aumentare la consapevolezza degli effetti negativi mostrando immagini degradanti delle donne e atti violenti perpetrati contro le donne o incitamento alla violenza nei media. Si prevede inoltre un aumento di fondi per lo sviluppo in programmi sulla cooperazione e su tutte le forme di violenza entro il 2022 per la raggiungere la piena attuazione della risoluzione 1325 delle Nazioni Unite.