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UNITE TO ACT. Ispirata e dinamica la nuova campagna delle Nazioni Unite sugli SDGs dell’Agenda 2030

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Global Week to #Act4SDGs è la mobilitazione globale che si terrà durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dal 15 al 25 settembre per manifestare ai leader del mondo che le persone sono pronte ad agire sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. I principali focus di quest’anno si concentrano su clima, pace, uguaglianza di genere, inclusione e sistemi alimentari sostenibili.

Ispirata e dinamica è l’azione UNITE TO ACT sugli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per un futuro a zero emissioni entro il 2050, richiama il mondo alla consapevolezza, responsabilità e tempestività nel raggiungimento degli SDG dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. La campagna lanciata attraverso i canali multimediali è entrata nel vivo nonostante la comunità internazionale segnali ritardi preoccupanti nell’attuazione degli SDG. Infatti, secondo l’ultimo SDG Progress Report, il 50% della popolazione mondiale è lasciata indietro nel perseguimento degli obiettivi e più del 30% degli SDGs è “congelato” o addirittura regredito.

“UNITE TO ACT fa appello ai partner del mondo affinché contribuiscano a spingere sugli SDG nella vita reale di tutti”, così ha dichiarato Marina Ponti, Global Director della UN SDG Action Campaign. “Le attuali sfide trascendono dalla singola persona, governo o organizzazione; siamo impotenti come singoli individui, ma insieme siamo più forti”.

La campagna sfrutta le risorse social media open-source invitando individui, organizzazioni, settore pubblico e privato ad unirsi ad un cambiamento definitivo e sostenibile per il SDG. L’attività promuove lo strumento digitale ACTIVATOR che può essere utilizzato per comunicare l’impegno nei confronti degli SDG registrando la propria azione sulla mappa globale della UN SDG Action Campaign. Nel 2022, sulla piattaforma Global Map sono state registrate oltre 140 milioni di azioni e per il 2023 si prevede il superamento di 150 milioni di interazioni. L’azione viene supportata anche dall’attivazione di UN Act Now  e da un App digitale che accompagna verso un duraturo cambiamento sostenibile agli SDG.

Con questa mobilitazione le Nazioni Unite stimoleranno una rete di oltre 1.700 partner di tutto il mondo per impegnarsi sugli SDG in vista del prossimo vertice delle Nazioni Unite previsto a New York a settembre. Infatti, dal 15 al 25 settembre partiranno meeting e giornate di sensibilizzazione globali insieme ai partner chiave in occasione della settimana globale per #Act4SDGs sollecitando i leader mondiali ad un futuro sostenibile per tutti.

Con questa campagna si crede nella capacità degli uomini di trascendere dalle divisioni per unirsi e agire verso un futuro sostenibile per tutti”, ha concluso la signora Ponti. “L’iniziativa vuole essere un appello rivolto ai responsabili del cambiamento del mondo affinché si facciano avanti, si uniscano e prendano una netta posizione verso un futuro pienamente sostenibile”.

Cristina Montagni

Rapporto UNFPA 2023: Focus diritti delle donne e ragazze

La popolazione mondiale a novembre 2022 ha raggiunto la soglia di 8 miliardi, e i due terzi vive in luoghi dove il tasso di fertilità è sotto il “livello di sostituzione”, 2,1 figli per donna. Lo rivela l’ultimo rapporto del Fondo delle Nazioni Unite che analizza la situazione sotto diverse angolazioni; con gli occhi del passato poiché aver raggiunto quel valore è grazie ai progressi della scienza; diminuzione delle morti per parto, progressi nella salute, infanzia etc. L’avvenimento genera tuttavia una certa ansia demografica, perciò, è necessario disaggregare il dato poiché metà delle gravidanze nel mondo sono indesiderate.

Il Report stima che il 44% delle donne in 68 paesi non ha accesso alla salute riproduttiva o decidere con chi avere un figlio, globalmente un quarto delle donne non raggiunge “l’ideale di fertilità”: quando o quanti figli avere. La riflessione tende a concentrarsi anche sui paesi a basso reddito – circa otto – che da qui al 2050 rappresenteranno metà della crescita demografica ridisegnando la classifica mondiale dei Paesi più popolosi. Inoltre, la questione che attiene all’ansia demografica si collega anche ai cambiamenti climatici: su 8 miliardi di individui, 5.5 mld guadagnano meno di 10 dollari al giorno, quindi, non saranno in grado di contribuire alla diminuzione delle emissioni di carbonio; perciò, il dato iniziale va studiato sotto una lente critica che guarda ai diritti e alle scelte.

8 miliardi: troppi o pochi?

Il tema che ricorre nel Report UNFPA 2023 è se 8 miliardi di individui nel mondo sono troppi o troppo pochi. Se da un lato i paesi ricchi come la Corea del Sud, il tasso di fertilità è 2 figli per donna, per i paesi dell’Africa Sub Sahariana la preoccupazione è in una fecondità troppo elevata. Per l’Italia, in base all’ultima pubblicazione ISTAT, gli indicatori demografici 2021 registrano il numero più basso di nascite rispetto gli anni passati, stimando la soglia di 400 mila nascite l’anno. Questo calo demografico interessa anche la Cina – un tempo considerato paese sovrappopolato – che dal 2011 al 2017 è passato da 18 milioni di nascite a 11,5 milioni l’anno. La questione non è sapere se i figli sono pochi o troppi, ma permettere alle donne in contesti in cui la fecondità è bassa o elevata, di avere figli, un diritto da assicurare dove le politiche devono garantire interventi di pianificazione nel lungo periodo. Il punto è trovare un giusto equilibrio di nascite e mantenere un “livello di sostituzione” tra le generazioni. Nei paesi in cui la fecondità è bassa, i Governi non devono guardare al solo obbiettivo numerico, ma a politiche familiari in grado di facilitare l’accesso al mercato del lavoro e far sì che le donne non siano costrette a scegliere se lavorare o avere un figlio.

Sostegno all’empowerment femminile per effetto dei cambiamenti demografici sulla struttura per età della popolazione

Nel mondo metà della popolazione ha meno di 30 anni, in particolare il dato varia fra i paesi europei rispetto quelli africani. In media in Italia il 50% della popolazione ha 44 anni, mentre in Africa è sotto i 20 anni; tale divario avrà in futuro importanti implicazioni; perciò, occorre riconoscere che le vecchie strutture familiari sono destinate a mutare e sarà necessario includere nella società un numero sempre crescente di anziani. C’è poi il tema delle migrazioni dove a livello mondiale pochi sono gli individui che tendono a spostarsi ma interessano soprattutto i paesi più poveri del mondo. Infine, il rapporto osserva come le politiche sui migranti e le comunità di accoglienza dovranno prestare attenzione al rispetto dei diritti umani fondamentali, sostenere la crescita dell’empowerment di donne e bambine, garantire un parto sicuro, promuovere la salute e assicurare la convivenza delle persone anziane. Il report suggerisce inoltre di focalizzare gli interventi sulle persone vulnerabili raccogliendo informazioni statistiche che provengono non solo dai paesi poveri ma da tutto il mondo per aiutare le popolazioni fragili attuando policy mirate.

La Cooperazione allo Sviluppo e il ruolo strategico dell’Italia

Dal rapporto UNFPA 2023 emerge un elemento trasversale: tendenze globali come povertà, salute, calo delle nascite, pandemie, etc sono conseguenza della disparità fra i generi che insieme all’aumento dell’aspettativa di vita e dell’invecchiamento, comportano una crescita dei lavori di cura non retribuiti da parte delle donne. Per queste ragioni occorre sostenere la promozione dei diritti delle donne e delle ragazze, la parità di genere, l’educazione delle bambine e combattere ogni forma di discriminazione, violenza sessuale e di genere, priorità indiscusse sia a livello internazionale che dal nostro Paese. Per raggiungere questi Goals, i finanziamenti alla Cooperazione italiana sono cruciali, pensiamo agli aiuti per sostenere la crisi in Afghanistan che rappresentano un focus importante per la cooperazione in ambito unilaterale e bilaterale. Riaffermare l’impegno in favore delle donne e delle ragazze con chiari indirizzi politici è vitale anche alla luce delle attuali recessioni sui diritti delle donne registrate negli ultimi anni dovuti dalla pandemia. La cooperazione italiana sin dal 2008 partecipa al programma congiunto UNFPA-UNICEF per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili con 2 milioni di euro l’anno, inoltre dal 2020 è tra i sostenitori del programma contro i matrimoni precoci e forzati dove Aidos (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo) svolge un ruolo cruciale.

Si tratta di iniziative che vedono in prima linea il ministero degli affari esteri poiché vi è consapevolezza che dal successo di questi sforzi dipende il futuro di milioni di bambine e ragazze. Anche la questione dell’empowerment femminile è centrale per affermare che le donne sono agenti di cambiamento, e solo con istruzione e formazione è possibile raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Ne consegue che la cooperazione internazionale rappresenta il principale donatore della Global Partnership for Education, dedicata al miglioramento dei sistemi educativi nei paesi in via di sviluppo in riferimento alla condizione delle bambine in Africa. È necessario ricordare che la cooperazione italiana si è dotata di linee guida strategiche rivolgendo un appello a tutti gli attori del sistema italiano sulla parità di genere e l’empowerment delle donne e ragazze. Scopo delle best practice è rafforzare l’ordinamento italiano per eliminare le discriminazioni di genere attraverso un approccio inclusivo sottolineando il ruolo delle donne quali protagoniste nei processi di sviluppo. Se si desidera raggiungere l’uguaglianza di genere non è sufficiente concentrare gli sforzi sull’obbiettivo 5 dell’agenda 2030, ma occorre una visione olistica; accesso ai servizi universali di assistenza sanitaria in particolare quella sessuale e riproduttiva delle donne e adolescenti, prendersi cura dell’ambiente e delle istituzioni che le rappresentano. E poi bisogna impegnarsi affinché le donne abbiano lo spazio che meritano nei processi decisionali, lavorare per eliminare le barriere giuridico-sociali-culturali ed economiche che ne ostacolano la leadership e la partecipazione in luoghi in cui si decide sulle politiche che impattano sulla loro vita. Il sistema deve perciò confrontarsi con la società civile e le istituzioni, avere un approccio multidisciplinare per raggiungere un cambiamento sostanziale e permettere alle donne il pieno godimento dei diritti; questo sarà l’approccio che l’Italia adotterà durante la presidenza del G7 nel 2024.

Priorità di AIDOS al G7 2024

L’Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, impegnata nella cooperazione internazionale, sostiene progetti per l’empowerment di donne e ragazze, salute sessuale riproduttiva ed empowerment economico, strumenti capaci di abbattere il divario di genere alla radice di violenze, conflitti e stupri. L’associazione suggerisce alla politica, ai media e alla società civile di guardare non solo ai tassi di natalità e fertilità quali indici da raggiungere, ma all’autodeterminazione delle donne e delle ragazze. Il quadro internazionale è ricco di documenti a sostegno della parità; infatti, l’agenda 2030 non annuncia la parità di genere solo in termini di principi ma anche in termine di servizi (obbiettivo 3 dedicato alla salute e obbiettivo 5 dedicato alla parità di genere). Per raggiungere questi traguardi sono necessari più fondi alla società civile poiché una diminuzione di risorse farebbe retrocedere i progressi compiuti dall’associazione. Aidos in vista del G7 raccomanda di tenere alta nell’agenda politica la parità di genere, il contrasto alla violenza e alle pratiche dannose nei confronti delle donne come l’accesso ai servizi universali per la salute sessuale e riproduttiva. Per l’associazione è urgente potenziare programmi di formazione per i giovani: promuovere la pianificazione familiare con moderni metodi di contraccezione e stabilire un aumento graduale di risorse per raggiungere lo 0,7% del PIL da destinare alla cooperazione in Italia. In conclusione non è sufficiente guardare ai soli tassi ma pensare alla crescita delle donne e ragazze, creare un mondo in cui tutte e tutti possano esercitare i propri diritti, scelte e responsabilità.

Cristina Montagni

Il FUTURO DELL’ITALIA CON IL PNRR

La soglia di povertà in Italia dal 3,3% nel 2005 è passata al 7,7% nel 2019 con un picco del 9,4% nel 2020. Il Paese con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dovrà intervenire su lavoro, digitalizzazione, transizione verde, mobilità, trasporti, istruzione, formazione, inserimento al lavoro di donne e giovani, dove l’occupazione femminile è al 53,8% contro una media europea del 67,3%. Tra le missioni del Piano ci sono l’inclusione sociale, la coesione e la sostenibilità per attuare riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno. Da qui la giornata informativa organizzata a fine aprile dalla Direzione Rai – Radiotelevisione italiana e Usigrai (Unione Sindacale Giornalisti Rai), per fornire dati in un paese in cui spesso si parla del percepito e non della realtà sostenuta da evidenze numeriche. A spiegare le modalità del PNRR, alcuni esponenti della Rai insieme a Carmine Di Nuzzo, ispettore generale per il PNRR-MEF, Ugo Liberatore, ufficio rendicontazione e controllo MEF, Biancamaria Volpe, ufficio monitoraggio MEF, Luca Mattia, ufficio attuazione della ragioneria Generale dello Stato e Antonella Merola, responsabile della gestione finanziaria del Ministero dell’economia e finanze.

Il tavolo sul PNRR nasce per scopi istituzionali e sociali. Da un lato le istituzioni comunicano al Paese le finalità del Piano, dall’altro l’informazione interagisce con le istituzioni attraverso assemblee territoriali, comuni, regioni e Terzo settore che saranno gestiti a livello nazionale per raccontarne i contenuti. Un percorso strutturato in venti momenti in cui istituzioni e organi territoriali potranno raccogliere i bisogni delle comunità locali.

Cosa c’è da sapere del Piano

Il PNRR non è un programma di spesa ma un progetto per raggiungere risultati e obiettivi; una leva economica per realizzare riforme necessarie per il Paese. Le risorse accordate sono debiti contratti a tassi agevolati dove l’Italia ha ottenuto dall’Unione Europea 70 miliardi di euro e rendicontato 400 milioni di euro. Con il PNRR dovrà gestire 222,1 miliardi di euro in cinque anni, un’opportunità per intervenire su giovani, mezzogiorno ed emarginati. Per monitorare questi fondi verrà predisposta fino al 2026 una piattaforma condivisa nella quale si potrà accedere a documenti pubblici, open data, relazioni della Corte dei conti, del Parlamento, della Commissione Europea, informazioni della società civile e rassegna stampa compreso i materiali che la RAI produce per il Piano.

Missioni dell’Italia

Nel programma Next Generation EU, creato dalla Commissione Europea per far fronte alla crisi pandemica, sono inseriti strumenti del dispositivo di Ripresa e Resilienza che finanzia i piani dei Paesi dell’Unione. Nel 2020 l’Unione Europea per rilanciarne la crescita ha disposto il primo programma di indebitamento cambiando di fatto la politica dell’Unione. Un disegno complesso nel quale vengono erogati 750 miliardi di euro e prevedono finanziamenti con un relativo indebitamento che l’UE ha con i propri partner; prestiti agevolati relativi alla transizione energetica e digitale, sostenibilità, infrastrutture sociali, investimenti in educazione, istruzione, ricerca, supporto all’occupazione, superamento delle diversità e innovazione del sistema sanitario. Il Governo italiano accanto alla quota destinata a livello nazionale, ha aggiunto nuove risorse per sostenere progetti coerenti con gli investimenti ed altre riforme da fare.

Il Piano è strutturato in 6 missioni, e l’Italia si è impegnata con la CE a raggiungere gli obiettivi entro il 2026 per dimostrare di essere un paese moderno in grado di rafforzare il suo potenziale di crescita. Con la Commissione ha concordato 191,5 miliardi di euro per realizzare opere cruciali in parte già raggiunte. Dal lancio del piano – due anni dalla programmazione – ha concluso la riforma della giustizia civile, penale ed insolvenza, quella della PA che permetterà di “mettere a terra” gli investimenti. Non si tratta solo di cambiamenti orizzontali, ma missioni abilitanti per attrarre investimenti dall’estero; lo scorso anno è stata accolta fino al 2026 la riforma della concorrenza per aumentare le possibilità per le imprese di fare business, infine di recente è stato approvato il nuovo codice degli appalti che consente di operare sul mercato. Tra le riforme ci sono anche quelle settoriali: approvazione della misura sul lavoro sommerso, disabilità, scuola (riforma dei docenti).

In sintesi, l’Italia dovrà realizzare progetti in grado di coprire il 25% delle risorse dedicate alla digitalizzazione che andranno alla PA e alla scuola. Il 37,5% degli investimenti andranno alla transizione digitale ed ecologica mentre il 40% alle regioni del mezzogiorno. Tra i temi del PNRR c’è il DNSH – Do No Significant Harm dove la Commissione ha imposto agli Stati membri di sostenere opere in grado di non arrecare danni all’ambiente.

PNRR: traguardi e obiettivi

Rispetto al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’Italia dovrà raggiungere 527 obiettivi e target europei entro giugno 2026, successivamente disporrà di 191,5 miliardi di euro. Tra i target ci sono 264 mila nuovi posti per asili nido destinati al territorio e riforme sulla digitalizzazione, transizione green, infrastrutture e mobilità sostenibile per il periodo 2021 – 2026. Nei primi due anni sono state definite riforme che hanno permesso di ricevere 70 miliardi di euro. La roadmap ha perciò ottenuto a luglio 2021 l’approvazione del PNRR dalla CE, e l’Italia ha distribuito le quote alle singole amministrazioni. A fine 2021 ha concluso i primi obiettivi e presentato le 3 domande di pagamento per terminare l’ultimo percorso riferito a dicembre 2022. Nel 2023 dovrà realizzare 96 obiettivi, i primi 27 da concludere entro giugno mentre i restanti 69 entro dicembre 2023.

Per la digitalizzazione, l’Italia punta a portare la banda ultra-larga in 18 isole minori, mentre per la transizione green deve superare la procedura di infrazione che la Commissione ha applicato nei nostri confronti per la riduzione dei rifiuti, ovvero il numero di discariche. Rispetto al “Fondo Impresa donna” sono stati assegnati finanziamenti per 700 imprese femminili e sulla mobilità e logistica, investirà in aree economiche speciali, zone nelle quali sarà avviato un piano nazionale di ciclovie: costruzione di ulteriori 200 km di piste ciclabili urbani e metropolitane destinati a Comuni con più di 500 mila abitanti. Infine, verranno assegnate 3 mila borse di studio destinate a programmi innovativi di ricerca e sviluppo (PRIN – Progetti di rilevante interesse nazionale).

Modello di attuazione del PNRR

Il Governo – siglato il contratto con la CE sui 527 obiettivi – ha messo a punto un modello per la gestione dei compiti. Dal lato organizzativo c’è una struttura dedicata all’interno della presidenza del Consiglio dei ministri, dove i temi sono trattati nell’ambito di una cabina di regia nella quale partecipano i ministri che hanno responsabilità dirette per investimenti e riforme del Piano. C’è poi il MEF – ispettorato generale per il PNRR presso la ragioneria generale dello Stato – che oltre a monitorare l’operatività del Piano e comunicare con la Commissione Europea, rendiconta ogni sei mesi i traguardi ottenuti. La governance del paese prevede che ogni amministrazione centrale è titolare di investimenti ed uffici ad hoc per eseguire le riforme di competenza. I progetti sono realizzati dai soggetti attuatori che in parte fanno capo all’organo centrale dello Stato e parte vengono realizzati attraverso bandi che riguardano gli Enti locali, i quali possono presentare progetti specifici sul territorio. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha predisposto linee guida per offrire alle amministrazioni e ai soggetti attuatori indicazioni sull’attuazione del PNRR istituendo un task force che dialoga con la CE e il Parlamento, mentre il MEF redige relazioni periodiche per comunicare l’avanzamento dei lavori. Un elemento importante del PNRR si riferisce agli impatti economici dovuti alla guerra in Ucraina per l’aumento dei prezzi delle materie prime che ha indotto la Commissione Europea a adottare il REPowerEU. Questo Piano assegna nuove risorse ai paesi dell’Unione per diversificare la dipendenza energetica degli stati membri dal gas russo e spingere verso la transizione verde. In complesso ai paesi vengono assegnati 245 mld di euro e la quota per l’Italia è di 2,76 mld di euro a fondo perduto pari a 13,8%. Queste quote sono prestiti a tassi agevolati concessi agli Stati e il nostro Paese ha la possibilità di riaprire il negoziato con la Commissione per ridefinire alcuni parametri del Piano.

Piattaforma informatica Regis per il monitoraggio del PNRR

Il Regis rappresenta il sistema gestionale unico del PNRR, una piattaforma implementabile che possiede due anime. Un’anima gestionale in cui gli attori alimentano quanto viene prodotto con le risorse del Piano e l’altra consente di sapere cosa c’è dietro le missioni. All’interno del sistema confluiscono dati provenienti dal Piano e traccia le milestone e target attraverso cronoprogrammi per sapere a che punto è l’attuazione della misura e cosa c’è a livello di progetti, servizi o attività di altra natura. La piattaforma è anche dotata di strumenti in grado di interrogare altri sistemi che sono il corredo di base dell’attività del progetto. Il sistema può quindi attingere a diverse informazioni che convergono nella banca dati dell’amministrazione pubblica, gestiti dalla ragioneria generale dello Stato e misure che confluiscono nel registro nazionale degli aiuti di Stato. Infine, c’è una inter-operabilità con l’agenzia delle entrate poiché alcune iniziative si presentano come crediti di imposta (ad esempio eco bonus, sisma bonus e transizione 4.0).

Il sistema di controllo  

Con gli investimenti del PNRR, la Pubblica amministrazione può effettuare controlli per garantire trasparenza, regolarità e correttezza nell’azione amministrativa. Tra le verifiche c’è l’obbligo di conseguire target e milestone secondo standard qualitativi previsti nel contratto firmato con la CE, ad esempio non arrecare danni all’ambiente (DNSH), soddisfare l’obiettivo climatico e digitale nonché garantire la corretta comunicazione e informazione.

Gestione della spesa finanziaria

Nell’ambito della gestione finanziaria un passaggio importante riguarda le modalità operative per finanziare i progetti e le amministrazioni titolari degli investimenti. In particolare, il fondo di rotazione Next Generation EU depositato presso la ragioneria generale dello Stato, può anticipare risorse per poi essere rimborsate dalla Commissione Europea. Si tratta di 191,5 miliardi di euro ripartiti in 3 diversi “contenitori”: 124,5 miliardi di euro finanziati dal bilancio dello Stato che rappresentano nuovi progetti e devono rispettare le condizionalità previste dal Piano. Se i progetti non raggiungono i target prefissati o non rispettano le condizionalità, i rimborsi non vengono effettuati. Altri 15,6 miliardi si riferiscono al Fondo di Sviluppo e Coesione e rappresentano lo strumento finanziario attraverso il quale vengono attuate politiche di sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale. Infine, ci sono i cosiddetti progetti in essere, nati prima dell’entrata del PNRR che per particolari condizioni possono essere ricondotti ad esso.

Comunicazione del PNRR

La collaborazione fra Presidenza del Consiglio dei ministri, MEF e RAI permetterà di conoscere i progetti realizzati con il Piano, le opportunità delle imprese, degli Enti pubblici e associazioni per aumentare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. L’idea curata dal Portale Italia Domani, avrà una funzione “informativa” e “di servizio” dove grazie alla consultazione di sezioni dedicate si potranno conoscere bandi, link ai quale candidarsi, informazioni sul Fondo Nazionale Complementare e news su attività di comune interesse.

Cristina Montagni

Presentazione Università Roma Tre INDAGINE UNISIN su lavoro e parità per un futuro possibile senza discriminazioni uomo-donna

Dalla conferenza: “Il futuro possibile: lavoro, parità, innovazione, sostenibilità. Contro ogni violenza e discriminazione” vengono focalizzate le condizioni di vita e lavoro nel settore bancario che rappresentano uno specchio rispetto ad altre realtà per riflettere in un’ottica non discriminatoria.

Da tempo le organizzazioni sindacali sono impegnate a contrastare il fenomeno sollecitando aziende di credito, università, media e istituzioni per promuovere una società inclusiva e migliorare il benessere e la qualità di vita delle lavoratrici. Di conseguenza il 4 aprile all’Università Roma Tre, sono stati presentati gli esiti dell’indagine campionaria UNISIN (Unità sindacale Falcri Silcea Sinfub). Al convegno hanno partecipato UnIRE (Università in Rete contro la violenza di genere) con il patrocinio di GIO – Gender Interuniversity Observatory, Università di Pisa CISP (Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace) e RUniPace Rete Università per la Pace.

Lavoro e parità. Una sfida collettiva a fianco del sindacato, aziende e accademia

Emilio Contrasto, segretario generale UNISIN, nell’avviare i lavori ha affermato la necessità di una strategia capillare per lottare contro la violenza sulle donne, osservando come la tutela del lavoro legata al sindacato dei bancari rappresenta un faro rispetto altri settori e nel sistema paese. Un recente studio – ha commentato – conferma un gap tra le norme contrattuali e la relativa applicazione nei luoghi di lavoro. Da qui parte un confronto all’interno dell’organizzazione per valutare i processi che generano tali diversità. “La sfida” spiega Contrasto “deve coinvolgere il mondo del lavoro, sindacato, aziende e accademia per studiare le origini del fenomeno e fare in modo che quanto è stato istituito possa trovare applicazione nelle imprese per diventare un modus operandi in ogni luogo”. La parola chiave per superare il gap è formazione e informazione: formazione attraverso la cultura del rispetto e informazione quale fulcro per definire i giusti processi. La maggior parte degli addetti nel settore bancario è donna (oltre il 50%) ma più si sale nella piramide di potere, minore è la percentuale di donne che occupa posizioni apicali, sebbene il settore sia un laboratorio di riferimento per salari e inquadramenti, il gap è ancora forte.

Questionario conciliazione vita-lavoro, discriminazioni e violenza

Un anno fa il sindacato autonomo dei lavoratori bancari ha proposto un questionario tra le impiegate del gruppo curato dal Coordinamento Nazionale Donne & Pari Opportunità di Unisin/Confsal attraverso un sistema di domande chiuse e aperte per rendere le donne consapevoli dei propri diritti e tutele, approfondire il grado di percezione sulle differenze di genere e violenza all’interno dell’azienda. Dallo studio è emerso un sentiment generale: la parità di genere nel mondo del credito è lontana e nel tempo si manifesta con episodi di sessismo, sensi di colpa per la maternità, differenze salariali tra uomini e donne, discriminazione delle donne che non hanno voluto o potuto avere un figlio e quelle prossime alla pensione.

Daniela Foschetti, responsabile Coordinamento Nazionale Donne e Pari Opportunità UNISIN

Risultati indagine Unisin

Il progetto di ricerca “Noi diversi…Donne e uomini insieme contro la violenza alle donne. Uniti in una sfida possibile” ha coinvolto un campione femminile su diversi argomenti: vita-lavoro, discriminazioni, violenza nei luoghi di lavoro, elaborati sulla base di tre indicatori: distribuzione geografica, età e ruolo professionale. Dall’indagine risulta che il 52% del campione femminile non conosce le normative nazionali di settore e aziendali sulle tutele e ha scarsa consapevolezza sul tema. Dalla distribuzione geografica emerge una concentrazione di risposte provenienti dalle regioni più popolose: Lombardia il 46% per la presenza di sportelli bancari, Toscana 21%, Veneto e Lazio 8%. Quanto alla frequenza per età, il 51% delle intervistate aveva fra i 46 e i 55 anni, il 28% tra i 31 e i 45 anni, il 20,4% oltre i 56 anni e l’1,2% fino a 30 anni. Quest’ultimo valore restituisce un basso interesse dei giovani a tutelare il proprio lavoro, delegandolo alle organizzazioni sindacali rispetto all’impegno nel volontariato. Riguardo al ruolo professionale, prevalenti sono le posizioni commerciali (49%) e operative (30%) che fotografano le dipendenti delle filiali molto coinvolte per la pressione nelle attività di lavoro (relazione con la clientela, capi a diversi livelli, obiettivi da raggiungere, etc). Una caratteristica peculiare è fornita dal comparto del credito dove il 77% dei dipendenti è sindacalizzato, il 50% della forza lavoro è donna, ma solo il 18% occupa ruoli direttivi nonostante l’elevata scolarizzazione (49% diplomate, 47% laureate, 2% post laurea). All’item vita privata-lavoro, il 64% del campione sostiene di conciliare entrambe le attività, ma sul versante professionale il 53% sostiene di non sentirsi realizzata, il 9% non risponde ed il 45% dichiara che la maternità ha penalizzato il lavoro in azienda, contro un 39% che sostiene di non aver subito ripercussioni. Interessanti le risposte libere, dove le donne comunicano di essere “scomode” se si concedono la maternità; il 23% sostiene di aver subito discriminazioni mentre il 15% non risponde. Nonostante le elevate competenze, le lavoratrici part-time non hanno prospettive di promozione e vengono messe in secondo piano rispetto ai colleghi uomini. Riguardo alla maternità, il rientro in azienda non è facilitato per i repentini cambiamenti procedurali, esistono scarse opportunità di carriera, blocchi di avanzamento o cambi di funzioni con l’azzeramento delle esperienze lavorative passate, limitate concessioni nel part-time e permessi di lavoro. Si desume che nella struttura di appartenenza la dipendente vive male la maternità, non viene sostituita con il conseguente aggravio di lavoro ad altri colleghi. La discriminazione è quindi nell’essere donna, condizione subita come preclusione nelle opportunità. Il suggerimento delle intervistate è valorizzare le competenze organizzative in ambito aziendale che non appartiene al solo mondo del credito ma fotografa il lavoro in generale. Dalle risposte libere emerge che le donne capo settore hanno percepito lo stipendio di un addetto. Il divario retributivo esiste e a parità di retribuzione iniziale, il gap si concretizza nel tempo perché il mancato riconoscimento dei ruoli è riconducibile al gender pay gap. Le lavoratrici segnalano che ai ruoli di responsabilità non corrispondono riconoscimenti di grado e adeguate remunerazioni per le lavoratrici part-time. Per conciliare vita familiare e lavoro, sono stati individuati alcuni fattori di supporto come lo smart working 37%, flessibilità negli orari 30%, part-time 25% e altri strumenti quali la banca del tempo, accordi sulla mobilità o contributi economici con l’8%. In breve, da un lato vi è la difficoltà di accesso agli strumenti, dall’altra le regole esistono ma è necessario valutare le conseguenze quando è richiesta l’applicazione. La “batteria” di domande chiude con temi sulla percezione dei rischi legati alle violenze di genere e dell’eventuale presenza di vittime di violenza sul posto di lavoro. Le risposte hanno restituito risultati speculari dove il percepito ed il subito coincidono; l’83% delle intervistate percepisce rischi di violenza di genere, il 10% denuncia il rischio o ha subito violenza, mentre il 7% non risponde. Il settore del credito non fornisce dati ufficiali in materia, ma è necessario valutare nel tempo lo scostamento tra dati forniti e realtà riscontrata per analizzare come vengono gestiti questi eventi all’interno del comparto. L’indagine porta alla luce anche violenza fisica e verbale, battute tra colleghi, mobbing e maleducazione ad opera di capi uomini, donne, colleghi o colleghe. La ricerca conferma che la violenza è solo la punta dell’iceberg, e Unisin con altre realtà è occupata a proporre soluzioni per tutelare le dipendenti. Infine, si sottolinea l’importanza di una formazione capillare in grado di coinvolgere uomini e donne per il raggiungimento di un obbiettivo comune. La sfida di Unisin è quindi costruire nuovi paradigmi, proporre modelli per un futuro libero da stereotipi attraverso la consapevolezza, coraggio, cultura e comunicazione.

Strategie di supporto per le donne nel settore del credito

Rispetto alla discriminazione di genere, il sindacato e ABI (associazione bancaria italiana), nel 2019 hanno firmato una dichiarazione congiunta in materia di molestie sottolineando il valore dell’azione non solo nel credito ma anche in altre aziende ed associazioni. Il protocollo d’intesa prevede un congedo di lavoro di tre o quattro mesi qualora le dipendenti abbiano subito violenza. Un altro strumento è bloccare i mutui o il debito perché la violenza finanziaria limiterebbe l’autonomia della donna. Esiste anche un percorso di protezione, sicurezza e rinascita all’interno di case protette, ad esempio continuare a lavorare. E lo smart working può essere un valido aiuto per ritrovare una routine simile a quella perduta nel momento in cui hanno messo loro e i loro figli in condizione di protezione. Aziende e sindacati dispongono di mezzi efficaci anche se i dati non mostrano particolari criticità. Tra i vari programmi, Unicredito ha aperto il canale “Parlami”, un numero protetto dove è possibile chiamare qualora sorgessero rischi da un punto di vista del linguaggio o atteggiamenti riconducibili a violenza psicologica. Altro tema attiene all’inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere. Contesti lavorativi in grado di includere e valorizzare il genere, sesso, cultura, etnia, aging, determina la capacità di essere differenti, ovvero portatori di maggiori istanze. La presenza femminile nel settore del credito è numerosa (40% donne, 60% uomini) ma la quota tende a diminuire nei vari step delle organizzazioni. Per questo ABI ha firmato una carta dove viene sancito l’impegno a creare ambienti di lavoro inclusivi, selezionare le risorse con criteri paritetici tra uomini e donne e promuovere la crescita del personale femminile nell’organizzazione. Un’attenzione particolare è rivolta alle politiche di remunerazione, infatti uno degli obiettivi di UniCredito è azzerare il gender pay gap entro il 2026. In generale il comparto del credito è sensibile allo sviluppo, crescita e corretta remunerazione. Tuttavia, si rileva che tra gli elementi che hanno frenato lo sviluppo del settore c’è il welfare per la mancanza di assistenza e infrastrutture come gli asili nido. Infine, in Italia sarà fondamentale pensare all’aging, alle competenze, alla disabilità che insieme al gender, creano le condizioni per realizzare una vera inclusione in grado di produrre valore alle aziende e al tessuto sociale circostante.

A sinistra, Daniela Belliti, coordinatrice UNIRE

Educazione all’uguaglianza e alle identità di genere

Nonostante gli sforzi normativi e l’attenzione pubblica sul tema della violenza, la realtà mostra che il fenomeno non accenna a diminuire. “Ciò accade” afferma Belliti “perché le attuali norme non hanno piena legittimazione sociale e non svolgono azioni preventive. Occorre quindi una condivisione della matrice culturale che proviene dalle donne e dai movimenti femministi”. La Convenzione di Istanbul ha il pregio di fare proprio questo pensiero; afferma infatti che la violenza si manifesta per diseguali rapporti di forza tra i sessi e alla discriminazione da parte degli uomini. La Convenzione riconosce la natura strutturale della violenza in quanto basata sul genere, per questo invita gli Stati a promuovere cambiamenti socio-culturali per eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra forma basata sull’idea d’inferiorità rispetto agli uomini. L’Italia dispone di linee Guida Nazionali “Educare nel rispetto per la parità fra i sessi”, di fatto attuate in modo sporadico e prive di adeguate risorse finanziarie. Progetti di educazione di genere sono contrastati per le resistenze ideologiche prodotte dal termine genere. Queste resistenze indeboliscono l’impianto della prevenzione e impediscono la costruzione di una cultura della parità. Per ribaltare questo pensiero, l’Università deve svolgere un cambiamento socio-culturale e questa battaglia deve attraversare il mondo del lavoro dove esistono strumenti giuridici ancora poco conosciuti. Nel 2019 l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha adottato la Convenzione 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro che integra il codice internazionale del lavoro. La convenzione definisce le molestie perpetrate sui lavoratori e lavoratrici e invita a adottare un approccio inclusivo incentrato sulla prospettiva di genere, identificando nel genere un fattore di rischio discriminazione. La stessa Convenzione propone programmi di formazione, informazione, codici di condotta, strumenti di valutazione dei rischi e campagne di sensibilizzazione contro la stigmatizzazione delle vittime, dei querelanti e dei testimoni. Nel 2021 l’INAIL (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha pubblicato i dati sulla violenza femminile e risulta che 1milione e 400mila donne tra i 15-65 anni hanno denunciato molestie fisiche o ricatti sessuali da parte di un collega o datore di lavoro. Infine, l’indagine OIL 2021 elaborata su 75mila interviste in 121 paesi, ha rilevato che il 17% dei lavoratori è stato vittima di violenza e molestia di tipo psicologico, l’8% violenza fisica e il 6% ha subito violenze e molestie sessuali.

A sinistra, Francesca Brezzi, già Presidente di Gender Interuniversity Observatory

Il rispetto delle differenze passa per il linguaggio

Francesca Brezzi parla del linguaggio da una prospettiva femminista poiché l’ipotesi è dimostrare che esistono differenze di pensiero per disegnare un’etica della comunicazione. “Il linguaggio” spiega “riflette il modo di pensare e agire; quindi, diventa il mezzo del pregiudizio e della discriminazione”. Riguardo ad esso c’è una crisi del linguaggio codificato e due sono le strade intraprese. Da un lato la costatazione dell’assenza del femminile sotto forma di linguaggio neutro; linguaggio maschile elevatosi a linguaggio universale. Dall’altro si scorge sotto un velo di neutralità, una tessitura linguistica codificata dove il linguaggio sessuato è differente dal linguaggio sessista. Il linguaggio sessista colpisce la donna, conduce agli stereotipi, alla non rappresentazione, è discriminatorio e trasmette informazioni obsolete e offensive. Brezzi sostiene che bisogna adottare il femminismo del sospetto; decostruire i linguaggi per smascherare il vero linguistico che copre la società. Occorre perciò abbracciare un percorso formativo educativo, aspirare ad una etica della comunicazione, una comunicazione libera in grado di confrontarci in quanto soggetti razionali. “Quello di cui abbiamo bisogno” conclude “sta nelle parole incarnate, parole che restituiscono significato agli eventi per aprirsi a nuove forme di convivenza. In tutto questo le donne devono farsi soggette di un linguaggio diverso e non affidarsi ad un linguaggio neutro.

Cristina Montagni

Relatori al convegno:

Alessandra Mancuso, giornalista Rai; Emilio Contrasto, Segretario Generale UNISIN; Prof. Francesca Borruso, Università di Roma Tre; Prof. Massimiliano Fiorucci, Rettore Università Roma Tre; Stefano Corradino, giornalista Rai News; Marina Calloni, Direttrice UNIRE; Daniela Belliti, coordinatrice UNIRE; Francesca Brezzi, già Presidente di GIO (Gender Interuniversity Observatory); Giovanna Vingelli, Direttrice del Centro di Women’s Studies “Milly Villa”; Elettra Stradella, Professoressa associata in Diritto Pubblico Comparato; Costanza Nardocci, ricercatrice in Diritto Costituzionale Università di Milano; Nannarel Fiano, ricercatrice in Diritto Costituzionale Università di Milano; Daniela Foschetti, responsabile Coordinamento Nazionale Donne e Pari Opportunità UNISIN; Angelo Raffaele Margiotta, Segretario Generale Confsal; Rosalba Domenica La Fauci, Vice Segretario Generale Confsal; Marta Schifone, deputato della Repubblica italiana.

A Roma la Corte Suprema di Cassazione apre alla I° Conferenza Nazionale su “L’Eccellenza è Donna”

Storie di donne eccellenti, esperienze uniche, insieme per arrivare all’equilibrio di genere che non è la quota, né la parità salariale ma interessa temi più ampi che investono l’intera società. Così l’Alta Corte di Cassazione di Roma, il 30 giugno per la prima volta ha aperto le porte alla I° Conferenza Nazionale sul tema “L’Eccellenza è donna”.

Corte Suprema di Cassazione – I° Conferenza Nazionale su “L’ECCELLENZA E’ DONNA”

Il talk diviso in tre panel, organizzato dall’Associazione 7 Colonne e Tutti Europa 2030, grazie all’intuito delle organizzatrici, Silvia Sticca e Francesca Romana D’Antuono, hanno indicato le strategie per realizzare l’equilibrio di genere e il valore della lobby per tradurre le istanze femminili in linguaggio politico con azioni di pressione sulle istituzioni. Dal focus “Esperienze” sono emerse le qualità femminili per raggiungere traguardi spesso privilegio degli uomini. Nel panel “Donne, Pace e sicurezza” le oratrici hanno conversato sul ruolo di leader nelle comunità e in “Associazione ed attivismo” è emersa la spinta dal basso delle associazioni per ottenere la parità di genere. Il fil rouge di rappresentanti del mondo accademico, giurisprudenza, pubblica amministrazione ed economia è stato il target 5 dell’Agenda ONU e la Risoluzione n. 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su “Donne, Pace e sicurezza”, che ha sottolineato la capacità di essere “agenti di cambiamento” nei processi di pace nelle aree di conflitto (missioni internazionali, mediazione, negoziazione, costruttrici di pace) e leader indiscusse nella scena pubblica.

Il faticoso cammino delle donne divise fra stereotipi e carriere eccellenti

Essere donna e giudice fa la differenza in senso positivo, ma in passato i traguardi professionali erano subordinati agli impegni familiari soprattutto in tempi dove esistevano marcate asimmetrie di trattamento, senza dimenticare che nel diritto di famiglia vi erano disparità tra moglie e marito, figli illegittimi e naturali, coniugi e conviventi. L’emancipazione passa per la capacità di mediare situazioni ostili e consente ai giudici di assolvere al ruolo fisiologico di mediatori, tra astrattezza, semplificazione e complessità per raggiungere un risultato favorevole. Gli ostacoli nella carriera nascono dalla mancanza di servizi a supporto della famiglia, occorre uscire dagli schemi, fare squadra per conquistare il giusto posto nella società. Attualmente stereotipi nei settori della scienza e ricerca sono evidenti, ma le donne che ce l’hanno fatta possono dedicarsi al mentoring, affiancare le giovani studiose nel trasferire consigli, informazioni ed esperienze. Un rapporto che non termina con l’apprendimento ma dura nel tempo soprattutto per chi è orientato alla ricerca. In questo contesto pregiudizi e stereotipi vanno superati soprattutto se si guarda alla carriera forense il cui gap uomo-donna tocca il 50%. Per agevolare le pari opportunità bisogna sostenere la maternità in un’ottica sistemica, incidere sulle competenze ed occupare spazi a lungo negati.

A sinistra Drssa Maria Pia Turiello, al centro Drssa Elisabetta Nistri, a destra Drssa Asmae Dacian

Diplomatiche e costruttrici di pace e stabilità

Nell’attuale contesto storico è necessario far fronte alle crisi internazionali e riflettere sul peso delle donne nei processi di pace. Tema nodale cui è impegnata la comunità internazionale; dalle Nazioni Unite alle organizzazioni regionali, dai singoli Stati alla società civile. Davanti al cambiamento le donne mostrano sensibilità nell’affrontare situazioni avverse, una naturale capacità di resilienza rispetto agli eventi traumatici; la forza di ricostruire sé stesse, la propria famiglia, la comunità di appartenenza partendo dalle radici per crescere e generare vitalità. Nel mondo le donne sono protagoniste nei processi di ricostruzione per evitare i conflitti, risorsa determinante per garantire pace e sicurezza nelle fasi di prevenzione e ricostruzione negli eventi post bellici. La presenza femminile nei processi decisionali è risolutiva nell’attuare soluzioni diplomatiche di lungo periodo soprattutto nelle aree di maggiore instabilità; perciò, stimolare la loro leadership significa andare oltre la parità di genere. Più donne vengono coinvolte in Parlamento e nella società civile, minori sono i livelli di violenza e rischi di guerre con la conseguenza di un calo nelle violazioni dei diritti umani in Paesi in cui la legge non è uguale per tutti.

Donne offese e depredate dei diritti fondamentali

Per comprendere la genesi dei conflitti occorre analizzare le radici del fenomeno e cosa ne ha impedito il naturale processo di dialogo. Nel mondo le ostilità sono quasi sempre asimmetriche; si consumano a scapito delle popolazioni deboli e in aree dove esiste già una violazione dei diritti umani. Le donne private dei principali diritti, istruzione, salute fisica e psichica, lavoro, casa etc pagano un alto prezzo in termini di abusi, matrimoni precoci, privazioni e vessazioni anche dalla famiglia di origine. Sostenere la pace è uno status in cui ogni cittadino si impegna a rispondere ai propri doveri e vedere riconosciuti i propri diritti iniziando dalle relazioni sociali, famiglia e accesso all’educazione. Quest’ultima condizione consente a bambini e bambine di comprendere i valori umani quali rispetto e dignità degli individui. Si pensi alle violenze subite da migliaia di donne e ragazze afgane cui viene negato l’accesso all’educazione, al lavoro, alle cure sanitarie condizionando la loro intera esistenza.

Avv. Silvia Sticca, Vice Presidente Associazione 7 colonne

La doppia faccia del diritto negli scenari di guerra

Spesso si afferma che nei Paesi in via di sviluppo le guerre sono combattute con le armi mentre in quelli sviluppati sono accompagnate da leggi ingiuste, sistemi sociali iniqui che terminano in una marcata violazione dei diritti fondamentali. Durante i conflitti i diritti sono apertamente violati, ed è proprio in Europa che il diritto ha subito nella collettività mutamenti socio-economici attraversati dalle globalizzazioni. All’interno di questi scenari si insinua la guerra normativa, una guerra che impiega la legge come arma per raggiungere scopi illegittimi, sfocia in mutamenti psicologici ed un uso arbitrario del diritto che illegalmente si sostituisce ai giudici e ai tribunali. Sebbene in questi ultimi trent’anni si è discusso di una guerra economica, poco si è parlato di quella normativa che ha prodotto un corredo legale impiegato da Stati, privati e settori pubblici per realizzare protocolli di intesa, accordi e regolamenti e consolidare posizioni strategiche sul mercato globale. Queste analisi derivanti dalla guerra normativa, non possono non affiancarsi a quelle giuridiche. Alcuni Paesi, infatti, per contrastare l’abuso del diritto hanno adottato norme ad hoc per tutelare importanti comparti strategici sviluppando una propria politica estera, mentre quelli che hanno abbattuto le barriere legali – per poi accorgersi dell’inefficacia delle leggi nazionali – hanno compromesso la propria autonomia, l’industria strategica, la stabilità interna e l’intero sistema democratico.

Cristina Montagni

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE  DI ROMA - I° CONFERENZA NAZIONALE “L’ECCELLENZA E' DONNA”

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE DI ROMA – I° CONFERENZA NAZIONALE “L’ECCELLENZA E’ DONNA”

Alla conferenza sono intervenute: Avv. Silvia Sticca; Dott.ssa Maria Pia Turiello; Drssa Francesca Romana D’Antuono; Drssa Adelaide Amendola; Prof. Paola Balducci; Drssa Marica Caldarulo; Drssa Ivana Vaccari; Drssa Sveva Avveduto; Avv. Irma Conti; Drssa Cristina Di Silvio; Drssa Margherita Romanelli; Drssa Elisa Ercoli; Drssa Maria Ludovica Bottarelli; Drssa Gaia Van Der Esch; Drssa Annamaria Nassisi; Drssa Sabrina Zuccalà; Drssa Maria Pia Turiello; Drssa Asmae Dacian; Drssa Elisabetta Nistri; Generale A.M. Michele Scillia; Drssa Solange Manfredi; Drssa Dafne Carletti. Tra i partner alla conferenza, con le relative rappresentanti, hanno aderito la Bocconi Business School, Differenza Donna, Women20 (official G20 engagement group focused on gender equity), G20 Empower, Donne in Vaticano, la Federazione italiana donne arti professioni e affari, l’European women’s lobby, Women in International Security, Tra le Donne, MovimentoBlu, Istituto Italiano per lo studio delle politiche ambientali e lo United States Foreign Trade Institute.

Prevenzione, informazione e diagnosi precoce contro il Papilloma Virus. Intervista esclusiva alla Presidente di IncontraDonna Onlus Prof.ssa Adriana Bonifacino

L’infezione da HPV è un problema serio, interessa entrambi i sessi ma è nelle donne che provoca maggiori danni poiché causa il carcinoma della cervice uterina, primo tumore che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto come riconducibile ad un’infezione e costituisce uno degli obiettivi da sconfiggere entro il 2030. Il 4 marzo, in occasione dell’International Hpv Awareness Day, il Censis nel presentare la ricerca sulla percezione del rischio di tumore da Hpv nel nostro Paese, ha sottolineato che ogni anno in Italia si registrano oltre 3 mila casi di tumore causati dal Papillomavirus e solo nel 2020 ha provocato il decesso di oltre mille donne.

Women For Women Italy ha incontrato la Prof.ssa Adriana Bonifacino, Presidente di IncontraDonna Onlus, responsabile dell’Unità di Diagnosi e Terapia in Senologia presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea-Università Sapienza di Roma e docente della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza. A lei abbiamo chiesto quali sono gli strumenti per vincere la battaglia contro l’infezione da Papilloma virus e da malattie associate.

L’Hpv provoca il cancro fra le persone giovani e a quali lesioni si associa?

Prof.ssa Adriana Bonifacino, Presidente IncontraDonna Onlus

La vaccinazione per l’HPV (Papilloma Virus) e le infezioni ad esso associate e le 6 patologie oncologiche ad esso correlate, per femmine e maschi, sono un tema di grande attualità. Peraltro, le campagne di sensibilizzazione che si stanno svolgendo in tutto il mondo, e ora particolarmente in Europa, vorrebbero poter debellare completamente il Papilloma attraverso la vaccinazione. Pertanto, sono necessarie ancora opere di formazione e informazione dirette alla popolazione intera; i maggiori a dover essere informati sono i genitori degli 11-12enni. Molti di loro sono ancora fortemente resistenti ad una vaccinazione che riguarda patologie sessualmente trasmissibili, non rendendosi conto che una volta che il virus è passato, questo potrà rimanere silente per moltissimi anni per affacciarsi anche in età adulta. Certamente l’informazione deve raggiungere, in ogni caso, la popolazione intera perché molti sono gli avanzamenti e le scoperte di questi anni; possiamo dare maggiore protezione persino alle donne che hanno già avuto il carcinoma del collo dell’utero per abbattere il numero di possibili recidive della malattia. La problematica dei carcinomi legati all’HPV non è detto che sia una problematica dell’età giovane. Da adolescenti/giovani si fa il vaccino per non ammalarsi nell’arco della vita. Certamente, alcuni tumori del collo dell’utero si riscontrano anche in età giovane, ma più i bambini verranno vaccinati e meno avremo problemi di cancro da adulti. Nella pratica, più parliamo di salute e mettiamo in atto le buone pratiche validate anche dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), e meno ci ammaleremo di cancro nel futuro. Peraltro, un tumore del collo della cervice (collo dell’utero) in giovane età, anche suscettibile di ottimi trattamenti terapeutici moderatamente invasivi, va sempre comunicato al ginecologo di fiducia, soprattutto se si è intenzionati ad intraprendere un percorso di gravidanza.

Qual è l’età preferibile per l’offerta attiva della vaccinazione anti-HPV?

L’età di vaccinazione è tra i 9 e gli 11/12 anni; è importante che sia scelta la fascia di età nella quale non si sono ancora avuti contatti sessuali (Attenzione! Parliamo infatti di contatto e non di rapporto: il condom, ad esempio, non protegge dall’HPV e i contatti tra superfici dove vi sono mucose più sensibili al virus sono molteplici sul nostro corpo!). In Italia la chiamata è a 11 anni da parte delle ASL, e chiaramente la vaccinazione è gratuita per femmine e maschi.

Scuola, famiglia e in generale l’Italia informa abbastanza sulle azioni da intraprendere a livello preventivo? Persistono ostacoli, tabù sociali/culturali che impediscono la prevenzione?

L’informazione non è mai sufficiente e deve necessariamente essere regolata da enti istituzionali, governativi, regionali e anche da associazioni, ma che siano in linea con quanto previsto dal SSN e dai diversi decreti Regione per Regione. L’offerta della vaccinazione in età pediatrica è ormai omogenea, uniforme su tutto il territorio nazionale; per quanto riguarda la vaccinazione in età adulta e in donne che abbiamo già avuto un carcinoma del collo dell’utero, esistono ancora delle difformità tra Regioni. Questo fenomeno al solito crea disparità e discriminazioni che, anche come associazioni di pazienti, vorremmo vedere abbattute quanto prima. E per questo esercitiamo una funzione di lobby nella sua accezione positiva di collaborazione e stimolo sulle istituzioni. La scuola è sicuramente un punto fermo per la divulgazione di messaggi corretti e per la sensibilizzazione al tema trattato. Ci sono Regioni (Abruzzo, Basilicata, e diverse altre) dove le classi intere, successivamente ad un processo formazione, vengono accompagnate presso la ASL territoriale per la vaccinazione dei bambini. Queste sono le buone pratiche che vorremmo vedere diffuse a tutto il territorio. Purtroppo, l’epoca del Covid ha ulteriormente aggravato il tasso di adesione alle vaccinazioni in Italia e anche per l’HPV la flessione non è poca cosa. Direi, anzi, che il dato è preoccupante se lo pensiamo proiettato alla potenzialità di malattia oncologica a distanza di anni. Anche il fatto che si tratti di un virus a trasmissione sessuale non fa che peggiorare il tipo di informazione che può raggiungere le famiglie. Soprattutto, ancora non è così percepita la necessità di vaccinazione dei maschi (che sono peraltro il cosiddetto serbatoio di HPV tutta la vita) e si fa fatica a pensare ai propri figli adolescenti a poter essere coinvolti da una malattia che preveda un contatto sessuale. Se non ci liberiamo di questi tabù e non pensiamo seriamente che stiamo portando a casa un vantaggio e un risultato per la loro salute futura, avremo una crescita esponenziale di casi di tumore legati a questo virus.

Infine, vorrei sottolineare la necessità del Pap Test e dell’HPV DNA test di proseguire secondo i modelli organizzativi regionali e di conseguenza territoriali.

Nella pratica, associare alla vaccinazione che rimane l’essenza fondamentale della prevenzione primaria per giungere ad un HPV zero (#stopHPV anche in Italia), alla prevenzione secondaria mediante test (Pap Test e HPV DNA test) che possano identificare precocemente l’eventuale presentarsi della patologia.

Adriana Bonifacino è responsabile dell’Unità di Diagnosi e Terapia in Senologia presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea – Università Sapienza di Roma e docente della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza. Ha insegnato in diverse università in Cina e Giappone. Dal 2008 è Presidente dell’associazione IncontraDonna, impegnata nella lotta contro il tumore del seno. Ha ideato la campagna nazionale di sensibilizzazione e prevenzione “Frecciarosa” in partnership con il Ministero della Salute, le Ferrovie dello Stato Italiane, AIOM e Farmindustria. Ha fatto parte del gruppo di lavoro del Ministero della Salute per la stesura delle linee guida dei Centri di Senologia e per le linee di indirizzo della Nutrizione in Oncologia. È stata delegata europea di Europa Donna. Nel 2011 le è stato assegnato il Premio Roma Capitale delle Donne.

IncontraDonna Onlus è un’associazione non profit rivolta alle donne e agli uomini che desiderano informarsi in modo corretto e conoscere adeguatamente una patologia di grande rilevanza sociale: il tumore del seno. Per conoscere meglio tutte le attività dell’associazione, in allegato maggiori indicazioni:

Cristina Montagni

Io-collettivo, la voce dei corpi intermedi

I corpi intermedi per il rapporto con cittadini, imprese e pubblica amministrazione, sono comunità fortemente coese che proiettano il loro futuro verso la riduzione dei rischi sociali, costruzione di un io collettivo puntando sull’ambiente, cultura e realizzazione dei singoli e del popolo.

Questi alcuni temi trattati a fine febbraio a Roma al Cnel durante la presentazione “Una società di persone. I corpi intermedi nella democrazia di oggi e di domani” a cura di Franco Bassanini, Tiziano Treu e Giorgio Vittadini congiuntamente al Rapporto Censis “Destinazione Cosenza. La valorizzazione del territorio della provincia di Cosenza attraverso l’analisi delle vocazioni produttive e degli orientamenti della domanda interna ed esterna”.

Franco Bassanini (Presidente Fondazione Astrid)

Ruolo dei corpi intermedi nella società

“Le realtà dei corpi intermedi sono indispensabili per la diffusione e il radicamento del tessuto produttivo nella società italiana” ha detto Franco Bassanini. “La società sarebbe più povera senza essi perché manifestano le potenzialità delle persone, non operano in modo isolato ma sono “pezzi” di comunità che sviluppano una propria personalità”. “Oggi” ha sostenuto Bassanini “siamo difronte ad un sistema democratico costituito da forti regole costituzionali dove emerge una crisi di fiducia da parte della popolazione; quindi, il rilancio della democrazia deve passare per la rivitalizzazione delle comunità intermedie, il riconoscimento del loro ruolo che non si sovrappone ai partiti ma risponde ad una riforma del sistema politico”. Queste comunità, portatrici di valori ed interessi comuni, hanno il pregio di incidere sulle azioni e programmi dei partiti, operare scelte non legate ad episodi emotivi e non forzate da leader carismatici che spingono al consenso con messaggi non motivati. Il loro rilancio – giacché espressione di convergenze economiche, culturali, sociali, religiose ed etiche – costituisce un valore per riconquistare legittimazione e riconoscimento del sistema democratico.

Tiziano Treu (Presidente CNEL)

Dal Welfare State al Welfare Community

I corpi intermedi durante l’emergenza sanitaria oltre ad aver tutelato la coesione sociale hanno risvegliato i valori dell’integrazione con il sostegno a persone deboli, bisognose e fragili. Queste comunità secondo Treu hanno sostenuto lo Stato con azioni d’intervento e sono state capaci di imprimere un assetto diverso al welfare e al sistema di protezione sociale. “Il Welfare State sta virando verso il Welfare Community con attività di promozione sociale non solo nelle strutture statali ma anche nelle strutture associative sussidiarie” ha aggiunto Treu. “Tali azioni” aggiunge “hanno suggerito una strada nuova portando alla luce bisogni che devono essere raccolti per (ri)definire un welfare in grado di affrontare una nuova era storica. C’è poi la questione economica. Dalla pandemia occorre uscire attingendo alle risorse del Next Generation EU per costruire un paradigma economico-sostenibile, rispettoso dell’ambiente e socialmente equo. “In tale scenario” conclude il presidente del Cnel “sarà indispensabile coinvolgere i corpi intermedi, così come viene richiamato anche nel regolamento della Commissione Europea per costruire un modello nuovo di sviluppo”.  

Giuseppe Tripoli (Segretario generale Unioncamere)

Non solo Stato, Regioni ed Enti Locali

Nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) convivono due anime: l’esigenza di compiere le trasformazioni dettate dal piano (63 riforme, 134 investimenti, 527 Goals al 2026) e mettere in atto un processo trasformatore richiesto all’interno della società e nella vita del nostro Paese. Così Tripodi afferma che non basta puntare sulla macchina amministrativa dello Stato, Regioni ed Enti locali, ma è necessario coinvolgere il Terzo Settore, associazioni e sindacati per realizzare la transizione ecologica, tecnologica e sostenibile.

Giorgio De Rita (Segretario generale Centro Studi Investimenti Sociali- CENSIS)

Rapporto Censis: destinazione Cosenza

Il segretario generale del Censis Giorgio De Rita, nell’illustrare il Rapporto osserva che oggi assistiamo ad un impoverimento dei corpi intermedi e della coesione sociale. “È difficile pensare a progetti in termini economici senza pensare di avere un’altra “gamba” sul piano sociale”. Un elemento di forza delle realtà territoriali è la capacità di fare network attivando programmi di sviluppo e rafforzando un’identità complessiva. Con questo spirito il Rapporto ha analizzato il territorio della provincia di Cosenza, le specificità e gli elementi peculiari in termini di fragilità e forza.

Analisi delle fragilità e punti di forza

Tra le fragilità – dice De Rita – ci sono quelle demografiche. L’inverno demografico nel nostro Paese ha toccato elevati tassi di denatalità (al di sotto di 1 figlio per donna in età fertile) e la città di Cosenza ha un indice di ricambio generazionale più basso rispetto alla regione Calabria (75%), segnale che espone il territorio ad un progressivo invecchiamento. Altre complessità riguardano le infrastrutture (tecnologia, accessibilità ai servizi, viabilità, etc) e un indice alle export poco sopra l’1%, così come altri settori all’esportazione che sfiorano il 4% contro il 14% dell’intero territorio calabro. Vi è poi una scarsa attrattività del turismo straniero nonostante strutture adeguate. Il territorio, perciò, fa i conti con le debolezze strutturali tipiche dell’Italia del mezzogiorno che si aggravano nel cosentino.

Prospettive di crescita ma la “strada è fare insieme”

I fattori positivi del territorio sono il settore ortofrutticolo e l’agricoltura, dove esiste un sistema in grado di competere a livello nazionale ed internazionale. Infatti, il comparto ortofrutticolo pone Cosenza la decima provincia italiana per capacità produttiva in termini di export dopo Trento e Bolzano. Altro comparto rilevante riguarda il Food and Wine, qui il tasso di crescita della provincia cosentina è doppio rispetto la media regionale con prospettive positive nell’agroalimentare. C’è anche la dimensione culturale e turistica; lo sviluppo crescente del settore culturale nella provincia calabra è fra i più elevati del mezzogiorno per la presenza di musei, imprese creative e culturali. Quindi a parte le fragilità, il territorio cosentino negli ultimi anni ha accelerato la vena culturale e creativa. Altra fragilità riguarda l’esodo dei giovani; circa il 45% dei residenti hanno dichiarato che è indispensabile bloccare l’emorragia dei giovani verso altre provincie della Calabria o regioni d’Italia, viceversa il territorio non potrà sfruttare queste risorse dove sui giovani vengono riposte aspettative di crescita dell’intero territorio. Infine, c’è la questione ambientale. I cosentini sostengono che la loro ricchezza risiede nella bio-diversità e nella qualità ambientale difficilmente riscontrabile in altri paesi. Questi fattori mettono in “moto” un modello nuovo di sviluppo con la presenza dei corpi intermedi; quindi, “la strada è “fare insieme” attraverso un network d’impresa, piattaforme produttive o comunità intermedie. Non esistono alternative” afferma De Rita “e questo input proviene anche dal PNRR che sarà un’opportunità per un nuovo modello di crescita”. Da questa consapevolezza emerge la necessità di puntare su programmi di comunicazione, attrazione degli investimenti, capacità di trattenere i giovani nel territorio, incidere sulle risorse ambientali, vero patrimonio da conservare. I corpi intermedi sono una risorsa per raggiungere gli obiettivi ma serve anche un’incisiva narrazione ed un attento marketing territoriale. “Il Rapporto Censis” conclude De Rita “rappresenta un primo passo per raccontare come la provincia di Cosenza sa affrontare le fragilità e come mettere a valore le proprie specificità positive”.

Evento organizzato dalla Camera di Commercio di Cosenza e Centro Studi Investimenti Sociali con interventi di Erminia Giorno (segretario generale della Camera di Commercio di Cosenza), Klaus Algieri (presidente della Camera di Commercio di Cosenza), Franco Bassanini (presidente della Fondazione Astrid), Tiziano Treu (presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), Giorgio Vittadini (presidente della Fondazione per la Sussidiarietà), Giuseppe Tripoli (segretario generale di Unioncamere), Giorgio De Rita (segretario generale del Centro Studi Investimenti Sociali).

Cristina Montagni

Roberta Metsola Presidente del Parlamento Europeo

Roberta Metsola succede a David Sassoli alla presidenza del Parlamento Europeo. L’emiciclo ha accolto a larga maggioranza l’elezione dell’eurodeputata maltese di centrodestra, conservatrice ma aperta al sociale. Tra i dossier chiave: la questione immigrazione, clima e transizione ecologica.

Roberta Metsola

Presidente del Parlamento Europeo

Roberta Metsola, 43 anni è stata eletta Presidente del Parlamento europeo fino al 2024 con una maggioranza di 458 voti su 616 voti, fra tre candidati presenti. L’eurodeputata – membro del partito popolare europeo – di formazione avvocata, succede a David Sassoli e guiderà il Parlamento nella seconda metà dell’attuale legislatura, fino alla costituzione del nuovo Parlamento dopo le elezioni europee del 2024. Nata a Malta nel 1979, Metsola è deputata europea dal 2013 ed è stata Presidente ad interim dopo la scomparsa del Presidente Sassoli, l’11 gennaio scorso. È la terza donna, più giovane in assoluto, dopo Simone Veil (1979-1982) e Nicole Fontaine (1999-2002), a ricoprire la carica di Presidente del Parlamento europeo.

Roberta Metsola

Tra gli aspetti che caratterizzano la visione politica della neo Presidente, ricordiamo l’attenzione dedicata alle donne sottolineando che “i diritti delle donne non sono sufficientemente garantiti, la lotta per un’eguaglianza reale deve andare oltre le apparenze e io sarei orgogliosa di essere il Presidente che conduce questa battaglia ed onorare l’eredità di tutti coloro che hanno ricoperto questa funzione in passato”. Quanto alle sue posizioni sull’aborto ha spiegato che come parlamentare, ha mantenuto l’autonomia assunta dal suo Paese e ha precisato che, come Presidente, le linee “saranno quelle del Parlamento europeo che ora rappresento. Le promuoverò all’interno e all’esterno di questa Camera”.

Nel rivolgersi ai deputati ha sostenuto: “la prima cosa che vorrei fare come Presidente è pensare all’eredità di David Sassoli difendendo sempre l’Europa, i nostri valori comuni di democrazia, dignità, giustizia, solidarietà, uguaglianza, Stato di diritto e diritti fondamentali”. Ha poi aggiunto “voglio che la gente recuperi il senso di fiducia e entusiasmo per il nostro progetto. Dobbiamo lottare contro la narrativa anti europeista che si diffonde così facilmente e così rapidamente. La disinformazione e la cattiva informazione, amplificate durante la pandemia, alimentano il facile cinismo e le soluzioni a buon mercato di nazionalismo, autoritarismo, protezionismo, isolazionismo”. “Queste sono false illusioni che non offrono soluzioni. L’Europa è esattamente il contrario. Rappresenta tutti noi che ci difendiamo l’un l’altro, che avvicinano i nostri popoli. Si tratta di difendere i principi dei nostri padri e madri fondatori, che ci hanno portato dalle ceneri della guerra e dell’olocausto alla pace, alla speranza e alla prosperità. Ventidue anni fa, Nicole Fontaine è stata eletta, 20 anni dopo Simone Veil. Non passeranno altri due decenni prima che la prossima donna sia qui” ha infine concluso.

Cristina Montagni