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L’altra dimensione del management che non concilia lavoro e famiglia
Cambiare la cultura aziendale per agevolare le donne nel mondo del lavoro facilitandone la carriera fino alle posizioni apicali, sono le politiche necessarie per sviluppare un ecosistema sociale ed economico sostenibile, competitivo ed equo. L’analisi “l’altra dimensione del management”, realizzata dall’istituto G&G Associated di Roma e da Federmanager, presentata in Vaticano a maggio, ha dettagliato i temi in cui mondo del management e mondo della Chiesa hanno espresso un messaggio comune per giungere ad una maggiore parità tra uomini e donne nei luoghi di lavoro, in famiglia e nella società.
Fotografia dell’indagine Federmanager
La condizione dei manager in Italia e all’estero è stata fotografata su un campione di oltre 1.000 dirigenti e quadri apicali, uomini e donne e su 200 donne manager in Usa e Germania. Dalla ricerca emerge che un manager under 50 su due non riesce a conciliare il lavoro con la famiglia nonostante quest’ultima sia considerata più importante della realizzazione professionale.
L’armonizzazione è più riuscita tra gli over 50 che nel 66% dei casi riesce a far fronte ad entrambi gli impegni. In media solo il 63% dei manager italiani bilancia famiglia e lavoro, un dato esiguo rispetto agli Stati Uniti (87%) e la Germania (75%). Ad influenzare negativamente il “work family life balance” è la mancanza di tempo da dedicare alla famiglia; le donne manager italiane investono nel lavoro più di 9 ore al giorno contro le 8,2 delle statunitensi e le 7,1 delle tedesche.
“Una migliore integrazione tra tempo dedicato al lavoro e tempo per la famiglia è un obiettivo che la Federazione persegue da tempo” ha commentato Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager. “Significa farsi carico degli effetti dell’organizzazione adottata in azienda, recuperare la portata antropologica del rapporto madre-figlio” afferma Gabriella Gambino sottosegretario per la Vita del Dicastero per i Laici. “La qualità e la quantità del tempo trascorso in famiglia condizionano la serenità della donna e la performance nel mondo del lavoro. L’impresa, ha spiegato la Gambino, dovrebbe pensare che la maternità non è uno ostacolo, ma una risorsa che sviluppa soft skills e competenze rilevanti nel mondo del lavoro”.
Tra le politiche di intervento in favore dell’integrazione tra vita professionale e vita privata, anche in termini di riduzione delle differenze di genere, al primo posto c’è la flessibilità lavorativa, top of mind per l’81% del campione. A seguire, il welfare aziendale a supporto delle donne e gli interventi di conciliazione concessi in forma paritaria per entrambi i sessi (68% delle preferenze). Se per le donne manager la flessibilità lavorativa è la prima esigenza, il compito è favorire la diffusione di strumenti operativi nelle aziende che, a partire dai piani di welfare, diano una chiara risposta in termini di assistenza parentale, supporto alla genitorialità e copertura sanitaria per tutti i componenti della famiglia. “Il welfare aziendale” per Cuzzilla “va sostenuto attraverso politiche pubbliche che favoriscano il carico per le aziende che può essere la “chiave” per abbattere il diverso trattamento tra i generi che ostacola l’inclusione delle donne nel mondo del lavoro”. L’indagine Federmanager indaga la differenza tra il grado di conoscenza delle politiche di intervento e la reale attuazione in azienda. La flessibilità lavorativa viene attuata nel 52% dei casi; il welfare aziendale a supporto delle donne precipita dal 68% di attesa al 23% di attuazione; gli interventi di conciliazione per uomini e donne passano dal 68% al 26%; i sistemi di meritocrazia e trasparenza trovano terreno solo nel 34% dei casi, contro un’attesa del 61%. Anche in questo campo si conferma la scarsa propensione del nostro Paese a trasformare le buone intenzioni in realtà. L’utilizzo delle tecnologie è una grande opportunità per conquistare una maggiore efficienza organizzativa nei luoghi in cui si abita e si crescono i figli.
Politiche d’intervento in USA, Germania e Italia
Le politiche d’intervento prese in considerazione dall’indagine Federmanager risultano più attuate in USA e in Germania. Ad esempio, si riconosce la presenza di un sistema educativo con pari opportunità per ragazze e ragazzi (citato nel 40% dei casi dalle donne Usa, nel 39% dalle donne tedesche, e solo nel 5% dalle italiane). Sono presenti sistemi di misurazione dei risultati che riconoscono gli effetti positivi connessi alla presenza di leadership femminili (35% USA, 31% Germania, 4% Italia) o ancora misure per la sicurezza sul lavoro e per la prevenzione sulla violenza di genere (rispettivamente 47%, 32% contro il 21% dell’Italia). Le pari opportunità – continua Gabriella Gambino – hanno bisogno di radicarsi in un’alleanza uomo-donna, che sia capace di rispettare le specificità e le peculiarità della differenza. Per il Presidente dei manager “riorientare il sistema scolastico in termini di pari opportunità non è un obiettivo banale, anzi è una necessità. Occorre che le ragazze siano inserite al pari dei ragazzi nei processi formativi dove si acquisiscono le competenze che daranno lavoro”. Oltre alla formazione – ha sostenuto Cuzzilla – ci sono delle priorità che una società moderna deve considerare: inclusione finanziaria e digitale delle donne, rafforzamento delle tutele legali a garanzia di parità tra i generi, e un diverso atteggiamento nei confronti del lavoro non retribuito, il cui carico va redistribuito tra i sessi. “Se lavoriamo in questa direzione” ha concluso il manager Cuzzilla “riusciremo non solo a fare dell’Italia un Paese civile, ma anche un Paese competitivo che cresce grazie al contributo di valore che le donne sanno generare”.
Cristina Montagni
I giovani e il mondo del lavoro, un gap tra possibilità e propensioni
Giovani e lavoro, temi intorno ai quali si intrecciano interrogativi, sentimenti di passione e vulnerabilità, aspettative di vita lavoro-famiglia, percezione del lavoro all’interno dell’impresa, skills necessari per soddisfare l’azienda che decide di investire su un giovane laureato. Sulla base di questi elementi, l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, insieme all’Università Europea di Roma (UER), lo scorso 18 aprile hanno presentato i risultati della ricerca “I giovani e il mondo del lavoro”. L’indagine pilota, realizzata dal gruppo di lavoro Value@Work, (composto da: Aidp Lazio, Cgil, Colap, Federmanager, Forum delle Associazioni Familiari, Istituto Fidelis – Apra, Istituto Luigi Gatti- Apa Confartigianato Imprese Milano-Monza, Prioritalia e Università Europea di Roma) ha suggerito un modello sperimentale che raccorda il mondo dell’università a quello delle imprese.
Analisi esplorativa e obiettivi dell’indagine pilota
L’indagine pilota giunta alla seconda edizione, nasce con l’obiettivo di dare risposte sull’occupazione dei giovani, colmare il gap di competenze necessarie per l’innovazione e la competitività delle imprese, mettere al centro la persona e la sua crescita, il benessere della famiglia, il miglioramento della qualità della vita e la conciliazione di vita e lavoro all’interno della cultura aziendale. Per tutte le variabili quali-quantitative sono state analizzate le motivazioni, le aspettative delle scelte universitarie degli studenti dal punto di vista professionale-valoriale e le differenze tra i profili universitari in raccordo con le loro identità.
Per facilitare l’incontro tra giovani e mondo del lavoro, il sondaggio ha considerato due panel a confronto: i giovani universitari e le imprese.
Il primo panel rivolto agli studenti, ha cercato di cogliere le motivazioni delle scelte universitarie, le difficoltà attese verso il percorso di un lavoro autonomo e la disponibilità di mettersi in gioco per ottenere gli obiettivi preposti. Il panel rivolto alle aziende ha invece focalizzato i fabbisogni delle imprese, le difficoltà nell’assunzione di nuove forze lavoro, suggerendo un possibile modello per integrare i giovani nella propria organizzazione.
Panel a confronto Giovani e Impresa
A fornire una lettura sintetica dei dati è stata Adele Ercolano, coordinatrice dell’Istituto degli Studi Superiori sulla Donna. La Ercolano ha spiegato di aver coinvolto al sondaggio 600 studenti, il 65% della popolazione delle facoltà dell’ateneo, suddiviso per il 65% da ragazze e per il 35% da ragazzi. Tra le motivazioni della scelta dell’ateneo è emerso che il 56% degli studenti ha valutato il percorso universitario in base alle proprie passioni e interessi, per il 27% la scelta è stata determinata dalla prospettiva di un lavoro e il 13% ha ragionato in base alle proprie attitudini. Secondo una prevalenza di genere, il 65% delle ragazze ha scelto psicologia in base alle proprie vocazioni, mentre scienze del turismo ed economia sono tra le facoltà più “gettonate” dagli studenti per le buone prospettive di lavoro. Per l’utilizzo delle piattaforme digitali (incontro domanda-offerta di lavoro), il 29% del campione predilige le piattaforme online, mentre il 32% si affida a parenti e amici per la ricerca di una occupazione. Tra i fattori di arricchimento dei curricula sono state valutate le conoscenze delle lingue straniere. Dall’analisi è emerso che il 52% degli studenti ha un livello intermedio di conoscenza dell’inglese, il 25% una padronanza avanzata della lingua, mentre il 23% un livello base di preparazione. Per quanto attiene alle esperienze extra-accademiche, su un campione di 347 studenti, è risultato che avere esperienza sulla responsabilità sociale è considerato dalle ragazze e dai ragazzi, una componente favorevole che accresce le relazioni con gli altri per maturare skills di alto livello. Ampliare le competenze professionali con un tirocinio mirato, è valutato positivamente per acquisire maggiore consapevolezza sul lavoro.
Da questo spaccato è emerso che i ragazzi si attendono dal mondo del lavoro di poter coltivare le proprie passioni (34%), di trovare un lavoro sfidante e autonomo con possibilità di crescita (21%), che dia sicurezza e stabilità (18%). Coltivare le passioni è un sentimento molto sentito tra gli studenti di psicologia, rispetto a quelli di giurisprudenza ed economia, che si aspettano dalle aziende di valorizzare la propria crescita professionale. Le ragazze infine sperano di poter formare una famiglia tra i 25-30 anni (50%), e questo dato è strettamente correlato con la scelta universitaria e la tipologia di settore nel quale pensano di operare.
Stefania Celsi, consigliere dell’istituto di studi superiori sulla donna dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e membro di Value@Work, ha affermato che per aumentare la presenza dei giovani nel mondo del lavoro è necessario abbattere il costo del lavoro, unitamente all’investimento in formazione professionale. Per questo, ha spiegato, sono stati analizzati i fabbisogni delle organizzazioni su un campione di circa 30 imprese che hanno interazioni con l’UER in termini di aree aziendali, tipologia di professionalità, competenze integrative e trasversali richieste. Alle aziende, ha aggiunto, è stato chiesto quali rinunce o sacrifici dovrebbero fare i giovani secondo il punto di vista delle imprese per inserirsi con successo nelle organizzazioni, e quali competenze l’università dovrebbe favorire al di là di quelle accademiche. La risposta più frequente è stata quella di arricchire il percorso con esperienze extra-curriculari, in particolare all’estero, e conseguire maggiori specializzazioni.
Dall’indagine emerge che tra le principali proposte del mondo industriale, per facilitare la presenza dei giovani all’interno del mondo del lavoro, oltre quello di abbassare il costo del lavoro per incentivare l’assunzione dei giovani (57%), è necessario adeguare il sistema formativo universitario alle competenze/conoscenze richieste dalle imprese (38%). Le aziende apprezzano i giovani capaci di comprendere i bisogni degli altri, essere orientati al servizio (30%), avere la capacità di adattarsi ed essere sensibili (25%), avere la capacità di relazionarsi con gli altri ed avere solide competenze tecnico-professionali (15%). Per aumentare la presenza dei giovani, le aziende sarebbero disposte a investire in formazione professionale (48%), favorire la rotazione di personale (19%) e incentivare l’esperienza di giovani all’estero per l’internazionalizzazione dell’azienda (9,5%). Rispetto alle “rinunce” o “sacrifici” che i giovani dovrebbero fare per inserirsi nel mercato del lavoro, le aziende suggeriscono di dedicare tempo per conseguire ulteriori specializzazioni (33%), accettare di lavorare lontano dai luoghi di residenza (29%), e cambiare tipologia di attività lavorativa (19%).
A tirare le somme del seminario è stata Silvia Profili, coordinatrice del corso di economia e management dell’Università Europea di Roma e Marta Rodriguez, direttrice dell’Istituto di Studi Superiori sulla Donna. Entrambe hanno sostenuto che i risultati dimostrano quanto i valori sono importanti nelle scelte di un percorso professionale. La sicurezza, la stabilità e l’attenzione al work-life balance rappresentano i principali fattori che gli studenti ricercano nel lavoro. Investire sui giovani significa costruire un futuro sostenibile, per fare questo, occorre renderli protagonisti del futuro, ascoltarli e prenderli sul serio.