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Rappresentanza delle donne e l’impegno della European Women’s Lobby alle elezioni di giugno 2024

Rossella Poce, Presidente Lef-Italia

(a sinistra) Rossella Poce, Presidente Lef-Italia
(a destra) M. Ludovica Bottarelli, Segretaria Generale Lef-Italia- Osservatorio EWL
On. Beatrice Covassi del gruppo S&D
Oria Gargano, Presidente Cooperativa Sociale Befree, Membro del Direttivo LEF- Italia

Titti Carrano, Avvocata D.i.Re per l’Italia

Presentazione Università Roma Tre INDAGINE UNISIN su lavoro e parità per un futuro possibile senza discriminazioni uomo-donna

Dalla conferenza: “Il futuro possibile: lavoro, parità, innovazione, sostenibilità. Contro ogni violenza e discriminazione” vengono focalizzate le condizioni di vita e lavoro nel settore bancario che rappresentano uno specchio rispetto ad altre realtà per riflettere in un’ottica non discriminatoria.

Da tempo le organizzazioni sindacali sono impegnate a contrastare il fenomeno sollecitando aziende di credito, università, media e istituzioni per promuovere una società inclusiva e migliorare il benessere e la qualità di vita delle lavoratrici. Di conseguenza il 4 aprile all’Università Roma Tre, sono stati presentati gli esiti dell’indagine campionaria UNISIN (Unità sindacale Falcri Silcea Sinfub). Al convegno hanno partecipato UnIRE (Università in Rete contro la violenza di genere) con il patrocinio di GIO – Gender Interuniversity Observatory, Università di Pisa CISP (Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace) e RUniPace Rete Università per la Pace.

Lavoro e parità. Una sfida collettiva a fianco del sindacato, aziende e accademia

Emilio Contrasto, segretario generale UNISIN, nell’avviare i lavori ha affermato la necessità di una strategia capillare per lottare contro la violenza sulle donne, osservando come la tutela del lavoro legata al sindacato dei bancari rappresenta un faro rispetto altri settori e nel sistema paese. Un recente studio – ha commentato – conferma un gap tra le norme contrattuali e la relativa applicazione nei luoghi di lavoro. Da qui parte un confronto all’interno dell’organizzazione per valutare i processi che generano tali diversità. “La sfida” spiega Contrasto “deve coinvolgere il mondo del lavoro, sindacato, aziende e accademia per studiare le origini del fenomeno e fare in modo che quanto è stato istituito possa trovare applicazione nelle imprese per diventare un modus operandi in ogni luogo”. La parola chiave per superare il gap è formazione e informazione: formazione attraverso la cultura del rispetto e informazione quale fulcro per definire i giusti processi. La maggior parte degli addetti nel settore bancario è donna (oltre il 50%) ma più si sale nella piramide di potere, minore è la percentuale di donne che occupa posizioni apicali, sebbene il settore sia un laboratorio di riferimento per salari e inquadramenti, il gap è ancora forte.

Questionario conciliazione vita-lavoro, discriminazioni e violenza

Un anno fa il sindacato autonomo dei lavoratori bancari ha proposto un questionario tra le impiegate del gruppo curato dal Coordinamento Nazionale Donne & Pari Opportunità di Unisin/Confsal attraverso un sistema di domande chiuse e aperte per rendere le donne consapevoli dei propri diritti e tutele, approfondire il grado di percezione sulle differenze di genere e violenza all’interno dell’azienda. Dallo studio è emerso un sentiment generale: la parità di genere nel mondo del credito è lontana e nel tempo si manifesta con episodi di sessismo, sensi di colpa per la maternità, differenze salariali tra uomini e donne, discriminazione delle donne che non hanno voluto o potuto avere un figlio e quelle prossime alla pensione.

Daniela Foschetti, responsabile Coordinamento Nazionale Donne e Pari Opportunità UNISIN

Risultati indagine Unisin

Il progetto di ricerca “Noi diversi…Donne e uomini insieme contro la violenza alle donne. Uniti in una sfida possibile” ha coinvolto un campione femminile su diversi argomenti: vita-lavoro, discriminazioni, violenza nei luoghi di lavoro, elaborati sulla base di tre indicatori: distribuzione geografica, età e ruolo professionale. Dall’indagine risulta che il 52% del campione femminile non conosce le normative nazionali di settore e aziendali sulle tutele e ha scarsa consapevolezza sul tema. Dalla distribuzione geografica emerge una concentrazione di risposte provenienti dalle regioni più popolose: Lombardia il 46% per la presenza di sportelli bancari, Toscana 21%, Veneto e Lazio 8%. Quanto alla frequenza per età, il 51% delle intervistate aveva fra i 46 e i 55 anni, il 28% tra i 31 e i 45 anni, il 20,4% oltre i 56 anni e l’1,2% fino a 30 anni. Quest’ultimo valore restituisce un basso interesse dei giovani a tutelare il proprio lavoro, delegandolo alle organizzazioni sindacali rispetto all’impegno nel volontariato. Riguardo al ruolo professionale, prevalenti sono le posizioni commerciali (49%) e operative (30%) che fotografano le dipendenti delle filiali molto coinvolte per la pressione nelle attività di lavoro (relazione con la clientela, capi a diversi livelli, obiettivi da raggiungere, etc). Una caratteristica peculiare è fornita dal comparto del credito dove il 77% dei dipendenti è sindacalizzato, il 50% della forza lavoro è donna, ma solo il 18% occupa ruoli direttivi nonostante l’elevata scolarizzazione (49% diplomate, 47% laureate, 2% post laurea). All’item vita privata-lavoro, il 64% del campione sostiene di conciliare entrambe le attività, ma sul versante professionale il 53% sostiene di non sentirsi realizzata, il 9% non risponde ed il 45% dichiara che la maternità ha penalizzato il lavoro in azienda, contro un 39% che sostiene di non aver subito ripercussioni. Interessanti le risposte libere, dove le donne comunicano di essere “scomode” se si concedono la maternità; il 23% sostiene di aver subito discriminazioni mentre il 15% non risponde. Nonostante le elevate competenze, le lavoratrici part-time non hanno prospettive di promozione e vengono messe in secondo piano rispetto ai colleghi uomini. Riguardo alla maternità, il rientro in azienda non è facilitato per i repentini cambiamenti procedurali, esistono scarse opportunità di carriera, blocchi di avanzamento o cambi di funzioni con l’azzeramento delle esperienze lavorative passate, limitate concessioni nel part-time e permessi di lavoro. Si desume che nella struttura di appartenenza la dipendente vive male la maternità, non viene sostituita con il conseguente aggravio di lavoro ad altri colleghi. La discriminazione è quindi nell’essere donna, condizione subita come preclusione nelle opportunità. Il suggerimento delle intervistate è valorizzare le competenze organizzative in ambito aziendale che non appartiene al solo mondo del credito ma fotografa il lavoro in generale. Dalle risposte libere emerge che le donne capo settore hanno percepito lo stipendio di un addetto. Il divario retributivo esiste e a parità di retribuzione iniziale, il gap si concretizza nel tempo perché il mancato riconoscimento dei ruoli è riconducibile al gender pay gap. Le lavoratrici segnalano che ai ruoli di responsabilità non corrispondono riconoscimenti di grado e adeguate remunerazioni per le lavoratrici part-time. Per conciliare vita familiare e lavoro, sono stati individuati alcuni fattori di supporto come lo smart working 37%, flessibilità negli orari 30%, part-time 25% e altri strumenti quali la banca del tempo, accordi sulla mobilità o contributi economici con l’8%. In breve, da un lato vi è la difficoltà di accesso agli strumenti, dall’altra le regole esistono ma è necessario valutare le conseguenze quando è richiesta l’applicazione. La “batteria” di domande chiude con temi sulla percezione dei rischi legati alle violenze di genere e dell’eventuale presenza di vittime di violenza sul posto di lavoro. Le risposte hanno restituito risultati speculari dove il percepito ed il subito coincidono; l’83% delle intervistate percepisce rischi di violenza di genere, il 10% denuncia il rischio o ha subito violenza, mentre il 7% non risponde. Il settore del credito non fornisce dati ufficiali in materia, ma è necessario valutare nel tempo lo scostamento tra dati forniti e realtà riscontrata per analizzare come vengono gestiti questi eventi all’interno del comparto. L’indagine porta alla luce anche violenza fisica e verbale, battute tra colleghi, mobbing e maleducazione ad opera di capi uomini, donne, colleghi o colleghe. La ricerca conferma che la violenza è solo la punta dell’iceberg, e Unisin con altre realtà è occupata a proporre soluzioni per tutelare le dipendenti. Infine, si sottolinea l’importanza di una formazione capillare in grado di coinvolgere uomini e donne per il raggiungimento di un obbiettivo comune. La sfida di Unisin è quindi costruire nuovi paradigmi, proporre modelli per un futuro libero da stereotipi attraverso la consapevolezza, coraggio, cultura e comunicazione.

Strategie di supporto per le donne nel settore del credito

Rispetto alla discriminazione di genere, il sindacato e ABI (associazione bancaria italiana), nel 2019 hanno firmato una dichiarazione congiunta in materia di molestie sottolineando il valore dell’azione non solo nel credito ma anche in altre aziende ed associazioni. Il protocollo d’intesa prevede un congedo di lavoro di tre o quattro mesi qualora le dipendenti abbiano subito violenza. Un altro strumento è bloccare i mutui o il debito perché la violenza finanziaria limiterebbe l’autonomia della donna. Esiste anche un percorso di protezione, sicurezza e rinascita all’interno di case protette, ad esempio continuare a lavorare. E lo smart working può essere un valido aiuto per ritrovare una routine simile a quella perduta nel momento in cui hanno messo loro e i loro figli in condizione di protezione. Aziende e sindacati dispongono di mezzi efficaci anche se i dati non mostrano particolari criticità. Tra i vari programmi, Unicredito ha aperto il canale “Parlami”, un numero protetto dove è possibile chiamare qualora sorgessero rischi da un punto di vista del linguaggio o atteggiamenti riconducibili a violenza psicologica. Altro tema attiene all’inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere. Contesti lavorativi in grado di includere e valorizzare il genere, sesso, cultura, etnia, aging, determina la capacità di essere differenti, ovvero portatori di maggiori istanze. La presenza femminile nel settore del credito è numerosa (40% donne, 60% uomini) ma la quota tende a diminuire nei vari step delle organizzazioni. Per questo ABI ha firmato una carta dove viene sancito l’impegno a creare ambienti di lavoro inclusivi, selezionare le risorse con criteri paritetici tra uomini e donne e promuovere la crescita del personale femminile nell’organizzazione. Un’attenzione particolare è rivolta alle politiche di remunerazione, infatti uno degli obiettivi di UniCredito è azzerare il gender pay gap entro il 2026. In generale il comparto del credito è sensibile allo sviluppo, crescita e corretta remunerazione. Tuttavia, si rileva che tra gli elementi che hanno frenato lo sviluppo del settore c’è il welfare per la mancanza di assistenza e infrastrutture come gli asili nido. Infine, in Italia sarà fondamentale pensare all’aging, alle competenze, alla disabilità che insieme al gender, creano le condizioni per realizzare una vera inclusione in grado di produrre valore alle aziende e al tessuto sociale circostante.

A sinistra, Daniela Belliti, coordinatrice UNIRE

Educazione all’uguaglianza e alle identità di genere

Nonostante gli sforzi normativi e l’attenzione pubblica sul tema della violenza, la realtà mostra che il fenomeno non accenna a diminuire. “Ciò accade” afferma Belliti “perché le attuali norme non hanno piena legittimazione sociale e non svolgono azioni preventive. Occorre quindi una condivisione della matrice culturale che proviene dalle donne e dai movimenti femministi”. La Convenzione di Istanbul ha il pregio di fare proprio questo pensiero; afferma infatti che la violenza si manifesta per diseguali rapporti di forza tra i sessi e alla discriminazione da parte degli uomini. La Convenzione riconosce la natura strutturale della violenza in quanto basata sul genere, per questo invita gli Stati a promuovere cambiamenti socio-culturali per eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra forma basata sull’idea d’inferiorità rispetto agli uomini. L’Italia dispone di linee Guida Nazionali “Educare nel rispetto per la parità fra i sessi”, di fatto attuate in modo sporadico e prive di adeguate risorse finanziarie. Progetti di educazione di genere sono contrastati per le resistenze ideologiche prodotte dal termine genere. Queste resistenze indeboliscono l’impianto della prevenzione e impediscono la costruzione di una cultura della parità. Per ribaltare questo pensiero, l’Università deve svolgere un cambiamento socio-culturale e questa battaglia deve attraversare il mondo del lavoro dove esistono strumenti giuridici ancora poco conosciuti. Nel 2019 l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha adottato la Convenzione 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro che integra il codice internazionale del lavoro. La convenzione definisce le molestie perpetrate sui lavoratori e lavoratrici e invita a adottare un approccio inclusivo incentrato sulla prospettiva di genere, identificando nel genere un fattore di rischio discriminazione. La stessa Convenzione propone programmi di formazione, informazione, codici di condotta, strumenti di valutazione dei rischi e campagne di sensibilizzazione contro la stigmatizzazione delle vittime, dei querelanti e dei testimoni. Nel 2021 l’INAIL (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha pubblicato i dati sulla violenza femminile e risulta che 1milione e 400mila donne tra i 15-65 anni hanno denunciato molestie fisiche o ricatti sessuali da parte di un collega o datore di lavoro. Infine, l’indagine OIL 2021 elaborata su 75mila interviste in 121 paesi, ha rilevato che il 17% dei lavoratori è stato vittima di violenza e molestia di tipo psicologico, l’8% violenza fisica e il 6% ha subito violenze e molestie sessuali.

A sinistra, Francesca Brezzi, già Presidente di Gender Interuniversity Observatory

Il rispetto delle differenze passa per il linguaggio

Francesca Brezzi parla del linguaggio da una prospettiva femminista poiché l’ipotesi è dimostrare che esistono differenze di pensiero per disegnare un’etica della comunicazione. “Il linguaggio” spiega “riflette il modo di pensare e agire; quindi, diventa il mezzo del pregiudizio e della discriminazione”. Riguardo ad esso c’è una crisi del linguaggio codificato e due sono le strade intraprese. Da un lato la costatazione dell’assenza del femminile sotto forma di linguaggio neutro; linguaggio maschile elevatosi a linguaggio universale. Dall’altro si scorge sotto un velo di neutralità, una tessitura linguistica codificata dove il linguaggio sessuato è differente dal linguaggio sessista. Il linguaggio sessista colpisce la donna, conduce agli stereotipi, alla non rappresentazione, è discriminatorio e trasmette informazioni obsolete e offensive. Brezzi sostiene che bisogna adottare il femminismo del sospetto; decostruire i linguaggi per smascherare il vero linguistico che copre la società. Occorre perciò abbracciare un percorso formativo educativo, aspirare ad una etica della comunicazione, una comunicazione libera in grado di confrontarci in quanto soggetti razionali. “Quello di cui abbiamo bisogno” conclude “sta nelle parole incarnate, parole che restituiscono significato agli eventi per aprirsi a nuove forme di convivenza. In tutto questo le donne devono farsi soggette di un linguaggio diverso e non affidarsi ad un linguaggio neutro.

Cristina Montagni

Relatori al convegno:

Alessandra Mancuso, giornalista Rai; Emilio Contrasto, Segretario Generale UNISIN; Prof. Francesca Borruso, Università di Roma Tre; Prof. Massimiliano Fiorucci, Rettore Università Roma Tre; Stefano Corradino, giornalista Rai News; Marina Calloni, Direttrice UNIRE; Daniela Belliti, coordinatrice UNIRE; Francesca Brezzi, già Presidente di GIO (Gender Interuniversity Observatory); Giovanna Vingelli, Direttrice del Centro di Women’s Studies “Milly Villa”; Elettra Stradella, Professoressa associata in Diritto Pubblico Comparato; Costanza Nardocci, ricercatrice in Diritto Costituzionale Università di Milano; Nannarel Fiano, ricercatrice in Diritto Costituzionale Università di Milano; Daniela Foschetti, responsabile Coordinamento Nazionale Donne e Pari Opportunità UNISIN; Angelo Raffaele Margiotta, Segretario Generale Confsal; Rosalba Domenica La Fauci, Vice Segretario Generale Confsal; Marta Schifone, deputato della Repubblica italiana.

Presentazione Primo Osservatorio Digitale Europeo contro le molestie e violenze sul lavoro

La violenza di genere regolata da convenzioni ONU e UE, con l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile ratificata da 193 Stati delle Nazioni Unite, ribadisce l’impegno sul lavoro dignitoso, riduzione delle disuguaglianze, promozione della salute, benessere, eliminazione della violenza di genere e ogni forma di discriminazione. Per una sua piena applicazione è necessario accelerare su leggi, politiche, bilanci e istituzioni, per le quali si chiede un maggiore investimento sulle statistiche di genere poiché è disponibile meno della metà dei dati per monitorare il Goal 5.

Il 23 novembre presso la Camera dei deputati a Roma, l’associazione 6Libera.6come6 ha presentato il Osservatorio Digitale Europeo contro le molestie e violenze sul lavoro. Ad aprire il convegno l’onorevole Carolina Varchi, capo gruppo della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, la presidente dell’associazione 6Libera.6come6, avv. Dhebora Mirabelli e la criminologa Maria Pia Giulia Turiello, direttore del dipartimento Ricerca Business School Bocconi. Una giornata ricca di spunti accompagnata da magistrati e avvocati esperti che si sono confrontati con il mondo delle imprese per garantire alle vittime tutele, protezione ed affermare una cultura aziendale libera da discriminazioni, abusi, molestie e violenze.

Osservatorio Digitale Europeo contro le molestie e violenze sul lavoro

Un focus specifico nella giornata di studio per presentare il Osservatorio Digitale Europeo contro le molestie e violenze sul lavoro che avrà il compito di tracciare un percorso nazionale osservando il sistema normativo insieme a iniziative di prevenzione e contrasto. L’indagine predisposta per il contesto italiano indicherà strategie e politiche rispetto al fenomeno, segnalando necessità, best practice e proporre potenziamenti sulla materia. L’approccio metodologico si avvale di ricerche sul campo e studi provenienti dalla letteratura esistente. Un corpus di documenti costituito da trattati, convenzioni, dichiarazioni internazionali ed europee che delineano il fenomeno e indicano quali sono le tutele per lavoratrici e lavoratori. Esperti in materia analizzeranno rapporti e dati provenienti da organismi internazionali, sindacati, istituzioni e società civile, unitamente ai contratti nazionali di lavoro, accordi fra le parti sociali e datoriali e codici etici adottati dal settore privato. Un lavoro complesso in cui verrà esaminata l’impostazione penale ed amministrativa che regola il fenomeno italiano. Lo studio prevede iniziative di prevenzione definite dalle parti sociali, istituzioni e società civile, insieme a protocolli di intesa, documenti delle reti territoriali e regionali nelle aree metropolitane. Durante l’indagine saranno disposti gruppi di discussione con aziende e interviste ad hoc a figure del sistema sindacale, datoriale, istituzionale e della società civile. Le inchieste – di tipo qualitativo – avranno un approccio ricognitivo rispetto alle iniziative prese dagli organismi consultati per trarre raccomandazioni su aspetti normativi sociali e culturali.

Impatto economico causato dalla violenza di genere

Violenze sessuali e molestie incidono sulle vittime in termini di benessere, salute psico-fisica, dignità, autostima e lavoro. La regolarità degli atti persecutori impatta a livello fisico e psicologico attraverso sentimenti di paura, vergogna, rabbia, disperazione, ansia, depressione, sonno, etc. Questi avvenimenti provocano nella vittima stress post-traumatici, che sarebbe più esposta a comportamenti suicidari. Ci sono anche azioni che si manifestano con sistematicità; molestie sul lavoro all’interno del contesto aziendale o soggetti esterni all’impresa che incidono sulla salute e benessere di altri individui; testimoni, colleghi, pazienti e clienti, familiari e amici delle vittime. In generale questi indicatori provocano elevati costi sociali che pesano sulla collettività, sui bilanci delle aziende per potenziali assenze dei lavoratori, aumento del turnover del personale, incremento dei costi di reclutamento, formazione, reputation aziendale, crescita dei premi assicurativi e costi in consulenze mediche, spese per assistenza e prestazioni sociali dovute al pre-pensionamento.

Uniformità negli strumenti di prevenzione

Lacunoso sotto il profilo legale è il fenomeno della violenza di genere nel mondo del lavoro. La difficoltà risiede nell’assenza di una definizione universale che contempli aspetti e declinazioni. La legislazione internazionale (OIL Convenzione n. 190 e raccomandazione n. 206) stabilisce forme di protezione rispetto alle tipologie di molestie e violenze sul lavoro. Tuttavia, la mancanza di una visione comune suggerisce scarsa chiarezza rispetto all’identificazione del fenomeno e predisposizione di strumenti per la prevenzione e contrasto dello stesso. Poco studiati sono anche i comportamenti violenti che si manifestano sul lavoro come il bossing, bullismo e mobbing. La normativa contempla alcune tipologie di lavoratori; migranti, lavoratrici domestiche o stagionali, ma ignora una quota di lavori cosiddetti emergenti nati con la Gig economy (sistema basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo) che non solo produce lavoro povero ma concepisce forme di occupazione on demand dove i lavoratori sono senza garanzie e tutele sociali. Questo tipo di occupazione – precario, non controllato e mal retribuito – espone gli occupati ad elevati rischi di abuso e molestia.

Prevenzione, formazione e sensibilizzazione le parole chiave contro la violenza

Statistiche europee affermano che l’Italia è al decimo posto per denunce sulla violenza; solo una denuncia su dieci viene dichiarata, mentre i paesi del nord europa si attestano in cima alla classifica. La violenza, subita nei luoghi di lavoro, è dovuta a squilibri interni all’impresa – posizione dominante di un soggetto – dove la gerarchia nei rapporti di potere produce discriminazioni nei ruoli pubblici e privati. Studi epidemiologici indicano che oltre 200mila persone ogni anno si tolgono la vita per cause di lavoro e 1 persona su 5 compie questo gesto per la mancanza di occupazione. La probabilità di togliersi la vita è 3,5 volte più alta nelle donne e riconducibile a una rottura dell’equilibrio psicofisico della persona che nel tempo sviluppa risposte sul piano somatico e psicologico. La parola chiave per contrastare la violenza è prevenzione. Ma è necessario anche affiancare la denuncia in forma anonima e indicare la presenza di un responsabile in grado di fornire report aggiornati per monitorare comportamenti scorretti in azienda. In generale piccole e medie imprese pensano sia efficace definire linee guida, investire in formazione per prevenire azioni discriminatorie all’interno degli spazi di lavoro.

Indeterminatezza della norma

Un inasprimento della pena non conduce ad una riduzione del fenomeno criminale; è provato che nell’ipotesi in cui il legislatore sia intervenuto nell’acuire il regime sanzionatorio, i risultati non hanno prodotto le risposte sperate. Questa indeterminatezza pone questioni di carattere costituzionale; quindi, se l’obiettivo del legislatore era migliorarla, in realtà interventi successivi l’hanno depauperata. Con la legge 69 del 2019 (Codice Rosso) vi è stato il tentativo di codificare nuove fattispecie aumentando le pene, ma fenomeni come vittimizzazione secondaria, violenza assistita e atti persecutori in famiglia rappresentano un vero allarme sociale. In sintesi, tutti gli operatori del settore sono chiamati ad intervenire con investimenti in formazione per mitigare gli elevati costi sociali.

Educare alla non violenza è un esercizio che si impara in famiglia

Il codice rosso è “macchiato di sangue” perché le violenze sono perpetrate in vari contesti sociali. Il nostro paese è culturalmente impreparato nonostante la normativa sulle tutele e diritti soggettivi è definita da associazioni europee all’avanguardia, di fatto però mal applicata. La donna che denuncia va protetta in strutture adeguate e la Convenzione di Istanbul – ratificata dall’Italia nel 2013 – spiega che in assenza di una denuncia, la donna deve essere tutelata. In conclusione, la parola d’ordine è sensibilizzare per una rinascita culturale partendo dalla famiglia, luogo deputato alla crescita nel rispetto dei valori e della libertà.

Composizione Osservatorio Digitale Europeo

Comitato scientifico di coordinamento della ricerca: giuristi, imprenditori, esperti di relazioni sindacali, medici del lavoro e dirigenti ONU: giudice Valerio de Gioia; avv. Massimo Rossi, avv. Francesco Mazza, criminologa Antonella Formicola, avv. Massimo Oreste Finotto, On. Carolina Varchi, Prof. Sandro Calvani, presidente Società Italiana Medicina del Lavoro Giovanna Spatari, imprenditore Pierantonio Invernizzi, imprenditrice Giulia Giuffré, esperta relazioni sindacali Elisabetta Fugazza.

Esperti alla promozione per la diffusione della ricerca presso aziende italiane: dott. Carmelo Aristia, d.ssa Anna Sciortino, d.ssa Laura Piccolo, dott. Jonathan Morello Ritter, on. Giuseppe Catania, d.ssa Rosellina Amoroso.

Autorità e protagonismo femminile: un percorso da reinterpretare. Conferenza a Roma su Donne di Governo – La novità storica

Se l’attuale legislatura ha riconosciuto una donna capo del Governo in Italia, occorre chiedersi se tale risultato produrrà un avanzamento dell’autorità delle donne. Questo il focus del convegno Donne di Governo – La novità storica. “L’avanzata dell’autorità delle donne” organizzato il 28 ottobre a Roma presso Palazzo Valentini insieme alla Scuola di Alta Formazione Donne di Governo con il patrocinio della Consigliera di Parità della Città metropolitana di Roma Capitale, Gianna Baldoni. Giunto alla quarta tappa di un ampio percorso nazionale, hanno partecipato all’evento, donne elette, donne a servizio della comunità che condividono responsabilità politiche e amministrative.

Conferenza Donne di Governo – La novità storica

Il convegno oltre a suggerire visioni concrete, ha raccolto i frutti espressi in Lombardia, Marche ed Emilia-Romagna cui hanno aderito oltre 190 donne impegnate in politica e nelle istituzioni per riaccendere un dialogo sul significato di come governare in libertà e in fedeltà al proprio sentire. Le riflessioni sono state affidate ad Annarosa Buttarelli e Luana Zanella, direttrice scientifica e alla presidente della Fondazione Scuola di Alta Formazione Donne di Governo che hanno dialogato con le partecipanti alla loro prima esperienza da elette.

Dalle donne una politica relazionale. Analizzare e saper leggere la realtà

La tappa romana non si è limitata a narrare il valore della presenza femminile ma rinnova il concetto di autorità radicato nella differenza delle donne. Il percorso – secondo le relatrici – deve essere intercettato in un momento storico dove occorre mantenere alta la rete delle relazioni che sostengono l’agire politico femminile nella convivenza. È determinante promuovere ciò che è stato seminato nel corso della storia per concretizzarsi nella capacità politica di pensare. L’Italia non può dimenticare che la carta delle donne è stata una tappa riconoscibile – distante dal significato di parità e quote – ma espressione di un sentimento di trasformazione; facoltà di analizzare e leggere la realtà. Questi passaggi genealogici sono inevitabili per recuperare e cogliere il protagonismo femminile, renderlo di qualità e far sì che diventi patrimonio comune con la prospettiva “di strappare il popolo dal populismo”. Per avviare la transizione serve una politica relazionale in grado di riconciliare il sentire popolare, dare voce a chi non ha voce, tenere uniti corpo e mente, sentimenti e vita quotidiana. Le donne nel loro DNA hanno la forza di creare nuove chance; riordinare le relazioni sociali, portare ad un altro livello il conflitto tra donne e uomini che non sia solo quello della gestione del potere.

Gianna Baldoni, Consigliera di parità Città metropolitana di Roma Capitale

Più impegno per i lavoratori della Città metropolitana di Roma Capitale

Un’attenzione particolare va restituita alle lavoratrici e ai lavoratori impegnati nella Città Metropolitana poiché nel tempo l’interesse per questi lavoratori è diminuito dal lato amministrativo e personale. Secondo analisi condotte su scala nazionale dalla Fondazione, le sindache rappresentano il 33.2% sul totale di 2.659 persone e nella città metropolitana su 121 Comuni, solo 13 sono amministrate da donne. I dati mostrano che è necessario agire all’interno dei Comuni e per quanto attiene Roma occorrono interventi mirati alla formazione affinché le donne siano più presenti nel governo delle città. L’importanza delle funzioni che le donne rivestono nelle aree dell’amministrazione o ruoli politici è stato oggetto di studio dell’università di Boston dal quale si evince che le donne risultano meno corruttibili, più ponderate e perseveranti nel valutare i processi che sottostanno agli atti che riguardano i lavori pubblici. La ricerca ha indicato che il 22% delle donne con ruoli di rilievo, ha minore probabilità di essere indagata, abbassando il coefficiente di corruzione. Ciò mostra che le donne sanno gestire meglio le situazioni delicate oltre ad essere portatrici di valori quali la famiglia e cura dei figli.

Livia Turco, politica italiana

Decalogo del buon Governo

Le donne che ricoprono ruoli di potere devono rispondere a determinate regole per realizzare un buon governo. Livia Turco indica un decalogo, una “cassetta degli attrezzi” fatta di conoscenza del territorio in cui si vive, consapevolezza della carta delle donne, capacità di ascolto nella gestione dei tavoli di lavoro, autorevolezza, responsabilità nella scelta e rispetto dei tempi delle decisioni politiche in relazione alla vita delle persone. Essenziale è non delegare i procedimenti amministrativi agli uffici competenti, poiché ogni provvedimento deve essere accompagnato da valutazione e monitoraggio. Questa funzione spetta anche ai cittadini giacché essi non si limitano a conquistare le leggi ma hanno l’onere di verificare quanto viene applicato per restituire il risultato delle attività compiute. 

Un errore della politica non aver intercettato il bisogno delle donne

Dalle recenti elezioni è emersa una totale assenza sul tema di genere; infatti, una percentuale significativa di donne non è andata a votare, e nello spostamento dei flussi da sinistra a destra, sono emersi segmenti di società riconducibili anche al mondo della rappresentanza sindacale. Dei 18 milioni di persone che non hanno votato, c’erano precari, giovani, operai e fasce fragili della popolazione non intercettate dalla politica. Tra le cause della migrazione dei voti, sicuramente una comunicazione identitaria che ha riconosciuto nell’attuale premier una coerenza nelle azioni su più livelli. Un messaggio frutto di una decisione ponderata; segmentare la popolazione e incapacità di cavalcare il bisogno delle donne. Quest’ultima scelta si può cogliere negli investimenti dedicati alle infrastrutture all’interno del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che per le donne significa mancanza di servizi come asili nido, reti sociali, etc. In sintesi, è necessario adottare un meccanismo complesso partendo dalle esperienze personali per guardare al collettivo nella sua totalità. Politica, istituzioni, scuola e rappresentanza sindacale devono trovare lo slancio per stare insieme, fare rete attraverso la capacità di ascolto partendo dalle donne.

Elena Bonetti, deputata Camera dei deputati

Re-interpretare le regole come fu per le madri costituenti

Per Elena Bonetti bisogna riconoscere l’esistenza di regole obsolete nella gestione del potere e re-interpretare gli spazi per rendere competitivo l’esercizio dello stesso. Un altro modo è esercitare un ruolo che modifichi le regole del gioco – come fu per le madri costituenti – stabilendo un cambio di paradigma, trasformare il concetto di potere in concetto di potenza. Le funzioni delle donne devono essere riconosciute in tutte le specificità; capacità di attivare un’energia che altrimenti viene inespressa in una società dove esiste un elevato potenziale economico per competenza e talenti. Per una giusta rappresentanza è necessario attivare processi selettivi per uomini e donne, in grado di incidere in ambito pubblico, nelle aree regionali, nelle autorità di vigilanza per arrivare ai membri del parlamento. È inoltre indispensabile definire processi di partecipazione paritari in tutti i contesti democratici, al contrario si ripeterà un’inerzia storica in cui prevale il maschile sul femminile. Il precedente governo aveva introdotto la certificazione per la parità di genere, strumento volontario per le aziende in grado di promuovere la leadership femminile con il quale si offriva alle imprese vantaggi secondo un principio di premialità. L’impegno delle donne oltre ad essere a livello parlamentare, nella società civile e nell’amministrazione, deve orientarsi verso l’attivazione di processi di investimento per l’empowerment femminile che oltre ad essere un segno di giustizia è un atto di convenienza per l’intero Paese.

Cristina Montagni

Relatori alla conferenza Donne di Governo. La novità storica

Gianna Baldoni, Consigliera di parità della Città metropolitana di Roma Capitale, Tiziana Biolghini, Consigliera delegata alle pari opportunità di Città Metropolitana Roma Capitale, Svetlana Celli, Presidente Assemblea Capitolina, Lorenza Bonaccorsi, presidente primo municipio, referente Pari Opportunità di ALI, Tina Balì, Segretaria Nazionale FLAI CGIL, Elena Bonetti, deputata alla Camera dei deputati, Livia Turco, politica italiana. Per il gruppo di coordinamento della rete La novità storica, Donatella Albini, Alessia Cappello, Andrea Catizone, Maria Rosa Conti, Giovanna Piaia e Francesca Zajczyk.

Diritti delle ragazze dalla Piattaforma di Pechino alla parità. Dialogo con la Women Federation for World Peace e Ufficio del Parlamento Europeo in Italia

“Essere ragazze oggi: difficoltà ed opportunità”. E’ il tema della conferenza organizzata dalla Women Federation for World Peace insieme all’Ufficio del Parlamento Europeo in Italia per il 30esimo anniversario della federazione al fine di promuovere la cultura della pace valorizzando le peculiarità femminili e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Nella Giornata Internazionale delle bambine e delle ragazze, l’evento del 13 ottobre a Roma ha sottolineato le difficoltà che le donne affrontano nel mondo nonostante le sfide e la confusione dei valori.

All’incontro hanno partecipato, Carlo Corazza, capo ufficio del Parlamento Europeo in Italia, Silvia Sticca, avvocata esperta in criminalità organizzata e vicepresidente Ass. 7Colonne, Virginia Vandini, presidente Ass. Il valore del femminile, Elena Centemero, Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, Barbara Schiavulli, direttrice di Radio Bullets, Maria Gabriella Mieli, vicepresidente WFWP Italia, Souad Sbai, presidente Acmid-Donna Onlus Ass. Donne marocchine, Maria Pia Turiello, criminologa forense ed Elisabetta Nistri, presidente WFWP Italia.

Giustizia, uguaglianza e libertà. Diritti ancora negati

Carlo Corazza, capo ufficio Parlamento Europeo in Italia

La dichiarazione di Pechino del 1995 fissa le regole in tema di diritti delle ragazze, successivamente il 19 dicembre 2011 l’Assemblea delle Nazioni Unite adotta la risoluzione 66/170 che stabilisce l’11 ottobre la Giornata Internazionale delle Bambine con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione ad una maggiore consapevolezza sulle sfide che affrontano nel riconoscere i propri diritti. Molte ragazze nel mondo sono vittime di stereotipi ed esclusione, alcune vivono in condizioni di disabilità ed emarginazione nonostante l’impegno ad abbattere le barriere per raggiungere la parità di genere ed un futuro migliore. La conquista dell’uguaglianza, libertà ed emancipazione rientra nei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile; solo garantendo tali diritti le ragazze potranno acquisire giustizia ed inclusione, un’economia equa e un futuro condiviso.

Sfruttamento e abusi sulle donne. Quali strategie contro le discriminazioni

La vita delle donne in alcune aree della terra è critica perché legata a fenomeni di sfruttamento e abusi. Il richiamo alla giornata internazionale nasce dalla consapevolezza che occorre proteggerle sin dall’infanzia per tutelarle da ogni forma di discriminazione. Questo assioma – recepito dalle Nazioni Unite – viene ricordato ogni anno dagli Stati perché portatore di un forte messaggio di sensibilizzazione. All’interno della Convenzione di Pechino è presente un capitolo che riguarda le bambine considerandole un valore strategico ai fini dell’integrazione, emancipazione, sviluppo economico-sociale, istruzione e salute delle donne. Inoltre, è attivo un comitato Onu che esamina i progressi compiuti dagli Stati sull’attuazione dei diritti dei minori, l’Italia produce report che vanno nella stessa direzione e l’Europa si impegna ad indicare direttive strategiche per rafforzare l’attuazione degli stessi.

Dipendenza dai social. Adolescenti privi di interessi fuori dalla realtà virtuale

Nel 2021 è stato osservato il tema delle fake news intervistando 26mila adolescenti provenienti da vari paesi dove è emersa la difficoltà di distinguere informazioni vere da quelle false provenienti dalla rete. La complessità del tema ha portato alla luce problemi di salute mentale, sconforto e bassa autostima. La materia relativa ai social interessa soprattutto giovani; infatti, nel 2022 sono emerse situazioni allarmanti dove in futuro sarà necessario intervenire con strumenti legislativi dedicati prendendo come esempio le linee adottate dalla Norvegia e Inghilterra. L’indagine ha mostrato che l’85% delle ragazze tra i 12 e 16 anni utilizza filtri o schermi per modificare i tratti del viso, cambiare identità e pubblicizzare un’immagine distorta che provoca azioni perverse intorno alle quali è difficile sottrarsi a meccanismi distruttivi. Questi fenomeni provocano una forte de-realizzazione e de-socializzazione che tende a separare il proprio io dalla realtà, compromettendo le relazioni personali come l’incapacità di coltivare i propri interessi al di fuori della realtà virtuale.

Bassi livelli di scolarizzazione danneggiano salute e autoimprenditorialità    

Secondo stime Unicef, l’analfabetismo nel mondo si attesta a 132milioni di ragazzi; 35milioni non frequentano le scuole elementari e 97milioni le medie. Questi dati raccontano che i giovani costretti a vivere situazioni di conflitto, spesso sono esclusi dal sistema educativo. L’Unicef ricorda che dei 781milioni di analfabeti nel mondo, 2/3 sono donne che vivono in regioni rurali dove le famiglie tradizionali isolano le figlie per destinarle ad un matrimonio precoce, contribuendo a mantenere basso il livello d’istruzione, peggiorando le condizioni di salute e quella dei figli che nasceranno malnutriti. L’istruzione incide inoltre sulla capacità delle donne di intraprendere una propria attività; la scuola, quindi, oltre ad essere un luogo sicuro, protegge dalla violenza e dalle mutilazioni genitali femminili.

L’Italia cresce con patti educativi di comunità

In Italia secondo rapporti Istat, Eurostat ed OCSE, emerge che il 49% delle donne possiede il diploma e il 29% consegue un titolo accademico. Quest’ultimo dato però non produce effetti positivi sull’occupazione perché le ragazze non sono indirizzate alle materie STEM (settori ad alto valore professionale) in grado di generare nel tempo maggior reddito. Le ragazze che frequentano facoltà non scientifiche avranno un futuro più incerto, lavori intermittenti, part-time, basse retribuzioni che andranno ad incidere sulle pensioni future. Il ministero dell’istruzione italiano deve quindi adottare una visione sistemica; mettere in atto patti educativi di comunità, co-progettazione tra scuole, enti locali, associazioni del terzo settore al fine di coinvolgere studenti e docenti per una buona pratica educativa.

I social non vanno demonizzati

Attualmente possiamo acquisire informazioni da diverse parti nel mondo grazie alla rete. Si pensi ad esempio alla situazione delle iraniane che convintamente stanno protestando per raggiungere una libertà oramai compressa da anni. La rete è un “veicolo” potente che offre la possibilità di interfacciarsi con il mondo, inviare richieste di aiuto, documentare con immagini e video una realtà spesso distorta o mistificata dalla propaganda. Questo è il lato positivo dell’informazione che denuncia fatti in violazione dei diritti umani. La giornalista Barbara Schiavulli di Radio Bullet – esperta di conflitti di guerra, esteri e diritti umani – ha raccontato attraverso esperienze sul campo, storie di donne e ragazze private dei diritti più elementari, storie dove l’apartheid di genere è diffuso, dove la soglia di povertà raggiunge il 98% e ogni diritto è calpestato: divieto di cantare, indossare un profumo, scegliere il marito, lavorare, etc. Queste donne, afferma Schiavulli, costrette a vendere i propri figli per pagare l’affitto di casa, mangiare e sopravvivere, meritano giustizia e dignità.

Violenza assistita subita dai minori

Maria Pia Turiello, criminologa forense

Esistono diverse tipologie di violenza che si manifestano all’interno della famiglia, una riguarda il maltrattamento dei minori che può essere fisico, psicologico e sessuale. C’è anche la violenza assistita che obbliga i bambini ad assistere ai maltrattamenti; atti di violenza fisica, verbale e psicologica che subisce la donna all’interno delle mura domestiche. Questo fenomeno – spesso sommerso – riguarda il 19% dei minori maltrattati che vengono successivamente presi in carico dai servizi sociali. Nel 2011 la Convenzione di Istanbul definiva a livello internazionale un ampio quadro giuridico al fine di proteggere le donne da ogni forma di maltrattamento, dove veniva riconosciuto che anche i bambini sono vittime di violenza domestica perché testimoni all’interno della famiglia. Nonostante ciò, queste leggi non vengono mai prese in considerazione. È vero che i figli non sono direttamente interessati, ma assistere ad atti violenti nei confronti di un genitore produce gravi conseguenze psicologiche, compromette lo sviluppo del minore, conduce a disturbi alimentari e talvolta il suicidio. I ragazzi crescendo diventeranno violenti e avranno relazioni malate dove l’unico sentimento che riconoscono è la forza che diventerà normalità.

Mission della WFWP Italia

Elisabetta Nistri, presidente WFWP Italia

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres durante la Giornata Internazionale delle bambine e delle ragazze ha dichiarato: “Ora più che mai dobbiamo rinnovare il nostro impegno a lavorare affinché le ragazze esercitino i loro diritti e possano svolgere un ruolo pieno ed eguale nelle loro comunità e società. Investire nelle ragazze significa investire nel nostro futuro comune”. Gli investimenti nei diritti delle ragazze sono ancora limitati ed esse continuano ad affrontare sfide per realizzare il loro potenziale aggravato dai cambiamenti climatici, pandemie, conflitti per una migliore istruzione, benessere fisico-mentale e una vita senza violenza. La federazione WFWP Italia ha come obiettivo principale restituire centralità agli individui, lavorare sulle relazioni, dare potere alle donne attraverso l’istruzione, creare un ambiente di pace e benessere per le persone di tutte le razze, culture e credi religiosi. Numerosi sono i progetti realizzati negli anni grazie ai gemellaggi con scuole straniere ed ambasciate insieme al sostegno di esperti ed ambasciatori di pace per coordinare programmi educativi in Italia e all’estero centrati sull’adolescenza. Infine, oggi è più che mai necessario stringere rapporti e legami duraturi con i governi affinché ciò che è stato siglato venga approvato ed ovunque applicato.

Cristina Montagni

A Roma la Corte Suprema di Cassazione apre alla I° Conferenza Nazionale su “L’Eccellenza è Donna”

Storie di donne eccellenti, esperienze uniche, insieme per arrivare all’equilibrio di genere che non è la quota, né la parità salariale ma interessa temi più ampi che investono l’intera società. Così l’Alta Corte di Cassazione di Roma, il 30 giugno per la prima volta ha aperto le porte alla I° Conferenza Nazionale sul tema “L’Eccellenza è donna”.

Corte Suprema di Cassazione – I° Conferenza Nazionale su “L’ECCELLENZA E’ DONNA”

Il talk diviso in tre panel, organizzato dall’Associazione 7 Colonne e Tutti Europa 2030, grazie all’intuito delle organizzatrici, Silvia Sticca e Francesca Romana D’Antuono, hanno indicato le strategie per realizzare l’equilibrio di genere e il valore della lobby per tradurre le istanze femminili in linguaggio politico con azioni di pressione sulle istituzioni. Dal focus “Esperienze” sono emerse le qualità femminili per raggiungere traguardi spesso privilegio degli uomini. Nel panel “Donne, Pace e sicurezza” le oratrici hanno conversato sul ruolo di leader nelle comunità e in “Associazione ed attivismo” è emersa la spinta dal basso delle associazioni per ottenere la parità di genere. Il fil rouge di rappresentanti del mondo accademico, giurisprudenza, pubblica amministrazione ed economia è stato il target 5 dell’Agenda ONU e la Risoluzione n. 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su “Donne, Pace e sicurezza”, che ha sottolineato la capacità di essere “agenti di cambiamento” nei processi di pace nelle aree di conflitto (missioni internazionali, mediazione, negoziazione, costruttrici di pace) e leader indiscusse nella scena pubblica.

Il faticoso cammino delle donne divise fra stereotipi e carriere eccellenti

Essere donna e giudice fa la differenza in senso positivo, ma in passato i traguardi professionali erano subordinati agli impegni familiari soprattutto in tempi dove esistevano marcate asimmetrie di trattamento, senza dimenticare che nel diritto di famiglia vi erano disparità tra moglie e marito, figli illegittimi e naturali, coniugi e conviventi. L’emancipazione passa per la capacità di mediare situazioni ostili e consente ai giudici di assolvere al ruolo fisiologico di mediatori, tra astrattezza, semplificazione e complessità per raggiungere un risultato favorevole. Gli ostacoli nella carriera nascono dalla mancanza di servizi a supporto della famiglia, occorre uscire dagli schemi, fare squadra per conquistare il giusto posto nella società. Attualmente stereotipi nei settori della scienza e ricerca sono evidenti, ma le donne che ce l’hanno fatta possono dedicarsi al mentoring, affiancare le giovani studiose nel trasferire consigli, informazioni ed esperienze. Un rapporto che non termina con l’apprendimento ma dura nel tempo soprattutto per chi è orientato alla ricerca. In questo contesto pregiudizi e stereotipi vanno superati soprattutto se si guarda alla carriera forense il cui gap uomo-donna tocca il 50%. Per agevolare le pari opportunità bisogna sostenere la maternità in un’ottica sistemica, incidere sulle competenze ed occupare spazi a lungo negati.

A sinistra Drssa Maria Pia Turiello, al centro Drssa Elisabetta Nistri, a destra Drssa Asmae Dacian

Diplomatiche e costruttrici di pace e stabilità

Nell’attuale contesto storico è necessario far fronte alle crisi internazionali e riflettere sul peso delle donne nei processi di pace. Tema nodale cui è impegnata la comunità internazionale; dalle Nazioni Unite alle organizzazioni regionali, dai singoli Stati alla società civile. Davanti al cambiamento le donne mostrano sensibilità nell’affrontare situazioni avverse, una naturale capacità di resilienza rispetto agli eventi traumatici; la forza di ricostruire sé stesse, la propria famiglia, la comunità di appartenenza partendo dalle radici per crescere e generare vitalità. Nel mondo le donne sono protagoniste nei processi di ricostruzione per evitare i conflitti, risorsa determinante per garantire pace e sicurezza nelle fasi di prevenzione e ricostruzione negli eventi post bellici. La presenza femminile nei processi decisionali è risolutiva nell’attuare soluzioni diplomatiche di lungo periodo soprattutto nelle aree di maggiore instabilità; perciò, stimolare la loro leadership significa andare oltre la parità di genere. Più donne vengono coinvolte in Parlamento e nella società civile, minori sono i livelli di violenza e rischi di guerre con la conseguenza di un calo nelle violazioni dei diritti umani in Paesi in cui la legge non è uguale per tutti.

Donne offese e depredate dei diritti fondamentali

Per comprendere la genesi dei conflitti occorre analizzare le radici del fenomeno e cosa ne ha impedito il naturale processo di dialogo. Nel mondo le ostilità sono quasi sempre asimmetriche; si consumano a scapito delle popolazioni deboli e in aree dove esiste già una violazione dei diritti umani. Le donne private dei principali diritti, istruzione, salute fisica e psichica, lavoro, casa etc pagano un alto prezzo in termini di abusi, matrimoni precoci, privazioni e vessazioni anche dalla famiglia di origine. Sostenere la pace è uno status in cui ogni cittadino si impegna a rispondere ai propri doveri e vedere riconosciuti i propri diritti iniziando dalle relazioni sociali, famiglia e accesso all’educazione. Quest’ultima condizione consente a bambini e bambine di comprendere i valori umani quali rispetto e dignità degli individui. Si pensi alle violenze subite da migliaia di donne e ragazze afgane cui viene negato l’accesso all’educazione, al lavoro, alle cure sanitarie condizionando la loro intera esistenza.

Avv. Silvia Sticca, Vice Presidente Associazione 7 colonne

La doppia faccia del diritto negli scenari di guerra

Spesso si afferma che nei Paesi in via di sviluppo le guerre sono combattute con le armi mentre in quelli sviluppati sono accompagnate da leggi ingiuste, sistemi sociali iniqui che terminano in una marcata violazione dei diritti fondamentali. Durante i conflitti i diritti sono apertamente violati, ed è proprio in Europa che il diritto ha subito nella collettività mutamenti socio-economici attraversati dalle globalizzazioni. All’interno di questi scenari si insinua la guerra normativa, una guerra che impiega la legge come arma per raggiungere scopi illegittimi, sfocia in mutamenti psicologici ed un uso arbitrario del diritto che illegalmente si sostituisce ai giudici e ai tribunali. Sebbene in questi ultimi trent’anni si è discusso di una guerra economica, poco si è parlato di quella normativa che ha prodotto un corredo legale impiegato da Stati, privati e settori pubblici per realizzare protocolli di intesa, accordi e regolamenti e consolidare posizioni strategiche sul mercato globale. Queste analisi derivanti dalla guerra normativa, non possono non affiancarsi a quelle giuridiche. Alcuni Paesi, infatti, per contrastare l’abuso del diritto hanno adottato norme ad hoc per tutelare importanti comparti strategici sviluppando una propria politica estera, mentre quelli che hanno abbattuto le barriere legali – per poi accorgersi dell’inefficacia delle leggi nazionali – hanno compromesso la propria autonomia, l’industria strategica, la stabilità interna e l’intero sistema democratico.

Cristina Montagni

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE  DI ROMA - I° CONFERENZA NAZIONALE “L’ECCELLENZA E' DONNA”

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE DI ROMA – I° CONFERENZA NAZIONALE “L’ECCELLENZA E’ DONNA”

Alla conferenza sono intervenute: Avv. Silvia Sticca; Dott.ssa Maria Pia Turiello; Drssa Francesca Romana D’Antuono; Drssa Adelaide Amendola; Prof. Paola Balducci; Drssa Marica Caldarulo; Drssa Ivana Vaccari; Drssa Sveva Avveduto; Avv. Irma Conti; Drssa Cristina Di Silvio; Drssa Margherita Romanelli; Drssa Elisa Ercoli; Drssa Maria Ludovica Bottarelli; Drssa Gaia Van Der Esch; Drssa Annamaria Nassisi; Drssa Sabrina Zuccalà; Drssa Maria Pia Turiello; Drssa Asmae Dacian; Drssa Elisabetta Nistri; Generale A.M. Michele Scillia; Drssa Solange Manfredi; Drssa Dafne Carletti. Tra i partner alla conferenza, con le relative rappresentanti, hanno aderito la Bocconi Business School, Differenza Donna, Women20 (official G20 engagement group focused on gender equity), G20 Empower, Donne in Vaticano, la Federazione italiana donne arti professioni e affari, l’European women’s lobby, Women in International Security, Tra le Donne, MovimentoBlu, Istituto Italiano per lo studio delle politiche ambientali e lo United States Foreign Trade Institute.

Osservatorio 4.Manager. Certificazione di genere modello virtuoso pensato per le imprese

Con 63,5 punti su 100, l’Italia si colloca al 14esimo posto fra i paesi UE per indice di uguaglianza di genere, questa è la classifica diffusa dalla European Institute for Gender Equality (EIGE). Per superare il gender gap nelle aziende un aiuto arriva dalla certificazione della parità di genere che avrebbe un impatto positivo sul PIL dal 9 all’11% e stimolerebbe le aziende a adottare sistemi di policy per attivare cambiamenti virtuosi urgenti e necessari.

La priorità per l’Italia è ridurre le disuguaglianze di genere. Attualmente il tasso di occupazione si attesta intorno al 50%, inferiore alla media europea che si associa ad una esigua crescita nelle carriere apicali; poche le donne ai vertici di organizzazioni, aziende, società quotate e non quotate come amministratori delegati o presidenti di società. Studi internazionali (OCSE, Fondo Monetario) hanno rilevato quanto il progresso economico dipenda dalla componente femminile, quindi, non si può non tenere conto del loro coinvolgimento nel mercato del lavoro. La parità di genere è un asset strategico (obiettivo 5 del PNRR) e costituisce la visione di una società più equa. Di questo e altro si è parlato al workshop Politiche di genere per imprese e manager. Azioni e strumenti svolto il 28 giugno a Roma nella sede di Confindustria, organizzato da 4.Manager e Federmanager. Focus del seminario la certificazione di genere per le imprese (parità contributiva legge 132/2021), valore della certificazione per le aziende e sostegno all’empowerment femminile partendo dalla conciliazione famiglia e lavoro. Per rispondere agli interrogativi l’Osservatorio Federmanager ha condotto uno studio analizzando i trend economici e di mercato con l’obiettivo di identificare le equità di genere in campo manageriale nel nostro Paese.

Risultati Osservatorio Federmanager sul gender gap e imprenditoria femminile in Italia

L’equità di genere non è solo un tema di diritti; dal G7 alla COP26 è emerso il concetto che non è possibile pensare ad una economia basata sulla sola presenza maschile. L’Osservatorio 4.Manager ha monitorato il numero di donne imprenditrici durante tutto l’anno con la conseguenza che oggi in Italia le posizioni manageriali femminili rappresentano il 28% del totale e si riducono al 19% se le attività sono regolate da un contratto da dirigente, con un incremento annuo dello 0,3% negli ultimi 10 anni. L’analisi elaborata su un campione di 6mila aziende manifatturiere italiane ha puntualizzato che il 14% sono a conduzione femminile e il 79% a conduzione maschile. Le imprese a guida femminile operano nel tessile per il 21% e si concentrano nel sud Italia per il 19%. Dall’Osservatorio emerge che le imprese femminili nel comparto manifatturiero hanno un basso tasso di innovazione ma una elevata propensione alla transizione sostenibile: solo il 12% delle imprese è innovativa contro l’88% delle maschili, mentre il 66% delle imprese femminili ha maggiore propensione alla transizione sostenibile contro il 34% delle maschili.

Proiezioni del Piano Strategico Nazionale 2021-2026

All’interno del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) il Governo ha introdotto un capitolo per contrastare le discriminazioni nei confronti delle donne, annunciando l’adozione di un Piano Strategico Nazionale 2021-2026, allineandosi così alla Commissione europea che si pone entro il 2026 l’incremento di 5 punti nella classifica stilata dall’EIGE. In questo scenario rientra la legge sulla parità retributiva (1° gennaio 2022) che stabilisce un Sistema Nazionale di Certificazione di Genere dove il PNRR mette a disposizione 10 milioni di euro per sollecitare le imprese ad intraprendere policy mirate per ridurre il divario nei settori più critici come opportunità di carriera, parità salariale, politiche di gestione delle differenze di genere e tutela alla maternità. Chi possiede la certificazione ha diritto ad uno sgravio dell’1% sui contributi fino a 50mila euro l’anno; strumento dunque innovativo che premia le aziende con la possibilità di ottenere finanziamenti pubblici e consente un migliore posizionamento nei bandi di gara per l’acquisizione di servizi e forniture. Questo sistema – osserva l’Osservatorio – è visto positivamente per le aziende avviate alla transizione sostenibile che ne riconoscono i benefici. Infatti, il 31% delle imprese utilizza piani di lavoro mirati; si tratta di interventi sulla genitorialità (15,7%), formazione (13,9%), parità nei ruoli apicali (13%)e parità salariale (8,3%). In sintesi, il 69% e il 57% delle grandi e piccole imprese avviate alla transizione già conoscono il Sistema di Certificazione della parità di genere. Fra gli elementi apprezzati della Certificazione spicca la reputazione aziendale 65%; clima aziendale 59%; riduzione del divario di genere nell’impresa 42%; benefici fiscali 22%; benefici alla partecipazione di gare d’appalto 11% e benefici all’accesso nel credito/capitali 7%.

Certificazione di Genere, strumento innovativo non un bollino rosa

Il 1° luglio 2022 è stato pubblicato il decreto della Ministra Bonetti che recepisce le “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di indicatori chiave di prestazione (Key Performance Indicator) inerenti alle politiche di parità nelle organizzazioni” e i requisiti minimi per ottenere la certificazione alle imprese. Un passo verso la costituzione di un Sistema nazionale di certificazione che mira ad incentivare le imprese a adottare policy adeguate per ridurre il divario.

Elena Bonetti, Ministra delle Pari Opportunità e Famiglia

“Abbiamo scelto di investire nel lavoro femminile e accompagnare le imprese: la certificazione per la parità di genere, strumento innovativo, attiverà nuove pratiche di carattere aziendale ed offrirà opportunità alle donne. Non possiamo permetterci di lasciare in panchina le competenze e i talenti femminili: liberarli non è soltanto giusto ma necessario ed è la strada che il governo ha deciso di intraprendere per far crescere il Paese” ha commentato Elena Bonetti. Aggiunge che ai fini del coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e consiglieri territoriali e regionali di parità, il datore di lavoro ha l’onere di fornire un’informativa aziendale sulla parità di genere per consentire i controlli e le verifiche per il mantenimento dei parametri minimi e l’ottenimento della certificazione alle imprese. “La certificazione non è un bollino rosa” ha sottolineato la Ministra “ma uno strumento innovativo che produce effetti migliorativi nell’impresa, un meccanismo premiale per accedere ai fondi del PNRR”

Certificazione di Genere, modello virtuoso che premia competenze e talenti femminili

Stefano Cuzzilla, Presidente 4.Manager e Federmanager

“L’attuale crisi bellica ed energetica ha accentuato le disuguaglianze economiche e sociali escludendo le donne dal lavoro con ricadute negative su tutto il comparto produttivo delle aziende, quindi, una delle sfide del Paese sarà ridurre questo divario” ha commentato Stefano Cuzzilla. “Il divario retributivo e il miglioramento dei tempi di vita-lavoro” ha detto “sono temi non rinviabili, ma per realizzare ciò servono le competenze delle donne e un sistema organizzativo in grado di valorizzarle. La Certificazione di genere rappresenta la strada maestra per mettere in moto un meccanismo virtuoso nelle aziende, un modello di business nuovo con ricadute positive sulla disparità di genere”. Infine, ha aggiunto “le aziende con una governance mista sono più competitive, reagiscono meglio alle crisi e un migliore equilibrio di genere tende ad aumentare il Pil”.

Pina Picierno, Vicepresidente Parlamento Europeo

“Guerra, crisi energetica, stagnazione avranno impatti negativi se non si accelerano le riforme definite dal PNRR” ha commentato Pina Picierno. “La chiamata alla mobilitazione intorno a questi temi deve essere nazionale ed europea. Di recente la notizia dell’approvazione – dopo dieci anni di stallo – della direttiva europea “Women on boards” per garantire parità di genere tra i consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, un passo in avanti per le donne nel mercato del lavoro”.

“La certificazione di genere” ha spiegato Catizone “è uno strumento virtuoso, pensato per innescare meccanismi dinamici nei processi aziendali che generano valore economico, favoriscono il superamento delle disparità creando una cultura aziendale e manageriale che armonizza il principio delle pari opportunità”.

Relatori: Elena Bonetti – Ministra delle Pari Opportunità; Stefano Cuzzilla – Presidente 4.Manager e Federmanager; Andrea Catizone – Avvocata e presentazione dello studio “Imprese e parità di genere”; Pina Picierno – Vicepresidente del Parlamento Europeo; Francesca Bagni Cipriani – Consigliera Nazionale di Parità; Giuseppe Torre – Responsabile scientifico Osservatorio 4.Manager; Giuseppe Rossi – Presidente Ente Italiano di Normazione e Fulvio D’Alvia – Direttore Generale 4.Manager.

Cristina Montagni

Cultura e parità: Valeria Fedeli in Senato per combattere stereotipi e pregiudizi

A novembre a Roma presso il Senato della Repubblica si è svolta la conferenza stampa “Ricerca e formazione sugli stereotipi di genere in Italia: prevenire le discriminazioni, educare alla cultura paritaria” nell’ambito della presentazione del volume “Stereotipo e pregiudizio. La rappresentazione giuridica e mediatica della violenza di genere”.

La ricerca curata dalla prof.ssa Flaminia Saccà e finanziata dal dipartimento Pari opportunità in attuazione della Convenzione di Istanbul, è stata realizzata dall’università degli Studi della Tuscia in partnership con l’associazione Differenza Donna. All’incontro hanno partecipato oltre alla promotrice dell’evento la senatrice Valeria Fedeli e la prof.ssa Flaminia Saccà, l’assessore alla Cultura del Comune di Roma, prof. Miguel Gotor e la rettrice dell’università La Sapienza di Roma Antonella Polimeni.

Il volume nasce da un’attenta analisi dei dati per restituire un quadro dettagliato sugli stereotipi e sui pregiudizi da cui si origina la violenza di genere. L’indagine focalizza il tema della violenza sulle donne in due ambiti differenti: il linguaggio adottato dai giudici nelle sentenze e il linguaggio utilizzato nella stampa mostrando così come il discorso pubblico sia caratterizzato da una presenza strutturale di pregiudizi e stereotipi radicati sia nelle aule dei tribunali che nelle testate giornalistiche.

Flash incidenza delle risposte sulla violenza contro le donne

I reati presi in esame nella ricerca riguardano: violenza domestica, violenza sessuale, omicidio/femminicidio, tratta e riduzione in schiavitù di esseri umani e stalking. Da un quadro generale emerge che i maltrattamenti familiari rappresentano la metà dei reati di violenza contro le donne ma il pericolo si trova soprattutto all’interno della sfera domestico-familiare. Nel triennio 2017-2019 l’incidenza della violenza sulle donne per quanto attiene ai maltrattamenti familiari è passata dal 47% al 51% con un trend in crescita nel 2020 per effetto del lockdown dovuto dalla pandemia (fig.1-2-3).

Secondo la stampa il reato più diffuso è lo stalking con il 53,4%, segue l’omicidio/femminicidio con il 44,5%, mentre la violenza domestica registra una quota del 14%. Infine, i casi di stupro sarebbero meno del 10% tuttavia le denunce reali si attesterebbero a circa il doppio, 17.1% dei casi (fig.5). L’inchiesta della prof.ssa Saccà mostra come i giornali tendono a scegliere perlopiù fatti o eventi che fanno notizia, esempio lo stalking – reato meno grave fra quelli elencati – giacché suscita maggiore scalpore rispetto alla violenza consumata all’interno delle mura domestiche, ma rappresenta la reale persecuzione della condizione femminile. In sintesi, i media tendono a considerare il maltrattamento in famiglia quasi la norma, con il risultato che la violenza femminile è una narrazione senza colpevoli non mettendo a fuoco i fatti in cui la violenza “capita” e non è agita. Contro le donne – come si legge nello studio – viene posto un potente processo di omissione della realtà che da un lato favorisce i colpevoli dall’altra suscita sospetti sulle vittime esponendole ad una vittimizzazione secondaria e terziaria.

Rappresentazione giornalistica dell’uomo violento

La stampa tendenzialmente descrive l’uomo – autore del reato – un soggetto deviante, una persona violenta, aggressiva e pericolosa oppure un tossicodipendente o un pazzo. A questo identikit si aggiunge un immagine “semplice” e “mite” la cui violenza si scatena quando è in atto un evento che genera la perdita del controllo e, per la stampa, la violenza maschile viene indicata attraverso un frame di gelosia. Negli articoli il sentimento della gelosia viene accostato al disturbo psicologico e gli aggettivi usati per delineare questo status sono: morboso, malato, cieco, incontrollabile, eccessivo o patologico.

Sulle donne una narrazione deviata

Le donne non vengono considerate nemmeno quando sono maltrattate, stalkerate e stuprate. L’immagine femminile viene spesso descritta giovane, bella, moglie e madre riservandole un posto “accessorio” di secondo piano rispetto all’uomo, perciò senza personalità e propria autonomia. La rappresentazione della violenza femminile si snoda secondo due modalità: violenza vista come un fatto privato e come un problema culturale. Dal lato privato, il reato è consumato all’interno di un contesto chiuso, domestico o familiare che risiede nella sfera dei rapporti privati, dall’altra è considerato un atteggiamento oppressivo che investe trasversalmente uomini e donne di tutto il mondo.

Doppia valenza degli stereotipi e pregiudizi

Prof.ssa Flaminia Saccà-Ordinaria di Sociologia Univ. degli Studi della Tuscia

“Gli stereotipi” commenta Saccà “non si riconoscono, sono radicati in noi, e lo studio durato 3 anni ha cercato di metterli a fuoco attraverso un’analisi socio-linguistica su un repertorio di 16.715 articoli e 283 sentenze dove spicca la presenza non episodica di rappresentazioni della violenza in grado di generare una seconda vittimizzazione della parte offesa tendente a riprodurre un’immagine femminile stereotipata e discriminante”. L’analisi conferma che gli stereotipi funzionano, sono vivi nel tempo e restituiscono immagini distorte della realtà che si tramandano di generazione in generazione dovuti all’apprendimento di modelli che iniziano a zero anni e non finiscono mai. “Gli stereotipi” spiega la docente “possiedono una doppia valenza: da un lato sono bussole, dall’altra sacche di privilegio; quando si vuole “ammantare” una situazione di saggezza ereditata da un familiare, si stanno mantenendo dei privilegi e questi sono a favore di alcuni e a scapito di altri, in questo caso a scapito delle donne”. Occorre quindi combattere i privilegi con la formazione, là dove si formano professionisti/e che in futuro occuperanno ruoli nella giustizia, nella magistratura, tra le psicologhe, assistenti sociali, giornaliste e giornalisti. “Anche la stampa” commenta “descrive la violenza di genere in modo distorto: la donna viene raccontata come parzialmente colpevole di ciò che le capita e l’empatia nella narrazione viene manifestata per l’uomo e non per la donna vittima”. Infine, ha concluso Saccà “le leggi sono fondamentali ma è necessaria una cultura che le faccia vivere nella società affinché diventino patrimonio ed esperienza comune di tutte e tutti”.

Importanza del linguaggio e della formazione

Sen. Valeria Fedeli-Comm.ne parlamentare e vigilanza servizi radiotelevisivi

“La ricerca” ha commentato la senatrice Valeria Fedeli “offre ai decisori politici strumenti sui quali basare azioni di prevenzione in grado di contrastare la violenza di genere” inoltre pensa sia necessario mettere al centro l’importanza dei percorsi formativi, la funzione dell’istruzione, università e ricerca per eradicare dal punto di vista culturale la violenza femminile. “L’indagine” sostiene Gotor “mostra un’esasperata attenzione al linguaggio che riveste un ruolo primario nelle relazioni familiari, pubbliche ed interpersonali fra soggetti e un divario nella narrazione tra l’incidenza dei reati e lo spazio concesso dai giornali”. “Le leggi” dice Gotor “non bastano, serve una pedagogia, un progetto che intervenga sulla cultura perché la questione stereotipi e pregiudizi è viva ed è sovente prodotta all’interno del nucleo familiare”. “Dentro al linguaggio” prosegue “si nascondono filtri, modelli, ideologie che orientano l’interpretazione della realtà trasformando la donna vittima del proprio carnefice offrendo una rappresentazione colpevole narrata dalla stampa e dal sistema giudiziario dove anche una sentenza è portatrice di ideologie maschiliste”. La ricerca porta quindi alla luce un disallineamento tra le percentuali dei reati compiuti e lo spazio dedicato sui giornali come quello della violenza domestica.

Prof.ssa Antonella Polimeni Magnifica Rettrice
Univ. Sapienza di Roma

Azioni concrete dell’Università La Sapienza di Roma

Antonella Polimeni ha sostenuto la necessità di un cambio culturale ma questo deve passare per la formazione attraverso azioni quotidiane per contrastare il fenomeno. Per rispondere a questo bisogno La Sapienza ha organizzato un corso di interfacoltà di alta formazione contro la violenza di genere aperto a diplomati per conoscere e affrontare – dall’area medica a quella giuridica – il fenomeno. “Inoltre”, ha anticipato “l’anno prossimo sarà attivo un corso di laurea dedicato al Gender Studies, dove insieme all’apertura di uno sportello antiviolenza e al “reddito di libertà” garantirà un sostegno economico di 12 mesi alle vittime di violenza”.

Info progetto: https://www.progettostep.it/

Cristina Montagni