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Donne nella diplomazia internazionale per sostenere percorsi di Pace. Intervista a Elisabetta Nistri Presidente di WFWP International Italia
Cercare la Pace è responsabilità di tutti, ma senza l’impegno diplomatico delle donne, ogni tentativo di mediazione vanifica gli obiettivi primari nel rispetto dei Diritti Umani per tutti, incluso donne e ragazze. Women For Women Italy ha intervistato in esclusiva la Presidente della Federazione WFWP International Italia Elisabetta Nistri per analizzare il contributo delle donne ai processi di pace, prevenzione e conflitti negli scenari internazionali.
Il valore femminile è determinante per raggiungere la Pace e la Sicurezza nel mondo. La Presidente Elisabetta Nistri racconta alcune esperienze di donne che sono riuscite a portare il loro sostegno nei consessi nazionali ed internazionali con una ricaduta positiva su altre popolazioni femminili inserite in contesti disagiati del mondo.

Presidente Nistri quando è nata la Federazione e qual è il suo impegno all’interno della Women’s Federation For World Peace International?
Sono presidente della Federazione delle Donne per la Pace nel Mondo in Italia dal 2012 che fa parte della WFWP International, Organizzazione non Governativa presso la Commissione Economica e Sociale delle Nazioni Unite oltre ad essere affiliata al Dipartimento di Informazione Pubblica. Dal 1997 l’Organizzazione ha ottenuto questo status e in seguito le è sempre stato confermato grazie ad una rete di attività locali e internazionali che interessa oltre 130 nazioni. La WFWP sostiene con determinazione gli obiettivi dell’Agenda 2030 dello Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.
Chi sono i fondatori e qual è il sentimento della WFWP nel rivolgersi al mondo?
L’Organizzazione nasce in Corea nel 1992 per volere dei coniugi Moon, successivamente la WFWP ha sensibilizzato le donne di tutto il mondo perseguendo la pace e facendo appello alle particolari doti femminili; perdono, resilienza, empatia, riconciliazione e attenzione ai bisogni di ognuno. La Pace – secondo i Moon – non deve intendersi come assenza di guerra ma capace di influenzare lo stato d’animo delle persone attraverso la costruzione della famiglia, allargando la visione alle relazioni sociali per aprirsi all’intera struttura sociale. Questi valori sono importanti, solo così i cittadini vedono rispettati i propri diritti e si impegnano ad adempiere ai propri doveri.
Durante il suo lavoro ha incontrato donne impegnate nel promuovere la Pace?
Durante la mia attività ho incontrato donne che hanno fatto la differenza, ma lungo il percorso mi sono resa conto dei numerosi ostacoli; dalla partecipazione alla vita pubblica, all’ottenimento del rispetto degli stessi diritti umani che conosciamo come Diritti dell’Uomo.
Quanto il lavoro delle donne contribuisce alla risoluzione dei conflitti?
È statisticamente dimostrato che la partecipazione delle donne ai tavoli di pace aumenta del 25% la probabilità di una soluzione diplomatica e pacifica del conflitto tra le parti. Purtroppo non è facile, anzi proprio dove ci sarebbe più bisogno della presenza femminile questa viene ostacolata, basta pensare alla Birmania e a quello che sta accadendo in quel paese. In genere, per loro natura – uomini e donne – ragionano in modo diverso: per l’uomo la soluzione di un conflitto si ottiene quando una parte vince sull’altra ed il nemico viene annientato. Mentre la donna per arrivare alla risoluzione del problema cerca il dialogo su un terreno comune, un accordo che porti beneficio ad entrambi le parti in causa. Su questa base c’è interesse a mantenere l’accordo di pace e con il tempo è possibile sciogliere il risentimento e il dolore che la guerra o il conflitto ha arrecato a tutti i popoli coinvolti, sia esso oppresso che oppressore.

Quali sono i problemi urgenti che affliggono le donne e ragazze che vivono in Paesi nei quali vengono violati i diritti fondamentali?
Accennerò ad uno dei tanti problemi, cioè la possibilità di accesso all’educazione per bambini e bambine, ma sappiamo che le bambine sono più penalizzate. Le faccio un esempio e riguarda l’educazione delle donne in Afganistan. Per diverso tempo la WFWP International ha lavorato nel paese finché è stato possibile per contribuire all’educazione, attualmente sosteniamo una scuola in India che accoglie le ragazze profughe offrendo loro istruzione. Attualmente grazie ad una rete di contatti in Afghanistan sappiamo cosa sta succedendo infatti molte donne non lottano più per avere la parità dei diritti dell’uomo, ma scendono in piazza solo per rivendicare un lavoro e portare a casa qualcosa per sfamare i propri figli. Abbiamo poi sostenuto con una donazione la giornalista Barbara Schiavulli di Radio Bullet che si è recata sul posto per una missione umanitaria. Poi anche la storia di Aziz lasciata dal marito con 3 figli di cui la più grande era stata rapita dai Talebani e mai più tornata a casa. Il cognato le chiedeva la figlia di 3 anni per saldare il debito dell’affitto della casa ma grazie al nostro intervento abbiamo evitato che ciò accadesse, ora è entrata in un percorso di protezione. Altra emergenza riguarda la condizione sanitaria – precaria per tutti – ma insostenibile per le donne che possono essere visitate solo da medici donna che non hanno accesso agli studi e possono ricevere lezioni solo da una donna. Le donne rischiano costantemente la vita per partorire o per una banale influenza. C’è però un esempio positivo che desidero raccontare e riguarda la storia di SAKENA IACOOBY che dopo essersi laureata in America è tornata in Afghanistan nel 1995 per aprire scuole che accogliessero bambini e bambine. Quando è stato vietato alle bambine di andare a scuola, lei si recava nelle case delle famiglie per insegnare alle bambine, più tardi ha fondato the AFGHAN Institute of learning, che comprende scuole, ospedali e centri di rifugio per ragazzi e ragazze soli. Per il suo impegno ha ricevuto numerosi premi a livello internazionale, tra cui il SUN HAK PEACE PRIZE, premio concesso dalla Dott.ssa Moon alle persone che si sono distinte per il loro impegno per la pace, scelte da una selezionata giuria. “Sono convinta che l’istruzione è la chiave per sbloccare il potenziale umano, ma può funzionare solo se le persone sono sane, l’economia è stabile e il paese è sicuro”.
Quali sono le attività future della WFWP per garantire protezione, educazione a bambini e bambine afgane?
La nostra preoccupazione riguarda la condizione delle donne e dei bambini, per questo insieme all’ufficio WFWP a Vienna e il supporto del team YOUTH WFWP è stata definita una dichiarazione scritta, presentata e accolta ad agosto 2021 dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e dalla sezione speciale sull’Afghanistan. I principali contenuti della dichiarazione sono i seguenti:
Esortiamo tutti gli stati membri a insistere costantemente sul diritto fondamentale ad avere una istruzione di qualità per tutti (bambini e bambine) ed inoltre si chiede che venga garantita la protezione degli educatori e degli istituti educativi (è un fatto che le bandiere e le regole talebane vengono imposte alle istituzioni educative, creando un’atmosfera di paura, trauma e sfiducia che può portare alla radicalizzazione di giovani e bambini).
Cosa sono i bridge of peace?
La WFWP è animata dal desiderio di abbattere le barriere, per questo realizza Cerimonie di Gemellaggio, come “Ponti di pace e riconciliazione” tra donne appartenenti a paesi nemici o comunità etniche e religiose che magari vivono fianco a fianco all’interno di una nazione spesso in conflitto tra loro! A Padova 2018 per il centenario fine Prima guerra mondiale, tra donne italiane, slovene e austriache e in Medio Oriente tra donne ebree, musulmane.

Lo spirito è creare una rete tra leadership femminili improntata alla pace e, l’ufficio della WFWP Int. alle ONU a Ginevra, ha promosso attività con l’Associazione First Ladies for Peace, che coinvolge past, present first ladies e donne leader tra cui l’On. Emanuela Del Re, rappresentante dell’Unione europea per il SAHEL che ha partecipato lo scorso anno al convegno “il ruolo delle donne nella diplomazia internazionale” e parteciperà il prossimo 15 settembre al convegno Europeo “il contributo che le donne stanno portando ai processi di pace, prevenzione dei conflitti e sicurezza”. Infine, la dott.ssa Moon in collaborazione con altre organizzazioni per la pace, sta lavorando per promuovere la riunificazione della Corea, attraverso la creazione di un THINK THANK di esperti e leader politici mondiali, e altre iniziative, tra cui la Peace Road, evento svolto a Berlino a fine luglio, per ribadire il NO ALLA GUERRA e scongiurare che NUOVI MURI vengano costruiti in Europa. Io stessa ho portato il messaggio della WFWP davanti alla porta di Brandeburgo e nella manifestazione davanti al Parlamento tedesco.
Cristina Montagni
Lettera dei presidenti dei paesi UE per la giornata dell’Europa
In vista della Festa dell’Europa del 9 maggio, ricevo ed inoltro la lettera integrale che i presidenti dei Paesi Europei hanno rivolto ai cittadini di tutto il continente. Buona lettura a chi vorrà.
Signature of the Paris Treaty creating the ECSC – CECA on April 18, 1951
“In occasione della Giornata dell’Europa vorremmo estendere i nostri più sentiti auguri a tutti i cittadini europei.
Questa Giornata dell’Europa è speciale. Per il secondo anno di fila, è celebrata in circostanze complesse a causa della pandemia di Covid-19. Siamo vicini a tutti coloro che ne hanno sofferto. La Giornata dell’Europa di quest’anno è speciale anche perché segna l’avvio della Conferenza sul Futuro dell’Europa. Facciamo appello a tutti i cittadini dell’UE affinché colgano questa occasione unica per plasmare il nostro comune futuro.
Questo dialogo sul futuro dell’Europa si svolge in circostanze molto differenti da quelle degli anni passati. Potrebbe sembrare che nella situazione attuale non ci sia tempo sufficiente per una discussione approfondita sul futuro dell’Europa. Al contrario, la pandemia di Covid-19 ci ha ricordato ciò che è veramente importante nelle nostre vite: la nostra salute, il nostro rapporto con la natura, le nostre relazioni con gli altri esseri umani, la reciproca solidarietà e la collaborazione. Essa ha sollevato degli interrogativi sul modo in cui viviamo le nostre vite. Ha mostrato i punti di forza dell’integrazione europea, così come le sue debolezze. Di tutto ciò è necessario parlare.

Le sfide che ci si pongono come europei sono molteplici: dall’affrontare la crisi climatica e dalla creazione di economie verdi, in un contesto che rende necessario bilanciare la crescente competizione tra gli attori globali, alla trasformazione digitale delle nostre società. Avremo bisogno di sviluppare nuovi metodi e nuove soluzioni. Come democrazie la nostra forza consiste nel coinvolgere le molte voci presenti nelle nostre società per identificare il percorso migliore da intraprendere. Quante più persone parteciperanno a una discussione ampia e aperta, tanto meglio sarà per la nostra Unione.

Il progetto europeo non ha precedenti nella storia. Sono passati 70 anni dalla firma del Trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio e 64 dalla nascita a Roma della Comunità Europea. A quel tempo i leader europei trovarono soluzioni per unire un’Europa devastata dalla guerra. Trent’anni fa l’Est e l’Ovest dell’Europa hanno iniziato a connettersi più strettamente. Paesi molto diversi si sono uniti per formare l’Unione Europea. Ciascun Paese ha le proprie esperienze storiche e sente il peso del proprio passato, con il quale fare i conti da solo e nel rapporto con altri Paesi.
Il progetto europeo è un progetto di pace e riconciliazione. Lo è stato fin dalla sua concezione, e rimane tale oggi. Sosteniamo una comune visione strategica per l’Europa, un’Europa nella sua interezza, libera, unita e in pace. Tutti i principi fondamentali dell’integrazione europea restano assolutamente rilevanti al giorno d’oggi: libertà, uguaglianza, rispetto dei diritti umani, Stato di diritto e libertà di espressione, solidarietà, democrazia e lealtà tra gli Stati membri. Come possiamo assicurare collettivamente che questi principi fondanti dell’integrazione europea restino rilevanti per il futuro?
Nonostante l’Unione Europea a volte sembri mal equipaggiata per far fronte alle molte sfide emerse nell’ultimo decennio – dalla crisi economica e finanziaria alle sfide nel perseguire un sistema migratorio europeo giusto ed equo sino all’attuale pandemia – siamo ben consapevoli che sarebbe molto più difficile per ciascuno di noi se fossimo da soli. Come possiamo rafforzare al meglio cooperazione e solidarietà europee e garantirci un’uscita da questa crisi sanitaria che ci renda più resilienti in vista di sfide future?
Abbiamo bisogno di un’Unione Europea forte ed efficace, un’Unione Europea che sia leader globale nella transizione verso uno sviluppo sostenibile, climaticamente neutrale e trainato dal digitale. Occorre un’Unione Europea nella quale ci possiamo tutti identificare, certi di aver fatto tutto il possibile a beneficio delle generazioni future. Insieme possiamo raggiungere quest’obiettivo. La Conferenza sul Futuro dell’Europa sarà un’opportunità per parlare apertamente di Unione Europea e per ascoltare i nostri concittadini, soprattutto i più giovani. Essa crea uno spazio di dialogo, dibattito e discussione su quel che ci aspettiamo dall’UE domani e su come possiamo contribuirvi oggi. Dobbiamo pensare al nostro futuro comune; per questo vi invitiamo a unirvi alla discussione e a trovare insieme il percorso da seguire.”

Borut Pahor
Presidente della Repubblica di Slovenia
Alexander Van der Bellen
Presidente Federale della Repubblica d’Austria
Rumen Radev
Presidente della Repubblica di Bulgaria
Zoran Milanović
Presidente della Repubblica di Croazia
Nicos Anastasiades
Presidente della Repubblica di Cipro
Miloš Zeman
Presidente della Repubblica Ceca
Kersti Kaljulaid
Presidente della Repubblica di Estonia
Sauli Niinistö
Presidente della Repubblica di Finlandia
Emmanuel Macron
Presidente della Repubblica Francese
Frank-Walter Steinmeier
Presidente della Repubblica Federale di Germania
Katerina Sakelloropoulou
Presidente della Repubblica Ellenica
János Áder
Presidente della Repubblica d’Ungheria
Michael D. Higgins
Presidente d’Irlanda
Sergio Mattarella
Presidente della Repubblica Italiana
Elgis Levits
Presidente della Repubblica di Lettonia
Gitanas Nausėda
Presidente della Repubblica di Lituania
George Vella
Presidente della Repubblica di Malta
Andrzej Duda
Presidente della Repubblica di Polonia
Marcelo Rebelo de Sousa
Presidente della Repubblica Portoghese
Klaus Iohannis
Presidente di Romania
Zuzana Čaputová Presidente della Repubblica Slovacca
La redazione Women For Women Italy
#Iolochiedo. Il sesso senza consenso è stupro
L’8 luglio alla Casa del Cinema di Roma, è stata presentata la campagna #Iolochiedo in cui Amnesty International chiede al ministro della giustizia che la legislazione italiana si adegui agli standard internazionali, stipulati con la convenzione di Istanbul nel 2011.
La campagna Amnesty lanciata in partnership con l’associazione Libere Sinergie ha l’obiettivo di diffondere sul territorio nazionale l’esposizione della mostra “What Were You Wearing” (Com’eri vestita?). La mostra narrata in cinque lingue ha riprodotto le storie di abusi con gli abiti che la vittima indossava al momento della violenza subita: un pigiama, dei jeans, un maglione collo alto, un vestito attillato e una gonna al ginocchio. L’idea è quella di smantellare il pregiudizio che la vittima avrebbe potuto evitare lo stupro se solo avesse indossato abiti meno provocanti.
L’appello di Amnesty International
La richiesta di Amnesty riguarda la modifica dell’articolo 609-bis del Codice penale affinché venga considerato reato qualsiasi atto sessuale non consensuale. La normativa italiana attualmente considera lo stupro un reato solamente nel caso in cui sussistano l’elemento della violenza, della minaccia, dell’inganno o dell’abuso di autorità e non nel caso di un “rapporto sessuale senza consenso”.
L’iniziativa #Iolochiedo intende rafforzare la consapevolezza nelle giovani generazioni sul tema dello stupro, sugli stereotipi di genere da combattere e chiarire il concetto del consenso. L’organizzazione internazionale chiede che alla modifica della norma del Codice penale che regola la violenza sessuale, siano messe in atto misure per promuovere la cultura del consenso come sinonimo di condivisione e rispetto. Per contrastare le violenze sessuali è necessario cambiare i comportamenti sociali basati sulla discriminazione di genere e sulle relazioni di potere di genere e contrastare la cosiddetta cultura dello stupro, intesa come normalizzazione della violenza sessuale. Lo stupro e i reati sessuali rappresentano una violazione dei diritti umani. Le vittime sono violate nel loro diritto alla vita, alla salute fisica e mentale, all’uguaglianza all’interno della famiglia o di fronte alla legge e si trovano spesso ad affrontare ostacoli nell’accesso alla giustizia. Per questo il diritto internazionale impone agli stati di attuare misure per proteggere le donne dalla violenza di genere, non solo con la tutela delle stesse, ma attraverso la condivisione di buone pratiche volte a trasformare leggi, politiche e atteggiamenti alla base dei crimini di violenza sessuale.
La coordinatrice delle campagne di Amnesty Italia, Tina Marinari, ha sottolineato che l’Italia ha sottoscritto la Convenzione di Istanbul nel settembre del 2012, il Parlamento l’ha ratificata nel 2013 ma la legislazione non è stata modificata secondo le direttive del documento. “A nostro avviso” ha spiegato “è importante completare questo passaggio perché il trattato di Istanbul rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne”.
Dati sulle vittime di abusi sessuali
I dati europei sulla violenza sono enormi. Si stima che 1 donna su 20 di età pari o superiore a 15 anni è stata stuprata, mentre 1 su 10 ha subito qualche altra forma di violenza sessuale. L’Istituto Centrale di statistica (Istat) nel 2019 ha rilevato che in Italia persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita per il modo di vestire (24% degli intervistati) o se sotto effetto di alcool e droghe (15%). Mentre il 39% degli intervistati ritiene che una donna sia sempre in grado di sottrarsi ad un rapporto sessuale se davvero non lo vuole.
Cristina Montagni
30 luglio, Giornata mondiale contro la tratta degli esseri umani
Ogni anno milioni di persone in tutto il mondo finiscono nelle mani dei trafficanti e vengono schiavizzate. Tutti i paesi del mondo sono interessati dal fenomeno della tratta come paesi d’origine, paesi di transito, o paesi di destinazione.
La maggioranza delle vittime è utilizzata al solo sfruttamento sessuale ed il 35% delle vittime del lavoro forzato è costituito da donne. Il rapporto mondiale nel 2018 ha dimostrato che la proporzione delle persone trafficate all’interno del proprio paese è raddoppiato negli ultimi anni fino a raggiungere il 58% di tutte le persone rilevate.
In occasione della Giornata mondiale, il 29 luglio a Ginevra, Maria Grazia Giammarinaro esperta di diritti delle Nazioni Unite, ha sollecitato gli Stati a compiere maggiori sforzi per garantire l’inclusione sociale dei sopravvissuti alla tratta. “Occorre un profondo cambiamento” ha spiegato la giudice “ed è fondamentale che gli Stati investano in soluzioni di lungo periodo per garantire procedure solide per consentire alle vittime di accedere alla giustizia incluso il risarcimento economico”. Un cambio di passo che può avvenire solo con profondi mutamenti in materia di migrazione e tratta. Politiche migratorie restrittive e xenofobe, criminalizzazione dei migranti, delle ONG e degli individui che offrono aiuti umanitari, sono incompatibili con azioni efficaci contro la tratta di esseri umani. “Ciò di cui abbiamo bisogno” ha commentato l’esperta “è un’immigrazione sicura, ordinata e regolare che includa l’integrazione sociale dei migranti comprese le donne che subiscono discriminazioni, violenze e sfruttamento insieme ai bambini vittime di abusi durante il viaggio quando viaggiano da soli. Politiche migratorie restrittive producono irregolarità, vulnerabilità e sfruttamento”. I sopravvissuti alla tratta, secondo la Giammarinaro, hanno bisogno di solidarietà e un ambiente sociale ed amichevole, un processo che richiede anche risorse finanziarie. In aggiunta oggi – ha continuato – il risarcimento alle vittime rimane una delle disposizioni meno attuate dal protocollo di Palermo soprattutto per i minori vittime di tratta. Il risarcimento comprende il ricongiungimento familiare e il ripristino del lavoro per le vittime che costituisce una forte componente preventiva che invita gli Stati ad affrontare le profonde cause della tratta. Occorre poi che gli Stati rimuovano gli ostacoli all’accesso alla giustizia per le vittime, conferendo lo status di residenza alle persone vittima di tratta assicurandosi che non siano detenuti o perseguiti per attività illegali in cui potrebbero essere stati coinvolti a causa del fenomeno. Un processo di empowerment per i sopravvissuti alla tratta richiede anche un progetto globale basato sull’istruzione e la formazione in grado di aprire nuove strade per acquisire competenze e opportunità di lavoro. Per le donne tale processo non dovrebbe essere creato su attività tradizionali basate sul genere, ma considerando soluzioni innovative in settori non tradizionali dell’istruzione e del lavoro. Un percorso che per le donne permette di riacquistare autostima e indipendenza in seguito alle gravi violazioni dei diritti umani.
Bio
Maria Grazia Giammarinaro (Italia) giudice dal 1991, è stata nominata relatrice speciale sulla tratta di persone, in particolare donne e bambini dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite nel giugno 2014. Il compito della giurista è promuovere la prevenzione della tratta di esseri umani in tutte le sue forme e incoraggiare misure per sostenere e proteggere i diritti delle vittime. Ha lavorato come giudice processuale presso il Tribunale penale di Roma dove attualmente è attiva presso il Tribunale civile di Roma. È stata rappresentante speciale e coordinatrice per la lotta alla tratta di esseri umani dell’OSCE e ha prestato servizio presso la direzione generale della Giustizia, della libertà e della sicurezza della Commissione europea a Bruxelles come responsabile della lotta alla tratta di esseri umani e sfruttamento sessuale dei bambini. La giudice ha scritto la Direttiva UE sulla prevenzione e la lotta alla tratta di esseri umani e la protezione delle vittime.
Cristina Montagni
Giornata Mondiale contro la Tratta di Esseri Umani – messaggio della Relatrice Speciale Giammarinaro
Donne, pace e sicurezza con Lamya Haji Bashar
Lamya Haji Bashar è stata rapita dall’ISIS a soli 16 anni, quando un commando attaccò il suo villaggio, uccidendo tutti gli uomini. Dopo 20 mesi di orrore riuscì a scappare grazie al pagamento da parte della sua famiglia di alcuni contrabbandieri.
In occasione delle celebrazioni per la Giornata internazionale della Donna, Bashar è intervenuta il 6 marzo al convegno “Donne, Pace e Sicurezza: verso i 20 anni della Risoluzione 1325 del “, organizzato dalla Camera dei deputati in collaborazione con l’Ambasciata del Canada in Italia e con l’associazione Wiis Italy (Women in international security).
All’evento, che è stato aperto dal Presidente della Camera, Roberto Fico, sono intervenuti la Presidente della Commissione Affari esteri e comunitari, Marta Grande, prima donna a ricoprire tale carica, nonché l’Ambasciatrice del Canada a Roma, Alexandra Bugailiskis, e la Presidente di Wiis Italy, Irene Fellin.
L’evento è stato finalizzato a promuovere l’impegno internazionale per l’attuazione della Risoluzione n. 1325, in vista delle celebrazioni per i vent’anni dalla sua approvazione unanime da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, attraverso il racconto e la riflessione sull’esperienza di protagoniste di eccellenza, che hanno patito e si sono spese in prima persona per la pace in aree di crisi.
women for women Italy
Diritto alla pace. Oggi 10 dicembre la Giornata internazionale celebra 70 anni dalla Dichiarazione Universale
Ricorre oggi il 70 esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che fu adottata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Da allora, ogni anno, il 10 dicembre si celebra la Giornata internazionale dei diritti umani.
Realizzazione video di Miriana Ronchetti
L’Italia è fortemente impegnata a livello internazionale per la promozione e il rispetto dei diritti umani, nella convinzione che la tutela dei diritti inalienabili della persona e delle sue libertà fondamentali sia elemento imprescindibile per la costruzione di società inclusive e pacifiche, dunque fattore determinante di sicurezza e stabilità. Il nostro Paese conferma il proprio impegno in quanto neoeletto membro del Consiglio Diritti Umani dell’ONU per il triennio 2019-2021, con il proposito di contribuire a rafforzare l’azione delle Nazioni Unite in questo settore, ispirandosi ad un approccio inclusivo,aperto al dialogo e rispettoso delle diversità. La campagna per una moratoria universale della pena di morte, figura tra le priorità dell’azione internazionale dell’Italia in materia di diritti umani, insieme alla promozione dei diritti delle donne, dei bambini, delle persone con disabilità e dei difensori dei diritti umani, alla tutela della libertà di religione e del patrimonio culturale, alla lotta ad ogni forma di discriminazione e alla tratta di esseri umani.
In coerenza con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, l’Italia continuerà a impegnarsi nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali che rappresentano uno dei pilastri essenziali da cui dipendono la pace e la sicurezza nel mondo.
Come ha dichiarato il Segretario Generale António Guterres lo scorso giugno, “per ottenere una pace duratura occorre scendere in campo per i diritti umani”. Inoltre, ha ribadito l’importanza degli sforzi per il raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che costituiscono uno dei pilastri fondamentali al perseguimento della pace globale. In particolare, l’obiettivo 16 “Pace, giustizia e istituzioni forti” richiama il nesso inscindibile che sussiste tra l’accesso alla giustizia, la creazione di istituzioni efficaci, responsabili ed inclusive e la costruzione della pace. “Una società pacifica” ha dichiarato Guterres “è quella che sa garantire giustizia e uguaglianza per tutti. La pace consente di creare società sostenibili e le società sostenibili contribuiscono a promuovere la pace”.
Breve storia dei Diritti Umani
La Seconda guerra mondiale aveva imperversato dal 1939 al 1945, e verso la sua fine le città di tutta l’Europa e dell’Asia erano ridotte a cumuli di macerie fumanti. Milioni di persone erano morte, altri milioni erano prive di casa o morivano di fame. Nell’aprile del 1945, i delegati di cinquanta paesi si riunirono a San Francisco, pieni di ottimismo e di speranza. Gli ideali dell’organizzazione erano asseriti nel preambolo dello statuto proposto: “Noi, popoli delle Nazioni Unite, siamo determinati a preservare le generazioni future dal flagello della guerra, che già due volte nella nostra vita ha portato indicibili sofferenze all’umanità”.
Lo statuto della nuova organizzazione delle Nazioni Unite entrò in vigore il 24 ottobre 1945, data che viene celebrata ogni anno come il Giorno delle Nazioni Unite.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948)
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha fatto nascere diverse leggi e trattati sui diritti umani in tutto il mondo. Entro il 1948, la nuova Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani aveva catturato l’attenzione del mondo. Sotto la presidenza di Eleanor Roosevelt (vedova del presidente Franklin Roosevelt), la Commissione decise di redigere un documento che divenne la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La Roosevelt parlò della Dichiarazione come la Magna Carta internazionale dell’intera umanità che fu adottata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
Nel preambolo e nell’articolo 1, la Dichiarazione proclama inequivocabilmente i diritti innati di ogni essere umano: “La noncuranza e il disprezzo per i diritti umani hanno prodotto atti barbarici che hanno oltraggiato la coscienza dell’umanità; l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani possono godere di libertà di parola e credo, libertà dalla paura e dalla povertà è stata proclamata come la più elevata aspirazione della gente comune… Tutti gli esseri umani sono nati liberi e con uguali diritti e dignità.”
Cristina Montagni
Violenza sulle donne un fenomeno strutturale: Un “Prodotto Sociale”
Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne è stata scelta per onorare le tre sorelle Mirabal, (Patria, Minerva e Maria Teresa) vittime di Stato uccise da alcuni sicari del dittatore della Repubblica Dominicana il 25 novembre 1960.
La Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne è stata scelta per onorare le tre sorelle Mirabal, (Patria, Minerva e Maria Teresa) vittime di Stato uccise da alcuni sicari del dittatore della Repubblica Dominicana il 25 novembre 1960. La data del 1980 divenne il simbolo del loro sacrificio. Molti paesi in seguito si unirono nella commemorazione di questo giorno, attribuendogli un valore di denuncia del maltrattamento fisico e psicologico verso le donne e le bambine. Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni unite, con la risoluzione 54/134, sceglie la data del 25 novembre per celebrare la lotta contro la violenza sulle donne, in omaggio alle sorelle Mirabal.
I dati sulla violenza di genere sono oramai cronaca di tutti i giorni e secondo le recenti stime in Italia raggiungono 7 milioni le donne che subiscono nel corso della loro vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale che in Europa rappresentano il 33% della popolazione femminile totale. E’ necessario fare una riflessione sulla prevenzione e sul contrasto di quella che il segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon ha definito “una violazione dei diritti umani, un’epidemia per la sanità pubblica e un serio ostacolo allo sviluppo sostenibile”. L’Italia, con la ratifica della Convenzione di Istanbul, ha uno strumento sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Un testo che traccia delle linee guida dalla definizione di “violenza nei confronti delle donne”. La violenza di genere è una “violazione dei diritti umani” e l’impegno è di ridurre i “danni o le sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica” delle donne. La Convenzione va poi oltre perché afferma che “il raggiungimento dell’uguaglianza di genere è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne”. Ratificando la Convenzione, l’Italia accetta la sfida del cambiamento che passa attraverso l’impegno delle istituzioni.
QUALI AREE DI INTERVENTO L’ITALIA ADOTTA ATTRAVERSO LE AZIONI DEL GOVERNO E DEL PARLAMENTO
La prima area d’intervento si concreta con la legge contro il femminicidio (119 del 2013) che è un’azione di prevenzione a sostegno di chi subisce violenza. La legge 14 del 2013 riguarda il finanziamento al Piano contro la violenza sessuale e di genere e l’estensione a tutto il territorio nazionale del Codice Rosa prevista dalla legge di bilancio 2016. Un altro intervento s’inserisce nel cosiddetto “Welfare alla persona“: strumenti a sostegno del lavoro attraverso una migliore gestione dei servizi alle famiglie e al reddito delle donne. In questa direzione vanno le misure inserite nella legge di bilancio 2016, nello Jobs Act e nella legge 190 del 2014. Un segmento da non trascurare è inoltre quello culturale. Lavorare sul riconoscimento, sul rispetto, sul valore delle differenze adottando misure e interventi che riguardano la scuola, l’informazione, i media, i linguaggi. Da questo punto di vista è fondamentale l’educazione di genere: non a caso, la norma prevista nella Buona scuola (legge 107 del 2015) inserisce nel piano di offerta formativa di ogni scuola l’educazione alla parità tra i sessi e la prevenzione della violenza. Lavorare sulla rappresentanza di genere per renderla equilibrata e paritaria, serve a permettere al Parlamento e alle istituzioni locali di rappresentare meglio la realtà.
STEREOTIPI E PREGIUDIZI
Si considerano stereotipi e pregiudizi, quei rapporti tra i sessi in cui le donne sono considerate proprietà degli uomini, percorsi educativi pensati al maschile, visioni distorte nella rappresentazione del ruolo di donne e uomini, informazione nei media, assenza di equilibrio nella rappresentanza di genere nelle Istituzioni, nelle carriere accessibili solo agli uomini, nella disparità salariale e nell’insufficienza di servizi per garantire la maternità come una scelta consapevole. La violenza non è però solo maschile. Violenza è anche quella che le Istituzioni, il sistema economico e sociale infliggono nei confronti delle donne. La proposta di scrivere un vademecum che raccolga definizioni, pratiche e metodologie contro la violenza di genere che le donne hanno subito fino ad ora. Una violenza che ha diverse faccettature, aggredendo tutti i campi dell’esistente: dal lavoro, alla salute sessuale e riproduttiva, passando per la formazione e la narrazione mediatica che da sempre utilizza strumentalmente i corpi delle donne.
LE ISTITUZIONI IN ITALIA
Le istituzioni in Italia non sembrano essere capaci di affrontare le sfide poste a contrasto alla prevenzione della violenza di genere. Ad oggi non c’è un’indicazione istituzionale precisa che interpreti la violenza di genere come un problema strutturale. Quello che si osserva è che non esiste un lavoro sinergico con i servizi territoriali e le istituzioni che nel tempo si sono posizionate in maniera neutra rispetto alla violenza di genere. Sarebbe necessario porsi in una posizione di ascolto verso ciò che le donne denunciano da anni. Il Ministero alle Pari Opportunità è ancora senza dicastero e ciò denota quanto venga presa in considerazione la pari opportunità tra i generi. A fronte di numerose carenze sul piano legislativo e su quello attuativo, che il ministero per le pari opportunità sia un delegato, fa capire quale sia la priorità dell’esecutivo di fronte al problema del femminicidio, della violenza di genere e della sua prevenzione. I centri antiviolenza seguono le donne perché negli anni si sono individuati degli interlocutori standard che portano gli uomini ad agire violenza sulle donne a compiere sempre gli stessi atti. In tale spirale si legge quanto la violenza sulle donne sia strutturale: un “prodotto sociale”.