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Giustizia Internazionale per donne vittime di stupri in Ucraina

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“L’Italia” ha detto il Ministro degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale Antonio Tajani “promuove iniziative internazionali per valorizzare il ruolo delle donne nella prevenzione dei conflitti, nel mantenimento della pace e ricostruzione dei post-conflitti in linea con l’Agenda “Donne, Pace e Sicurezza” delle Nazioni Unite”. Il titolare del dicastero di recente ha espresso vicinanza alle donne e ragazze ucraine che vivono il dramma della guerra per le sofferenze e abusi, alle ragazze afghane affinché i progressi ottenuti negli ultimi venti anni sull’istruzione, libertà di movimento, partecipazione politica, economica, sociale e culturale del loro Paese non vadano persi, alle ragazze iraniane che chiedono rispetto dei diritti affrontando una brutale repressione condannata dal nostro Governo.

Maria Tripodi, sottosegretario Affari Esteri e Cooperazione internazionale – Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e Pari Opportunità

Assicurare alla giustizia internazionale le violenze di guerra in Ucraina

In merito alla violenza sulle donne, a gennaio si è costituito a Roma un tavolo tecnico coordinato dal Ministero degli Esteri e Ministero delle Pari Opportunità per riflettere sulla protezione delle donne vittime di stupri di guerra in Ucraina e come assicurare alla giustizia internazionale i colpevoli dei crimini compiuti dall’inizio del conflitto. Lo scopo era individuare risorse per migliorare la risposta della comunità e degli organismi internazionali e analizzare i fattori che generano paura di denunciare da parte delle sopravvissute che permettono agli esecutori di restare impuniti. Le vittime di guerra – hanno sostenuto le esperte – non solo non hanno garanzie sul soddisfacimento delle richieste di giustizia e di risarcimento morale, ma vengono spesso incolpate ed espulse dalle comunità di appartenenza. Con il conflitto Russo-Ucraino l’antica questione dell’impunità rischia di ripetersi; occorre perciò tracciare un percorso che fornisca loro protezione con il supporto delle organizzazioni della società civile ucraina.

Protezione alle sopravvissute vittime di violenza

Diverse le attività che può intraprendere il governo italiano. Dare voce alle donne vittime di violenza e agli operatori che possono intercettare i bisogni delle donne, uomini e bambini per uscire dal trauma e avviare un processo di emancipazione che non deve essere solo nazionale ma coinvolgere l’intera comunità internazionale per costruire una cultura contro lo stigma ed il silenzio. La seconda riguarda l’adeguamento della legislazione nazionale portando il tema nelle sedi opportune insieme al coordinamento del ministero degli esteri e delle pari opportunità. Il terzo canale è l’accoglienza che attiene alla formazione dei soggetti: dai magistrati, alle forze di polizia fino agli operatori sanitari. L’Italia sin dall’inizio del conflitto ha destinato risorse per 500mila euro alle vittime di violenza, e con la crisi umanitaria ha assegnato oltre 10milioni di euro all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per fornire aiuto ai rifugiati ucraini e alle sopravvissute per una futura crescita personale. Il nostro Paese – secondo contributore delle Nazioni Unite per vittime di abusi e sfruttamento sessuale – ha rifinanziato questo fondo presso la Corte Penale Internazionale ed è attiva affinchè sia ripristinato il tessuto sociale del paese colpito.

Pulizia etnica una strategia politica

I crimini contro le donne non interessano un singolo paese. L’Italia ha avviato un percorso antiviolenza implementando il fondo antitratta per le rifugiate, le case rifugio e centri antiviolenza. Va ricordato che i crimini contro le donne spesso vengono ignorati o sottovalutati; hanno profonde radici culturali, sono utilizzati come arma di guerra e dovrebbero essere giudicati fuori legge. Da quando l’esercito di Kiev ha liberato parte dei territori occupati da Mosca, sono emerse violenze condotte dai militari russi: donne violentate davanti ai propri figli, donne costrette a barattare il corpo per avere salva la vita, ragazze chiuse in seminterrati e sottoposte a sevizie e stupri di gruppo, senza risparmiare gli stupri a bambini e bambine di appena un anno. Questa condotta si configura come una strategia politica per umiliare non solo la donna ma un intero popolo, un tentativo di pulizia etnica e desertificazione vitale di un territorio. Per dare significato alle violenze è necessario quindi definire un quadro giuridico nazionale ed internazionale con strumenti di accoglienza per assistere le donne ad affrontare la vita.

Sottostima delle denunce per abusi sessuali

Le Nazioni Unite hanno registrato più di 124 denunce di violenza sessuale ma è probabile che i numeri siano più alti perché se per una donna è difficile manifestarsi, per un uomo lo è ancora di più. E’ utile riflettere che lo Statuto della Corte Internazionale include un’ampia lista di crimini a sfondo sessuale mai pensata e scritta dal secondo dopo guerra. Le categorie della violenza che i giuristi hanno immaginato, oggi sono inclusi nello STATUTO DI ROMA ma per dare ampiezza dei crimini commessi è necessario citare lo stupro, la violenza forzata, la sterilizzazione forzata, l’aborto forzato, lo sfruttamento sessuale, la tratta, la castrazione ed altre forme di brutalità che è difficile codificare per definire la violenza di genere nella sua interezza. La seconda riflessione riguarda la Corte Penale Internazionale che interviene laddove gli stati nazionali non possono o non vogliono intervenire. Tuttavia, il ruolo della giustizia nazionale è rilevante perché la vittima vede aperta una procedura penale nel proprio Stato dove viene riconosciuta l’azione criminosa, quindi immorale. Un’altra osservazione riguarda la criminalizzazione degli atti che potrebbero essere assimilati alla persecuzione di genere, quest’ultima più facile da provare, dove le conseguenze sono devastanti a livello fisico e psicologico sia nel breve che nel lungo periodo. Nel breve periodo può insorgere paura, mancanza di aiuto e disperazione mentre nel lungo periodo può manifestarsi depressione, disordini d’ansia, sintomi somatici multipli, difficoltà di ridefinire relazioni intime, vergogna e stigmatizzazione. Un fattore poco analizzato riguarda l’impatto transgenerazionale degli eventi che coinvolgono soprattutto le future generazioni.

Istituire processi difronte la Corte Penale Internazionale

Le donne sono ancora considerate bottino di guerra. È solo nel 1993 che la Convenzione di Vienna afferma che i diritti delle donne sono parte inalienabile ed indivisibile dei diritti umani universali. Da qui una particolare attenzione all’attuale conflitto per il vaglio e reperimento dei documenti, una sfida che dovrà affrontare la Corte Penale Internazionale. L’Ucraina, nel frattempo, ha predisposto programmi di reinserimento nel tessuto sociale per evitare il problema della doppia vittimizzazione. Da un lato si presenta la vittimizzazione in ambito processuale, dall’altro esiste la difficoltà della risocializzazione. In merito a ciò a maggio dello scorso anno è stato siglato un accordo tra le Nazioni Unite ed il governo ucraino per sostenere le vittime sulla base della risoluzione del Consiglio di Sicurezza per Donne, Pace e Sicurezza, in cui si afferma che le donne non sono solo vittime, ma agenti di cambiamento. Le relatrici ragionano anche sulla difficoltà di istituire processi difronte la Corte Penale Internazionale anche per l’uscita della Russia – dopo il 15 marzo – dal Consiglio d’Europa e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Esiste però una responsabilità che è in capo alle giurisdizioni nazionali dove c’è la possibilità che gli Stati possano giudicare i reati, secondo lo Statuto di Roma, indipendentemente dal luogo in cui sono stati commessi i fatti. Infine, è utile ricordare che esistono altri strumenti; ad esempio, all’interno delle Nazioni Unite vivono diversi comitati che hanno competenze in merito ai diritti umani e all’accertamento dei crimini.

Cristina Montagni

  • Al tavolo tecnico hanno collaborato: Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Maria Tripodi, sottosegretario agli Affari Esteri e alla Cooperazione internazionale, Paolo Lazzara, vice presidente Inail, Kateryna Levchenko, commissaria del governo ucraino per le politiche di parità di genere. Matilda Bogner, presidente della Missione ONU di monitoraggio dei diritti umani in Ucraina, Paolina Massidda, Principal Counsel presso l’Ufficio indipendente del Public Counsel per le vittime, Corte penale internazionale, Ghita El Khyari, Capo del Segretariato del Fondo per la pace e l’aiuto umanitario delle donne, Laura Guercio, sociologa dei diritti umani presso l’Università di Perugia ed esperta italiana del Meccanismo di Mosca dell’OSCE, Irene Fellin, rappresentante speciale del Segretario generale per le donne la pace e la sicurezza della NATO, Valeria Emmi, senior specialist per advocacy e networking del CESVI – Cooperazione, emergenza e sviluppo.

Diritti delle ragazze dalla Piattaforma di Pechino alla parità. Dialogo con la Women Federation for World Peace e Ufficio del Parlamento Europeo in Italia

“Essere ragazze oggi: difficoltà ed opportunità”. E’ il tema della conferenza organizzata dalla Women Federation for World Peace insieme all’Ufficio del Parlamento Europeo in Italia per il 30esimo anniversario della federazione al fine di promuovere la cultura della pace valorizzando le peculiarità femminili e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Nella Giornata Internazionale delle bambine e delle ragazze, l’evento del 13 ottobre a Roma ha sottolineato le difficoltà che le donne affrontano nel mondo nonostante le sfide e la confusione dei valori.

All’incontro hanno partecipato, Carlo Corazza, capo ufficio del Parlamento Europeo in Italia, Silvia Sticca, avvocata esperta in criminalità organizzata e vicepresidente Ass. 7Colonne, Virginia Vandini, presidente Ass. Il valore del femminile, Elena Centemero, Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, Barbara Schiavulli, direttrice di Radio Bullets, Maria Gabriella Mieli, vicepresidente WFWP Italia, Souad Sbai, presidente Acmid-Donna Onlus Ass. Donne marocchine, Maria Pia Turiello, criminologa forense ed Elisabetta Nistri, presidente WFWP Italia.

Giustizia, uguaglianza e libertà. Diritti ancora negati

Carlo Corazza, capo ufficio Parlamento Europeo in Italia

La dichiarazione di Pechino del 1995 fissa le regole in tema di diritti delle ragazze, successivamente il 19 dicembre 2011 l’Assemblea delle Nazioni Unite adotta la risoluzione 66/170 che stabilisce l’11 ottobre la Giornata Internazionale delle Bambine con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione ad una maggiore consapevolezza sulle sfide che affrontano nel riconoscere i propri diritti. Molte ragazze nel mondo sono vittime di stereotipi ed esclusione, alcune vivono in condizioni di disabilità ed emarginazione nonostante l’impegno ad abbattere le barriere per raggiungere la parità di genere ed un futuro migliore. La conquista dell’uguaglianza, libertà ed emancipazione rientra nei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile; solo garantendo tali diritti le ragazze potranno acquisire giustizia ed inclusione, un’economia equa e un futuro condiviso.

Sfruttamento e abusi sulle donne. Quali strategie contro le discriminazioni

La vita delle donne in alcune aree della terra è critica perché legata a fenomeni di sfruttamento e abusi. Il richiamo alla giornata internazionale nasce dalla consapevolezza che occorre proteggerle sin dall’infanzia per tutelarle da ogni forma di discriminazione. Questo assioma – recepito dalle Nazioni Unite – viene ricordato ogni anno dagli Stati perché portatore di un forte messaggio di sensibilizzazione. All’interno della Convenzione di Pechino è presente un capitolo che riguarda le bambine considerandole un valore strategico ai fini dell’integrazione, emancipazione, sviluppo economico-sociale, istruzione e salute delle donne. Inoltre, è attivo un comitato Onu che esamina i progressi compiuti dagli Stati sull’attuazione dei diritti dei minori, l’Italia produce report che vanno nella stessa direzione e l’Europa si impegna ad indicare direttive strategiche per rafforzare l’attuazione degli stessi.

Dipendenza dai social. Adolescenti privi di interessi fuori dalla realtà virtuale

Nel 2021 è stato osservato il tema delle fake news intervistando 26mila adolescenti provenienti da vari paesi dove è emersa la difficoltà di distinguere informazioni vere da quelle false provenienti dalla rete. La complessità del tema ha portato alla luce problemi di salute mentale, sconforto e bassa autostima. La materia relativa ai social interessa soprattutto giovani; infatti, nel 2022 sono emerse situazioni allarmanti dove in futuro sarà necessario intervenire con strumenti legislativi dedicati prendendo come esempio le linee adottate dalla Norvegia e Inghilterra. L’indagine ha mostrato che l’85% delle ragazze tra i 12 e 16 anni utilizza filtri o schermi per modificare i tratti del viso, cambiare identità e pubblicizzare un’immagine distorta che provoca azioni perverse intorno alle quali è difficile sottrarsi a meccanismi distruttivi. Questi fenomeni provocano una forte de-realizzazione e de-socializzazione che tende a separare il proprio io dalla realtà, compromettendo le relazioni personali come l’incapacità di coltivare i propri interessi al di fuori della realtà virtuale.

Bassi livelli di scolarizzazione danneggiano salute e autoimprenditorialità    

Secondo stime Unicef, l’analfabetismo nel mondo si attesta a 132milioni di ragazzi; 35milioni non frequentano le scuole elementari e 97milioni le medie. Questi dati raccontano che i giovani costretti a vivere situazioni di conflitto, spesso sono esclusi dal sistema educativo. L’Unicef ricorda che dei 781milioni di analfabeti nel mondo, 2/3 sono donne che vivono in regioni rurali dove le famiglie tradizionali isolano le figlie per destinarle ad un matrimonio precoce, contribuendo a mantenere basso il livello d’istruzione, peggiorando le condizioni di salute e quella dei figli che nasceranno malnutriti. L’istruzione incide inoltre sulla capacità delle donne di intraprendere una propria attività; la scuola, quindi, oltre ad essere un luogo sicuro, protegge dalla violenza e dalle mutilazioni genitali femminili.

L’Italia cresce con patti educativi di comunità

In Italia secondo rapporti Istat, Eurostat ed OCSE, emerge che il 49% delle donne possiede il diploma e il 29% consegue un titolo accademico. Quest’ultimo dato però non produce effetti positivi sull’occupazione perché le ragazze non sono indirizzate alle materie STEM (settori ad alto valore professionale) in grado di generare nel tempo maggior reddito. Le ragazze che frequentano facoltà non scientifiche avranno un futuro più incerto, lavori intermittenti, part-time, basse retribuzioni che andranno ad incidere sulle pensioni future. Il ministero dell’istruzione italiano deve quindi adottare una visione sistemica; mettere in atto patti educativi di comunità, co-progettazione tra scuole, enti locali, associazioni del terzo settore al fine di coinvolgere studenti e docenti per una buona pratica educativa.

I social non vanno demonizzati

Attualmente possiamo acquisire informazioni da diverse parti nel mondo grazie alla rete. Si pensi ad esempio alla situazione delle iraniane che convintamente stanno protestando per raggiungere una libertà oramai compressa da anni. La rete è un “veicolo” potente che offre la possibilità di interfacciarsi con il mondo, inviare richieste di aiuto, documentare con immagini e video una realtà spesso distorta o mistificata dalla propaganda. Questo è il lato positivo dell’informazione che denuncia fatti in violazione dei diritti umani. La giornalista Barbara Schiavulli di Radio Bullet – esperta di conflitti di guerra, esteri e diritti umani – ha raccontato attraverso esperienze sul campo, storie di donne e ragazze private dei diritti più elementari, storie dove l’apartheid di genere è diffuso, dove la soglia di povertà raggiunge il 98% e ogni diritto è calpestato: divieto di cantare, indossare un profumo, scegliere il marito, lavorare, etc. Queste donne, afferma Schiavulli, costrette a vendere i propri figli per pagare l’affitto di casa, mangiare e sopravvivere, meritano giustizia e dignità.

Violenza assistita subita dai minori

Maria Pia Turiello, criminologa forense

Esistono diverse tipologie di violenza che si manifestano all’interno della famiglia, una riguarda il maltrattamento dei minori che può essere fisico, psicologico e sessuale. C’è anche la violenza assistita che obbliga i bambini ad assistere ai maltrattamenti; atti di violenza fisica, verbale e psicologica che subisce la donna all’interno delle mura domestiche. Questo fenomeno – spesso sommerso – riguarda il 19% dei minori maltrattati che vengono successivamente presi in carico dai servizi sociali. Nel 2011 la Convenzione di Istanbul definiva a livello internazionale un ampio quadro giuridico al fine di proteggere le donne da ogni forma di maltrattamento, dove veniva riconosciuto che anche i bambini sono vittime di violenza domestica perché testimoni all’interno della famiglia. Nonostante ciò, queste leggi non vengono mai prese in considerazione. È vero che i figli non sono direttamente interessati, ma assistere ad atti violenti nei confronti di un genitore produce gravi conseguenze psicologiche, compromette lo sviluppo del minore, conduce a disturbi alimentari e talvolta il suicidio. I ragazzi crescendo diventeranno violenti e avranno relazioni malate dove l’unico sentimento che riconoscono è la forza che diventerà normalità.

Mission della WFWP Italia

Elisabetta Nistri, presidente WFWP Italia

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres durante la Giornata Internazionale delle bambine e delle ragazze ha dichiarato: “Ora più che mai dobbiamo rinnovare il nostro impegno a lavorare affinché le ragazze esercitino i loro diritti e possano svolgere un ruolo pieno ed eguale nelle loro comunità e società. Investire nelle ragazze significa investire nel nostro futuro comune”. Gli investimenti nei diritti delle ragazze sono ancora limitati ed esse continuano ad affrontare sfide per realizzare il loro potenziale aggravato dai cambiamenti climatici, pandemie, conflitti per una migliore istruzione, benessere fisico-mentale e una vita senza violenza. La federazione WFWP Italia ha come obiettivo principale restituire centralità agli individui, lavorare sulle relazioni, dare potere alle donne attraverso l’istruzione, creare un ambiente di pace e benessere per le persone di tutte le razze, culture e credi religiosi. Numerosi sono i progetti realizzati negli anni grazie ai gemellaggi con scuole straniere ed ambasciate insieme al sostegno di esperti ed ambasciatori di pace per coordinare programmi educativi in Italia e all’estero centrati sull’adolescenza. Infine, oggi è più che mai necessario stringere rapporti e legami duraturi con i governi affinché ciò che è stato siglato venga approvato ed ovunque applicato.

Cristina Montagni

Salute emotiva e psicologica a rischio giovani e donne. Indagine pilota delle associazioni Gasp e ARCLazio

Il tempo complesso e confuso del coronavirus è un mondo che sta cambiando le persone e la collettività. Le associazioni a promozione Sociale Gasp e ARCLazio al fine di programmare interventi a sostegno dei singoli, giovani, adulti e famiglie hanno svolto sul territorio di Bracciano e comuni limitrofi, un’indagine socio-psicologica pilota per analizzare gli effetti sulla qualità della vita prima e dopo pandemia.

L’analisi condotta tra marzo e aprile 2021, traccia un bilancio sugli effetti correlati alla pandemia e nello specifico durante i periodi di lockdown. Per cogliere i bisogni delle comunità è stato somministrato un questionario in forma anonima, utilizzando la piattaforma Googleworks.

Metodo e campione statistico

L’indagine per sesso ed età è stata elaborata su un campione di 75 individui: 38 maschi, 36 femmine e 1 individuo di genere binario (identità non corrispondente né al genere maschile né al genere femminile) considerando la popolazione fra i 16 ed i 71 anni. Fatte 100 le classi rappresentate, alle interviste anonime hanno risposto il 21% di adolescenti (16-20 anni), il 31% di giovani adulti (21-30 anni), il 33% di adulti (31-50 anni) e il 15% degli adulti tra i 51 e i 71 anni. Scopo dello studio era individuare il disturbo emotivo-psicologico, il malessere vissuto a seguito delle limitazioni e i cambiamenti di vita quotidiana inferti dalla pandemia. Per lo studio sono stati presi in esame i pesi percentuali considerando 3 tre scale di valore: 0-4 (influenza minore), 5-7 (influenza media), 8-10 (influenza maggiore).

Indagine pilota e risultati sul territorio di Bracciano

Dall’indagine emerge che isolamento e limitazioni della libertà hanno contribuito ad aumentare il malessere e le difficoltà nell’ambito familiare soprattutto riguardo alla comunicazione e alla relazione tra gli stessi membri. Questo stato d’animo è condiviso dall’82% dei giovani 21-30 anni, mentre il 62% degli intervistati (16 – 20 anni) hanno risposto all’impatto psicologico con valori massimi compresi tra 5 e 10. Le sofferenze dovute alle limitazioni e/o impedimenti nelle relazioni sociali sono state avvertite dal 91% dei giovani 21 – 30 anni, mentre il vissuto per la mancanza di contatto fisico ha coinvolto il 94% degli adolescenti 16 – 20 anni e dal 70% dei giovani adulti 21 – 30 anni. L’analisi sottolinea che chi ha vissuto di più la condizione relativa al malessere affettivo si è concentrata per il 65% nella fascia 21 – 30 anni, a seguire gli adolescenti 16 – 20 anni con il 63%. Inoltre, le sofferenze relative alla mancanza di condivisione sociale hanno descritto un’impennata dell’88% tra gli adolescenti 16-20 anni e dell’83% tra i 21- 30 anni. Infine, ansia, depressione, nervosismo, solitudine, scarsa concentrazione, insonnia, angoscia e paura sono i sentimenti emotivi più vissuti e le età più coinvolte dal campione hanno rivelato una concentrazione fra i 16 ai 20 anni e fra i 21 a 30 anni.

Disaggregando le frequenze per genere, la componente femminile ha dichiarato evidenti reazioni psicosomatiche e tale condizione ha coinvolto la fascia 16 – 20 anni; il 63% afferma di soffrire di isolamento, il 75% stanchezza, il 50% ansia e nervosismo tra gli individui 21 – 30 anni, l’82% vive l’ansia, il 73% nervosismo ed isolamento, il 64% depressione e solitudine. In aggiunta la componente femminile tra i 31 – 50 anni ha dichiarato nel 62% dei casi di provare ansia, soffrire di isolamento (46%) e nervosismo (31%). Infine, per la fascia di età (51-71 anni) sono emersi condizioni di insonnia (63%), ansia e stanchezza (50%), nervosismo (38%) e depressione (25%). Rispetto alle condizioni precedenti, queste situazioni hanno indotto il 50% delle donne (21-30 e 31-50 anni) ad assumere farmaci, mentre chi è ricorso al sostegno psicologico sono state soprattutto donne (50%) nella fascia di età 21-30 anni.

Conclusioni dell’indagine

Dai risultati dello studio è emerso che sul territorio laziale di Bracciano la fascia più fragile si concentra nei giovani adulti 21 – 30 anni che insieme alla componente femminile abbraccia tutte le età del campione. In conclusione, la maggior parte degli studi hanno sostenuto che il vissuto di ognuno, angoscia della solitudine, separazioni, malattia e perdita dell’identità sociale hanno contribuito ad accrescere i disturbi alimentari, le violenze domestiche sulle donne e minori, senza contare i rischi correlati all’aumento futuro delle dipendenze patologiche, incremento dei suicidi dovuti ad una diagnosi di positività al coronavirus o difficoltà dovute alla perdita del lavoro. Inoltre, la difficile condizione di vita imposta dalla pandemia sta facendo emergere disturbi post-traumatici da stress (PTSD) negli adolescenti, nei giovani e nel genere femminile come descritto nella ricerca descritta.

Il futuro – chiusa la parentesi coronavirus – impone a tutti noi una rielaborazione della perdita di socialità e degli affetti facendo riemergere le personali e sociali risorse che l’essere umano possiede per un’innata predisposizione. In questa esperienza di isolamento e distanziamento sociale, la solidarietà non basta, sono necessarie le competenze e le responsabilità delle Istituzioni che insieme alle associazioni presenti nel territorio possono intervenire efficacemente nell’infondere una fiducia interpersonale e collettiva nei contesti sociali di appartenenza.

Maria Zampiron

Psicologa-Psicoterapeuta

Ordine degli Psicologi della Regione Lazio

Le ragioni della violenza e i condizionamenti psicologici nel nostro tempo

Per violenza si intende un atto commesso contro l’altrui volontà che si esprime in vari modi (abuso di potere, controllo, sopruso fisico-sessuale, psicologico, economico, plagio, minacce, umiliazione ed altro).

In Italia il 70% dei delitti commessi in famiglia coinvolgono la donna all’interno delle mura domestiche che subisce violenza fisica ed economica. Tuttavia, non sono solo le donne a patire soprusi e violenze, esiste una realtà poco narrata che attiene ai maltrattamenti nei confronti dei minori di genere maschile.

Di recente l’ISTAT ha comunicato che il 69% delle donne che si rivolge al numero verde 1522, dichiara di avere figli minori, di questi il 62% ha assistito alla violenza e il 18% sostiene di averla subita in prima persona. In generale il 97% delle violenze vengono commesse da uomini, contro l’85,4% dei casi di violenza maschile. Secondo i dati la molestia più diffusa è quella verbale, seguita da pedinamenti e molestie fisiche. L’ambiente domestico è poi il luogo in cui si svolgono la maggior parte dei maltrattamenti perlopiù ad opera di uomini che sfogano la rabbia fisicamente, mentre le donne tendono ad agire sulla psiche.

Contesto sociale di appartenenza 

Nel nostro contesto sociale la violenza affettiva ed emotiva è spesso nascosta, risiede nella relazione tra genitori e figli, nella vita domestica, nel lavoro, tra i due generi e può essere economica, ideologica ed etnica. La violenza non solo uccide l’altro ma si manifesta quando si usano parole mordaci, quando si compie un gesto per allontanare una persona, quando si obbedisce per paura. Come afferma il filosofo Jiddu Krishnamurti, la violenza non è solo strage organizzata in nome di Dio, della società o della patria, è più sottile e profonda. Odio e violenza, sostiene Andrea Zirilli, sono scelte facili perché fomentate da una rabbia difficile da domare. Chi è in errore, compensa con la violenza ciò che manca (Johann Wolfgang Goethe) ed è un metodo di lotta inferiore, brutale ed illusorio, fonte di debolezza in ragione di effimeri trionfi (Filippo Turati). La violenza, frutto della nostra epoca, può uccidere colui che stai odiando, ma non uccide l’odio (Martin Luther King).

Le radici della violenza

Le radici della violenza secondo Mahatma Gandhi sono la ricchezza senza lavoro, il piacere senza coscienza, la conoscenza senza carattere, il commercio senza etica, la scienza senza umanità, la politica senza principi. Ma è anche paura delle idee altrui e poca fiducia nelle proprie (Filippo Turati), è sintomo di impotenza (Anais Nin). Nella violenza dimentichiamo chi siamo (Mary McCarthy) e le persone sono indotte a credere che il dolore derivi dagli altri, quindi gli altri meritano di essere puniti (Marshall Rosenberg). “Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi” disse Martin Luther King “è l’indifferenza dei buoni perché è il rifugio dell’incompetente e dell’incapace (Isaac Asimov) e mai può creare qualcosa di buono bensì solo distruzione (Benedetto Croce).

Rabbia e paura. Le connessioni cerebrali della violenza

La violenza è una patologia che danneggia coloro che ne fanno uso indipendentemente dalla causa, e se non viene compresa sfocia in guerra o follia (Sam Peckinpah). La rabbia e la paura sono presenti sia nell’aggressore che nella vittima con modalità diverse attivate dalle connessioni cerebrali. I circuiti neurali si attivano per proteggerci dalle minacce con l’attacco (rabbia), la fuga (paura), il freezing (panico) e perdurano nei secoli; di conseguenza il nostro cervello utilizza gli stessi circuiti neurali per processare le minacce fisiche, psicologiche, emotive e sociali. Recenti studi sulla neurobiologia e neuroscienze confermano che il cervello è motore dell’apprendimento sociale dell’uomo, possiede energia, plasticità ed è in grado di modificare nel tempo la funzionalità delle sue parti in quanto dalla nascita è predisposto per poter funzionare. Le esperienze vissute attraverso l’ambiente attivano le funzionalità grazie alle connessioni neurali che a loro volta determinano comportamenti nella relazione e nella comunicazione con il mondo esterno. I comportamenti sociali che si apprendono come imitazione-modellamento – localizzati nel lobo frontale inferiore sinistro della corteccia anteriore ed in alcune aree del lobo frontale – sono responsabili del controllo delle emozioni e dei comportamenti aggressivi.

In conclusione, tra tutte le emozioni vissute dall’uomo, rabbia e paura sono quelle che si alternano più facilmente come la felicità, tristezza, gioia e dolore.

Maria Zampiron

Psicologa-Psicoterapeuta

Ordine degli Psicologi della Regione Lazio

“Amare Dal Ridere”. Il metodo Smile Style per ritrovare la felicità

Amare Dal Ridere di Stefania Soldati

Per tutte le persone che amano ritrovare la via della felicità e raggiungere il benessere emozionale, il 10 dicembre è uscito il libro di Stefania Soldati “Amare Dal Ridere” edito da Bruno Editore.

In tempi record l’opera ha ottenuto numerosi riconoscimenti: bollino come Bestseller ASSOLUTO, primo nella categoria Self-help, salute e benessere e nella sezione Psicologia e Famiglia. Nel volume l’autrice descrive in modo efficace il metodo per raggiungere il piacere e la gioia attraverso “la modalità sorriso”. Ma per farlo occorre allenarsi e vivere al massimo le proprie emozioni: dallo stupore, alla meraviglia, alla gioia, alle risate, alla gratitudine e soprattutto all’amore assoluto, gratuito e incondizionato. La poliedrica scrittrice analizza in dettaglio le fasi della salute emozionale e come ritrovare la felicità con il Metodo Smile Style. Il libro – a carattere formativo – oltre a descrivere il vissuto personale è costruito su esperienze dirette in un percorso proprio e in divenire. Un manuale di stile, bellezza ed eleganza, ma soprattutto di amore senza condizioni dove è possibile trovare esercizi di fitness felice in cui viene svelata la chiave per raggiungere gli obiettivi e l’equilibrio interiore, planando con leggerezza sulle situazioni.

“Solo così si sconfigge la tristezza, il rancore, la rabbia e i risentimenti, con un atteggiamento positivo in grado di fare la differenza nella vita di tutti i giorni”

Già dalle prime pagine, il libro incoraggia ad abbracciare un percorso interiore esplorativo – ricco di spunti – in cui la scrittrice svela gli ingredienti per entrare con semplicità ad un positive mood dai superpoteri per poi rivelare i segreti per tenere alto l’umore e vivere quotidianamente una vita felice e appagata. È lei che indica il cammino del cambiamento verso un “noi” flessibile e resiliente fino a svelare la via per aprire il proprio cuore senza paura alla meraviglia delle cose inaspettate.

“E’ possibile raggiungere il successo, riscoprire la bellezza della semplicità e lo stupore di chi guarda il mondo con gli occhi di un bambino”

–Stefania Soldati

“Amare dal Ridere” ci “costringe” a ribaltare la prospettiva della vita interpellando prima il cuore con la forza della gratitudine anticipata. “Il sorriso” afferma la scrittrice “è la chiave che alimenta i buoni sentimenti e rende l’anima dolce sino a diventare parte del proprio DNA. Sorridere è aprirsi, essere disponibili, generosi e positivi”.

“Nel mio libro è presente non solo la parte di me stessa più vera, solare e combattiva, ma anche le mie numerose cadute” afferma Stefania Soldati, autrice del libro. “Solo quando ho deciso di rialzarmi ho capito che dentro a quelle sventure si nascondevano delle occasioni di crescita che mai avrei potuto sperimentare diversamente. Per scardinare quelle stesse paure che circondavano la mia vita, ho fatto ricorso alla forza delle risate e del buonumore. Il risultato? Una carica di energia e fiducia così potente da rendermi assolutamente impavida e invincibile”

Attualmente il libro è donato in formato gratuito come eBook ed è disponibile su piattaforma Amazon a questo indirizzo: https://amzn.to/3l812Zb

Bio dell’autrice

Stefania Soldati è musicista e musicologa. Pianista, ricercatrice storico-musicale, scrittrice, giornalista, regista. Si occupa da sempre di cultura e spettacolo, sia a livello di produzione che di comunicazione. Da qui prende origine la sua passione per la formazione. Life coach esperta in PNL, crescita personale e scienze olistiche, ama spaziare dall’arte alla fisica quantistica, all’insegna del benessere dell’anima e della felicità interiore. Sostenitrice del pensiero positivo, si impegna particolarmente a diffondere i benefici della risata terapeutica.

Cristina Montagni

Gli italiani e la tenuta psicologica per un nuovo lockdown

Metà degli italiani sarebbe disposta ad accettare nuove chiusure nella seconda ondata dell’epidemia perché la convinzione è che presto arriverà un vaccino.

Un sentimento molto sentito dalla popolazione del Sud (il 55,2% rispetto alla media nazionale del 49,7%) e dagli anziani (53,5%). La soglia psicologica degli italiani all’indomani delle nuove restrizioni sarebbe fissata con le feste di Natale. Queste le durissime ipotesi presentate il 27 ottobre durante la presentazione del Rapporto Censis-Confimprese “Il valore sociale dei consumi”.

Conseguenze del crollo dei consumi

Il rapporto ipotizza che a fine anno – a causa della seconda ondata di restrizioni e in aggiunta al primo lockdown – si potrebbe verificare un crollo dei consumi pari a 229 miliardi di euro (-19,5% in termini reali in un anno), a cui si assocerebbe un taglio di posti di lavoro di almeno 5 milioni di unità. Questo scenario travolgerebbe l’Italia in tutti i comparti produttivi e il mercato delle vendite al dettaglio subirà una sforbiciata di 95 miliardi di euro di fatturato (-21,6%) con una perdita di 700 mila posti di lavoro a cui si aggiungono le mancate spese per le feste di Natale che farebbero crollare i consumi per oltre 25 miliardi di euro.

Se manca la volontà di resistere

Nella prima fase dell’epidemia quasi 4 milioni di famiglie hanno chiesto prestiti e aiuti da parte di familiari e amici, soprattutto le famiglie con redditi bassi (25%). Paura e incertezza colpiscono soprattutto le persone con bassi redditi, 60,3% (contro il 37,2% della classe media) tagliando sui consumi per risparmiare soldi da utilizzare in caso di necessità. Il 43,3% degli intervistati pensa che per garantire un giusto equilibrio tra tutela della salute e difesa dell’economia bisognerebbe differenziare il rischio di contagio in base alla pericolosità dei territori, chiudendo quelli più a rischio e lasciando una maggiore apertura agli altri.

Se crollano i consumi svanisce il nostro modello di vita

Se i consumi crollano, la nostra vita cambia in peggio. Infatti, per il 57,1% degli italiani il benessere è sinonimo di libertà nell’acquistare beni e servizi che desiderano. Per gli italiani (79,4%) gli acquisti riflettono la propria identità e i propri valori e per il 70,3% i consumi sono alla base della libertà personale, perché comprare le cose desiderate riflette una parte importante dell’autonomia individuale.

Come sono cambiati i comportamenti dei consumatori

Durante l’emergenza gli italiani hanno modificato i comportamenti di consumo diventando più sfuggenti e infedeli. 18 milioni di persone hanno cambiato negozi o brand di riferimento modificando spesso i criteri di scelta dei luoghi di acquisto. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria 13 milioni di italiani hanno sostituito i negozi in cui di solito effettuano gli acquisti alimentari: il 42,7% ha acquistato prodotti online che prima comprava nei negozi e, ciò vale soprattutto per i giovani (52,2%) e i laureati (47,4%).

Il futuro è già cambiato e dopo il Covid-19 il 38% degli italiani non tornerà più alle vecchie abitudini di consumo!!!

Cristina Montagni

Intervista esclusiva alla Deputata Gilda Sportiello. Aborto farmacologico con la pillola RU486

pillola RU486
Il Magazine Women for Women Italy ha intervistato la Deputata Gilda Sportiello, capogruppo M5S nella Commissione Affari Sociali alla Camera, che ha presentato come prima firmataria l’interpellanza parlamentare al ministro della Salute per consentire il ricovero ambulatoriale in day hospital in tutta Italia e promuovere percorsi domiciliari sotto controllo sanitario.

 

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Ultimamente ha fatto discutere la decisione dell’Umbria di eliminare la possibilità per le donne di ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital, cioè il ricovero di durata inferiore a un giorno con l’obbligo di tre giorni per ricorrere all’interruzione di gravidanza con metodo farmacologico. Come commenta questa posizione?

In Umbria la negazione del diritto di poter ricorrere all’aborto farmacologico è ancor più grave perché rappresenta di fatto un passo indietro inspiegabile, ma fermarci a al singolo episodio sarebbe sbagliato: in Italia, purtroppo, il ricorso all’aborto farmacologico non è pienamente garantito in tutte le Regioni e soprattutto sono troppo poche quelle in cui è previsto l’aborto farmacologico in day hospital. Ci sono restrizioni e limitazioni che ostacolano il libero ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica. Bisogna rivedere quindi le linee nazionali, perché la richiesta di ospedalizzazione e le restrizioni che ancora esistono non sono giustificabili da un punto di vista medico-scientifico.

Visto il clima che si respira in Italia, è giusto somministrare l’RU486 in ospedale con la libertà della donna di tornare a casa fra l’assunzione del mifepristone (cessazione della vitalità dell’embrione) e successivamente del misoprostolo (farmaco che induce all’aborto)?

La Toscana, ad esempio, ha fatto un passo innovativo per estendere questo diritto: sarà la prima Regione d’Italia in cui la pillola RU486 potrà essere somministrata anche fuori dall’ospedale, negli ambulatori preposti. La delibera, che la giunta di Enrico Rossi ha approvato lunedì 29 giugno, è la conseguenza di una risoluzione approvata il 12 maggio scorso dal consiglio regionale che aveva l’obiettivo di “garantire la piena applicazione della legge 194”, ma soprattutto di un parere del consiglio sanitario regionale che risale al marzo 2014.

Cosa prevede la legge 194 riguardo all’aborto farmacologico?

Interruzione volontaria di gravidanza attraverso il metodo farmacologico è una procedura medica, distinta in più fasi, che si basa sull’assunzione di almeno due principi attivi diversi, il mifepristone (meglio conosciuto col nome di RU486) e una prostaglandina, a distanza di 48 ore l’uno dall’altro. Il mifepristone, interessando i recettori del progesterone, necessari per il mantenimento della gravidanza, causa la cessazione della vitalità dell’embrione; l’assunzione del secondo farmaco, della categoria delle prostaglandine, provoca invece il distacco dell’embrione dall’utero. In Italia è possibile ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza con il metodo farmacologico dietro richiesta della persona interessata, in regime di ricovero ordinario, nel rispetto della legge 194 del 1978. La ragione di una tale limitazione però non trova riscontro scientifico e tanto meno può essere considerata come tutelativa del diritto alla salute delle donne, anzi sembra andare proprio in direzione opposta. Teniamo conto, tra l’altro, che sono molti di più i Paesi dove, al contrario, da anni viene praticata la somministrazione del farmaco anche a domicilio o in regime ambulatoriale.

La pillola del giorno dopo è assimilabile alla RU486?

Assolutamente no, anzi troppo spesso nell’opinione pubblica sono confuse tra loro. La pillola del giorno dopo, così come quella dei cinque giorni dopo, può essere considerata un vero e proprio farmaco da pronto soccorso, è un contraccettivo d’emergenza. Non ha effetto abortivo. Al contrario, la RU486 permette invece l’aborto.

Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2017 il ricorso al mifepristone e del misoprostolo è stato adoperato per il 18% dei casi nel nostro Paese. Perché in Francia e Svezia, questo metodo è più diffuso rispetto all’Italia?

Il problema è la reale possibilità di scelta che viene offerta alle donne. Il problema è che attualmente non viene garantito su tutto il territorio nazionale di poter scegliere di abortire in totale sicurezza, rispettando il pieno diritto all’autodeterminazione, senza ricorrere all’ospedalizzazione o all’intervento chirurgico. Sappiamo bene che troppo spesso purtroppo l’iter chirurgico è la sola opzione offerta, una grave limitazione della libera scelta individuale. In altri Paesi, come quelli da lei citati, il farmaco non solo è in uso da diversi anni, ma è diffusa la somministrazione ambulatoriale e domiciliare, quindi è pienamente accessibile.

Le decisioni in tema di aborto farmacologico cambiano di regione in regione. È una decisione discrezionale rispetto ai ginecologi coinvolti?

Le Regioni possono decidere modalità diversificate di applicazione della legge. Chiaramente il problema che coinvolge molti ginecologi è invece quello dell’obiezione di coscienza, che conta ancora percentuali troppo alte all’interno di strutture pubbliche. In alcune Regioni si supera l’80% di obiettori di coscienza e non si può non considerare una così grave limitazione.

Ci sono vantaggi nell’usare un farmaco che comporta tre giorni di ricovero contro mezza giornata?

Nessun vantaggio.  E lo dimostra non solo la scienza, ma anche la diretta esperienza dei Paesi che da anni garantiscono alle donne che vogliano interrompere volontariamente la propria gravidanza, di ricorrere all’aborto farmacologico a domicilio o in regime ambulatoriale.

Secondo lei è necessario modificare le linee guida ministeriali e l’attuale normativa italiana che rende impossibile l’uso della RU486 dopo la settima settimana aumentando la difficoltà di poter accedere a tale tecnica in tempi stretti?

Si, è necessario. A differenza di altri Paesi europei dove l’aborto con metodo farmacologico è previsto fino al 63° giorno, nel nostro Paese è fissato al 49°. Perché questa discriminazione? Tra l’altro, come sottolineato in una interrogazione che ho presentato durante la mia attività in commissione Affari sociali, c’è una incongruenza tra quanto previsto dal foglietto illustrativo del Mifegyne, che prevede l’assunzione fino al 63° giorno, e le linee guida sull’IVG del Ministero che confermano come criterio di ammissione al trattamento della RU486 la tempistica dei 49 giorni.

In Italia le donne che vogliono ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza incontrano ostacoli?

Si, davvero troppi. Penso non solo ai moltissimi medici, anestesisti, personale anche non sanitario che si dichiarano obiettori all’interno degli ospedali pubblici e che di fatto limitano gravemente il diritto delle donne all’autodeterminazione; penso anche a scelte come quella di non rendere pienamente accessibile l’aborto farmacologico senza ospedalizzazione, ma penso soprattutto alla cultura dominante che ancora ostacola il percorso di chi vuole abortire. Credere che una donna che sceglie di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza debba essere colpevolizzata, credere che debba essere necessariamente un percorso accompagnato da dolore, perché una donna che abortisce è perdonata solo se ha sofferto, è traumatizzata, ha vissuto una tragedia: questa è una narrazione tossica che deve essere combattuta, smontata. Una donna che sceglie di abortire non fa altro che esercitare il suo sacrosanto diritto all’autodeterminazione, lo fa perché ha scelto di farlo, non c’è altro.

In Svezia l’aborto farmacologico è stato approvato nel 1992, in Germania è legale dal 2008, nel Regno Unito, con l’emergenza COVID, è stato adottato l’aborto farmacologico in day hospital. Secondo lei il nostro paese rischia di tornare indietro di oltre 40 anni?

Le spinte di un ritorno al passato, all’oscurantismo, a chi dietro una generica difesa della vita vuole di fatto negare dei diritti, sono forti. Ma il fronte che combatte queste pericolosissime spinte è altrettanto forte e radicato. Gli antiabortisti e tutti quelli che pensano di concedere, in una logica assolutamente paternalistica, una possibilità alle donne se ne facciano una ragione: l’aborto è un nostro diritto, non un tabù, non una colpa, non una concessione. Sui nostri corpi e sulle nostre vite decidiamo e scegliamo noi. Lo Stato deve solo garantire pienamente il nostro diritto all’autodeterminazione.

Cristina Montagni

 

Intervista a David Lazzari, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi

David Lazzari - Pres. Ordine Nazionale Psicologi
Il presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (Cnop) in questa mia intervista commenta quanto la crisi generata dal Covid-19 può considerarsi una “emergenza psicologica” che ha messo a dura prova gli italiani, costretti in casa da settimane, con gravi ripercussioni da un punto di vista psicologico.

I decessi da Covid-19 in Italia hanno toccato la soglia 34.800. La popolazione anziana risulta la più colpita da questo virus, una cicatrice che potrebbe segnare la generazione tra i 30 e i 50 anni per il dolore e la perdita di un caro a cui si aggiunge l’ansia del futuro. Non crede che in futuro si potrebbe prospettare uno scenario angoscioso per un aumento dell’indice dei suicidi?

Il disagio psicologico è cresciuto molto in queste settimane e ci attendiamo un lungo strascico di problemi da fronteggiare. Temo che registreremo una crescita del numero dei suicidi, alcuni correlati al covid-19 si sono già verificati. Si sono registrati tra gli infermieri in prima linea negli ospedali, altri casi ci sono stati tra i cittadini costretti in casa e in particolare tra gli imprenditori. Purtroppo, il benessere psicofisico degli italiani è crollato. I suicidi rappresentano le manifestazioni più eclatanti e dolorose di questo malessere diffuso.

Nel corso di un’emergenza, è normale sentirsi tristi, confusi, spaventati o arrabbiati? Quali consigli darebbe per affrontare con serenità questi malesseri e in quanto tempo potrebbero essere superati?

Nel corso di un’emergenza sanitaria come questa è normale registrare un incremento delle problematiche psicologiche. Paura del contagio, stravolgimento delle abitudini, preoccupazioni per le prospettive sociali ed economiche sono tutti fattori che determinano una pressione. Poi c’è chi regge meglio lo stress e chi, magari già con una serie di problematiche, va incontro a un disagio maggiore. Chi stava male prima, infatti, ora nella stragrande maggioranza dei casi sta peggio.

Per una sana gestione psicologica dell’epidemia è verosimile tracciare un vademecum per dominare la paura e trasformarla in risorsa?

Come Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi abbiamo fatto una vasta azione di divulgazione e sensibilizzazione. Abbiamo anche elaborato e messo a disposizione un vademecum sul nostro sito psy.it. La ‘paura’ è un sentimento complesso e ambivalente che ha anche un risvolto per certi versi positivo quando ci spinge ad atteggiamenti prudenti e responsabili verso un rischio concreto o ipotetico. Altra cosa è vivere una situazione di malessere o rimanere ‘paralizzati’ di fronte al terrore di qualcosa.

Durante l’emergenza sanitaria le donne sono più esposte al pericolo della violenza domestica. Quali sono i servizi messi a disposizione sul territorio dai vostri professionisti per tutelare l’universo femminile a rischio per l’impossibilità di chiedere un aiuto esterno?

Le donne e i giovani ritengono più degli altri che serva uno psicologo per superare questa fase. A questo proposito, va sottolineato con forza che nessuno è solo davanti al disagio psicologico. Chiedere aiuto è sempre possibile – e io aggiungo necessario – per non sottovalutare i problemi e vederli peggiorare nel tempo. Il distanziamento sociale non blocca l’attività di sostegno. Gli studi sono rimasti aperti. Inoltre, ci sono migliaia di psicologi liberi professionisti che si sono messi a disposizione per attività a distanza. Basta utilizzare il sito psy.it per trovare uno psicologo e avviare un percorso di sostegno.

Un’indagine dell’università dell’Aquila e Tor Vergata di Roma, ha rivelato che l’isolamento, la paura del contagio, la perdita del lavoro, sta producendo sulla psiche stress psicologici e depressione tra le donne e nelle fasce più giovani della popolazione. Quali sono gli strumenti per combattere tali disagi?

Bisogna ascoltarsi per capire il nostro livello di benessere. Si deve essere disponibili a ricevere aiuto da un professionista qualora se ne senta la necessità senza nascondere i problemi. Si deve aiutare chi è vicino a noi. Insomma, non ci si deve chiudere in sé stessi.

I bambini, rispetto agli adulti, rispondono in modo diverso allo stress? Quali suggerimenti potremmo dare ai genitori per prevenire stati di panico e paura?

Non riescono a razionalizzare la situazione come un adulto e tendono a tenersi dentro i problemi. Da parte dei genitori ci vuole una costante attenzione e una grande vicinanza per far sentire l’amore di cui hanno bisogno. Per i più piccoli è fondamentale sentirsi centrali e considerati.

Al Covid-19 si possono collegare episodi di stigmatizzazione sociale e discriminazione, soprattutto nei confronti di coloro che sono stati contagiati e dei loro familiari. Secondo lei è necessario intervenire in modo mirato per promuovere l’integrazione delle persone colpite dal virus?

Questo è un serio problema che va affrontato in primo luogo con l’educazione. Chi si è ammalato non lo ha fatto per imperizia o negligenza ma per le caratteristiche di un virus molto pericoloso e contagioso.

La pandemia si è diffusa in molti paesi e in diversi contesti. Esiste un solo e unico approccio per far fronte ai bisogni psicosociali e di salute mentale della popolazione?

Ogni singolo individuo ha bisogno di un sostegno e di un percorso su misura. Non si possono generalizzare i casi su base sociale o geografica.

Pensa sia necessario tutelare la salute ed il benessere mentale degli operatori sanitari al termine dell’emergenza sanitaria?

Paura del contagio, turni durissimi, strumentazioni insufficienti, procedure snervanti, riposi inadeguati, preoccupazione di portare il virus a casa in famiglia sono tutti fattori di forte stress. Per questo, è fondamentale fin da ora, in queste settimane di lotta durissima nelle corsie degli ospedali, sostenere gli operatori sanitari. Le indagini condotte a livello internazionale indicano un’incidenza altissima di problematiche psicologiche in questi soggetti. Garantire un supporto adeguato è il minimo che si possa fare in segno di riconoscenza per quanto stanno facendo.

Esistono servizi coordinati dalle associazioni di psichiatri e psicologi a cui le persone possono rivolgersi 24 ore su 24 con strumenti che accorciano le distanze?

Gli Psicologi hanno introdotto una straordinaria mobilitazione. Penso al numero verde dedicato del Ministero della Salute. Inoltre, come detto, oltre 10mila psicologi sono raggiungibili e consultabili a distanza, sul sito psy.it, grazie alla nostra iniziativa #psicologionline. Ci sono poi moltissime realtà territoriali che hanno realizzato attività di supporto. Infine, ci sono gli psicologi che operano all’interno del Servizio Sanitario Nazionale anche se il loro numero purtroppo è irrisorio, cronicamente insufficiente rispetto ai problemi da affrontare, ancor più ora che siamo alle prese con questa emergenza.

Conclusa la fase 1, la fase 2 si profila più difficile da percorre perché sarà necessario ri-adattarci a gestire la quotidianità con estrema cautela. L’ordine degli psicologi ha predisposto progetti di accompagnamento e presa in carico in via continuativa dei soggetti interessati?

Il 62% degli italiani pensa che avrà bisogno di un supporto psicologico per affrontare la normalità. Ci sarà molto da fare e gli psicologi faranno la loro parte. C’è stata una mobilitazione straordinaria di tutta la categoria a livello territoriale per garantire un sostegno capillare e puntuale.

Dott. David Lazzari
David Lazzari, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Regione Umbria e del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, ex presidente della Società Italiana Psico Neuro Endocrino Immunologia, è specialista in psicosomatica ed in psicologia della salute e responsabile del servizio di psicologia dell’ospedale di Terni. Da anni si occupa di problemi legati allo stress ed è autore di numerose pubblicazioni scientifiche sul rapporto tra benessere psicologico e salute generale.
Cristina Montagni